sabato 27 dicembre 2025

La Trappola di Tucidide

 

In un’intervista televisiva di cui ho visto ieri il promo e che sarà trasmessa stasera, il prof. Massimo Cacciari sostiene che per la teologia cristiana la guerra è stato un grande tema, un problema fondamentale era quello di stabilire: forse la guerra è necessaria, in questo caso inevitabile, ma come la conduco? C’è tutta una casistica infinita: devo rispettare le donne, i bambini, non posso rapinare, eccetera. Poi, venendo all’oggi, sostiene che le ultime guerre sono guerre al di fuori di ogni diritto, violenze che si basano sul diritto del più forte, che è una specie di diritto, ma dove si afferma anche il principio che “si colpisce direttamente ed esplicitamente la popolazione dello Stato governato dallo Stato avversario perché il nemico non diventa più lo Stato, ma lo diventa anche il popolo che viene assunto come complice dello Stato che vuoi che vuoi abbattere”, eccetera.

Che i teologi si siano occupati di tutto, anche di stabilire criteri di umanità cristiana nel condurre una guerra, lo posso credere, ma la pratica concreta dei cattolici-apostolici-romani è stata sempre di segno contrario (vedi le crociate contro le eresie, ad esempio). Quanto al diritto internazionale, non vedo quando esso sia stato effettivamente rispettato nel passato più o meno recente. Semmai ex post. È prevalso sempre il diritto del più forte, e la popolazione ha sempre avuto un ruolo di “obiettivo” (vedi per esempio gli assedi di città). Tuttavia, questa intervista al filosofo del sestiere di Castello mi dà lo spunto per una riflessione veloce e più generale sulle cause della guerra con particolare riguardo anche alla situazione geopolitica attuale, che è la cosa che più m’interessa.

In premessa: nessuna guerra è senza propaganda. La regola è che uno deve andarci per qualcun altro e quindi deve essere convinto che lo sta facendo non per qualcun altro, ma anche e soprattutto per sé stesso.

La teoria più antica sull’argomento guerra, almeno la più materialistica e internamente coerente, proviene da Tucidide (V sec. e.c.). Molto schematicamente: nella sua Storia della guerra del Peloponneso, egli identifica le cause della guerra principalmente in quella economica (causa oggettiva), e in quella destata dalla paura, più precisamente la paura che porta a fare esattamente ciò che si teme che facciano gli altri (in sintesi, la “trappola di Tucidide”, non è altro che una guerra preventiva).

Esistono teorie più strutturate e dettagliate sul fenomeno della guerra, ma quella di Tucidide ha il vantaggio di essere la più completa possibile pur mantenendo il livello di semplicità più elevato.

Dimmi da dove vieni e ti dirò dove stai andando. Dopo che un ordine mondiale multipolare nel XX secolo portò a due guerre mondiali, durante la Guerra Fredda sembrò prevalere una relativa stabilità. Relativa, perché anche questo periodo fu segnato da guerre, in particolare, oltre ai conflitti territoriali extraeuropei, dagli interventi degli stati imperialisti, il cui attore principale furono gli Stati Uniti d’America.

Ciononostante, l’ordine mondiale mantenne un tipo di stabilità che oggi non è più concepibile. Ciò fu in parte dovuto all’integrità territoriale dell’Europa e del Nord America, che consentì la creazione di uno spazio di sicurezza transatlantico di Stati militarmente ed economicamente privilegiati, da cui poter effettuare interventi militari o politici in altre parti del mondo. Inoltre, la struttura bipolare tra il blocco di potere degli stati dell’Est e quelli dell’Ovest ebbe evidentemente un effetto moderatore e stabilizzante sul mondo nel suo complesso.

Con il crollo del blocco dell’Est, emerse una struttura egemonica. Gli Stati Uniti si liberarono del loro rivale e, all’inizio degli anni Novanta, si diffuse un’euforia oggi difficilmente comprensibile. A posteriori, è facile deridere la “fine della storia” di Francis Fukuyama. Sebbene la sua argomentazione fosse certamente più ragionata di quanto la sua accoglienza suggerisse, esprimeva comunque lo stato d’animo generale: la gente era inebriata dalla vittoria nella lotta sistemica (una ubriacatura della quale si portano tutt’ora i postumi).

E veniamo agli esperti contemporanei. Uno di questi vedeva le cose con esemplare chiarezza per essere uno stratega della Casa Bianca. Si chiamava Zbigniew Brzezinski, consigliere per la Sicurezza Nazionale di Jimmy Carter dal 1977 al 1981. Nel 1997 scrisse La Grande Scacchiera, in cui analizzò la situazione dopo la fine della Guerra Fredda e delineò un concetto strategico per gestirla.

Per lui, la posizione egemonica degli Stati Uniti come unica superpotenza non era un dono, o se lo era, era un dono avvelenato. Quando uno Stato detiene l’egemonia globale, inevitabilmente si crea una dinamica. Le potenze medie e gli Stati più piccoli si uniscono, minano le alleanze e le relazioni diventano complessivamente più bilaterali. Il caos aumenta, ma può ancora essere contenuto.

Brzezinski sosteneva una strategia di divisione dall’alto, di approfondimento deliberato delle divergenze tra le restanti potenze imperialiste in attesa, che poi avrebbero dovuto essere contrapposte l’una all’altra. In apparenza, questa strategia ha impedito a vari Stati di unirsi contro gli USA, ma allo stesso tempo i mezzi impiegati (intelligence, diplomazia, economia, forze armate) hanno portato a un caos maggiore e a più focolai globali.

Questo caos che si sarebbe voluto controllare, e che è aumentato, è stato il terreno fertile su cui si sono verificati gli sviluppi degli ultimi decenni. L’unipolarismo ereditato dal bipolarismo si è evoluto in multipolarismo. Di fronte al blocco transatlantico, si è formato un blocco attorno alla Russia, che non è più una potenza media, ma le cui risorse militari, economiche e diplomatiche sono, per il momento, insufficienti per controllare gli Stati confinanti (ma che non poteva tirarsi indietro sulla Crimea e l’Ucraina).

Attualmente, l’evoluzione del multipolarismo appare come un bipolarismo immaturo perché un terzo blocco, checché se ne dica, non è ancora evidente. A differenza della Guerra Fredda, tuttavia, l’attuale situazione mondiale non ha il potenziale per una struttura bipolare saldamente consolidata.

I principali attori dei conflitti globali – ad eccezione della Cina – non presentano profonde differenze nelle loro strutture sociali o nella loro natura sistemica. Sono attori pienamente sviluppati o in via di sviluppo di un’epoca caratterizzata da strutture imperialiste. L’attuale costellazione globale non assomiglia a quella della Guerra Fredda, né a quella del 1939.

Se fosse possibile un’analogia storica, sceglierei come riferimento, come ho scritto in altre occasioni, al periodo intorno il 1914. I conflitti del nostro presente sono di natura più competitiva che sistemica, il che influisce anche sulle relazioni e sulle alleanze, che, in condizioni di mera competizione, sono molto più intercambiabili e di conseguenza meno stabili.

Dunque la Cina, non come blocco geopolitico (a parte la Corea del Nord), ma come entità statuale e sistemica a sé stante, che vestire i panni dello sfidante. La Cina di Xi Jimping, un leader che può vantare orgoglio patriottico e soprattutto visione strategica. Nel corso di una generazione, l’ascesa della Cina ha cambiato completamente lo scenario internazionale, a cominciare da quello dei rapporti economici («il 40% dell’intera crescita mondiale si è realizzato in un solo paese: la Cina»), tanto da spostare l’orizzonte strategico.

E qui si ritorna a Tucidide, alla sua “trappola”, all’enorme complesso di superiorità degli Stati Uniti, alla questione, come osservo da sempre, dell’egemonia, della vita o della morte, della necessità e inevitabilità dello scontro strategico.

Si avvicina l’alba, e oggi ho molto altro da fare. Ci ritornerò sopra.

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