martedì 23 dicembre 2025
Buon natale
Il Leone furbo
Ci sono papi che hanno sempre qualcosa da dire su tutto, amano la folla e le telecamere, elaborano meticolosamente la loro narrazione e non perdono mai l’occasione di proclamare in lungo e in largo che la Chiesa cattolica è l’unica a possedere la Verità rivelata. Vedi Giovanni Paolo II, che sta al Vaticano come Elvis sta a Memphis.
Altri papi preferiscono rimanere discreti, ma non per questo sono meno protagonisti. Perfino Benedetto XVI, che sotto il suo atteggiamento imbronciato come una prugna dimenticata sul fondo di un barattolo, non ha resistito a intervenire ogni volta che ne ha avuto l’occasione.
Il premio per la pura audacia è stato vinto a mani basse dal buon vecchio Francesco, che è riuscito ad affermarsi per sempre come il papa “di sinistra”, progressista ed ecologista, al confine con il movimento anti-globalizzazione.
Ora è il turno di un papa ancora più furbo, il signor Robert Francis Prevost, il primo papa degli Stati Uniti, che ha assunto ufficialmente la carica di capo della Chiesa cattolica e contemporaneamente di capo dello Stato della Città del Vaticano, con il modesto nome di Leone XIV.
Il nuovo padrone della Chiesa sottolinea instancabilmente la sua intenzione di proseguire l’opera del suo predecessore, Francesco. Tuttavia, un esame della sua posizione su conflitti internazionali come la guerra in Ucraina o le azioni di Israele contro i palestinesi a Gaza rivela differenze fondamentali. Queste differenze hanno anche uno scopo pratico, cosa che va da sé parlando di preti.
Per il suo insediamento, il nuovo Papa invitò i rappresentanti delle Chiese orientali e il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni. Leone dichiarò che avrebbe sostenuto i decreti del Concilio Vaticano II nello spirito di Nostra Aetate, la dichiarazione sulla posizione della Chiesa cattolica nei confronti delle religioni non cristiane e in particolare a riguardo degli ebrei (vedi la formula liturgica sui “perfidi ebrei”).
Tre settimane dopo, il vero scopo divenne chiaro: Leone sta cercando la beatificazione dell’ex collega Pio XII, che aveva avuto stretti legami con il fascismo di Mussolini e come nunzio apostolico a Berlino s’era fatto voler bene. A tale riguardo si potrebbero citare diversi episodi, alcuni molto noti e altri meno.
Anche nel dopoguerra il Vaticano si segnalò per l’organizzazione della fuga di migliaia nazisti verso il Sud America attraverso la rotta nota come “ratline”. Tra coloro che fuggirono per questa via c’erano criminali di guerra ricercati a livello internazionale come Adolf Eichmann, il medico di Auschwitz Josef Mengele e Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka.
Ma veniamo all’oggi. Sottolineando l’adesione a Nostra Aetate al momento del suo insediamento, Leone muoveva un primo passo verso la beatificazione dell’ineffabile Eugenio Pacelli dei prìncipi di Acquapendente. A seguire il commento di Leone sulla “terribile” situazione a Gaza, pubblicato il 22 settembre su Vatican News: la Santa Sede al momento non riteneva di essere “in grado di rilasciare una dichiarazione sulla definizione di genocidio” e non vedeva “alcuna ragione per commentare”. Prevost vuole assicurarsi che Israele non sollevi più obiezioni alla beatificazione di Pio XII.
Riguardo alla guerra nell’Europa orientale, Francesco non aveva condannato l’annessione tramite referendum della Crimea da parte della Russia, né il suo attacco all’Ucraina. Leone, invece, aveva descritto le azioni della Russia al quotidiano peruviano Semanario Expresión come una “vera e propria invasione” di natura imperialista, con cui Mosca stava tentando di “conquistare territorio” per ragioni di potere. Evidentemente ignorando gli antefatti che hanno condotto a questa guerra preventiva da parte della Russia.
Appaiono dunque più chiari i motivi che hanno condotto alla elezione a papa di questo furbo sergeant major americano. Sul fatto, poi, che il Papa denunci “i governi [che] continuino a incrementare le spese militari”, Leone non dovrebbe far altro che alzare il telefono e parlarne col suo connazionale a Washington, quindi prendere l’auto e recarsi a palazzo Chigi e al Quirinale. Forse gli rivelerebbero una delle due verità sul riarmo: la spesa militare è un fattore chiave per la crescita del mercato. L’altra verità potrebbe rintracciarla sfogliando l’antica letteratura giudaica. Ma anche quella più recente.
Un amore borghese
Che si tratti di un evento storico mondiale, del compleanno di un autore o dell’anniversario di un’opera (scaduti i diritti, ovviamente), il numero tondo offre l’occasione per edizioni anniversario, nuove edizioni ampliate o almeno abbellite, nuove traduzioni, nuovi adattamenti cinematografici e vari ninnoli che ora rientrano nella categoria dei “prodotti non librari” nelle librerie e rappresentano una parte non trascurabile delle loro vendite.
Il libro è una merce alla pari delle altre, e dunque lo diventano, volenti o nolenti, anche i loro autori. Il 250° anniversario della nascita di Jane Austen, non ha fatto eccezione. Questa scrittrice dell’era Regency (1811-1820) è una presenza costante nel mercato librario, con oltre due secoli di pubblicazioni praticamente ininterrotte dei suoi sei romanzi completi, dei veri e propri long-seller: Ragione e sentimento (1811), Orgoglio e pregiudizio (1813), Mansfield Park (1814), Emma (1815), L’abbazia di Northanger e Persuasione (questi due pubblicati postumi nel 1817).
Preciso che non li ho letti tutti, ne ricordo qualcuno vagamente (mi pare che Emma non ebbi a finirlo). Austen è considerata un’icona della letteratura inglese classica, quasi come Shakespeare o Dickens. Dal 2017, il ritratto di Austen campeggia sul retro della banconota da dieci sterline. Questo la rende la terza figura letteraria e la prima donna ad apparire su una banconota britannica.
La sua popolarità duratura è dovuta anche ai numerosi adattamenti cinematografici delle sue opere, tanto che della Austen c’è un vero è proprio culto, con workshop sulla scrittura con la penna d’oca, sulla creazione di ornamenti per capelli o sull’apprendimento di danze storiche, insomma un vero e proprio mercato per l’intrattenimento di massa. Che il pubblico e la critica esaltino o stronchino un adattamento sembra quasi irrilevante, poiché attenzione e dibattito sono garantiti fin dall’inizio dall’associazione con il marchio Austen.
Pare che un nuovo adattamento di Orgoglio e pregiudizio sia attualmente in produzione presso Netflix. Questo romanzo, come gli altri dell’Autrice (1775 - 1815), è stato scritto in un’epoca di grandi sconvolgimenti, ma chiunque prenda in mano un romanzo di Austen sperando di apprendere su rivoluzioni e guerre rimane deluso: niente sulla rivoluzione americana, francese o industriale, nessun riferimento a Napoleone, Nelson o Waterloo.
Jane Austen se ne rendeva conto, infatti scrisse in una lettera: «L’opera è un po’ troppo leggera, luminosa e scintillante; ─ ha bisogno di ombra; ─ vorrebbe essere allungata qua e là con un lungo capitolo ─ di senso se si potesse avere, se non di solenne, speciosa assurdità ─ su qualcosa di estraneo alla storia; un saggio sulla scrittura, una critica su Walter Scott o la storia di Bonaparte ─ o qualsiasi cosa che possa creare un contrasto e portare il lettore con maggiore piacere alla giocosità e all’epigrammatismo dello stile generale.»
Ad ogni modo, lo sguardo di Jane è strettamente limitato alla classe sociale che conosce, e il contesto storico più ampio rimane al di fuori della narrazione. Ciò che vede è una rete di case e famiglie con proprietà, e attraverso questa fitta rete, la maggior parte delle persone rimane invisibile. Tuttavia, il romanzo non è privo di ironia a riguardo di certe situazioni della sua classe sociale e vi si trova pronunciata qualche verità universale con straordinaria certezza.
Come diceva quel giovane trevirense, non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. E ciò vale anche per l’autrice di Orgoglio e pregiudizio, la quale apparteneva a una famiglia della piccola nobiltà terriera, condizione che gli permetteva di godere di una vita agiata e senza bisogno di lavorare, almeno finché il proprietario era in vita. Infatti, in Inghilterra vigeva ancora il maggiorasco e l’eredità poteva diventare complicata: per evitare di dividere il patrimonio, lo ereditava per intero al figlio maschio maggiore.
I figli minori e le mogli erano lasciati a sé stessi. I figli maschi avevano tre opzioni: il clero, le armi (soprattutto in marina) o diventare degli avventurieri. Le donne della piccola nobiltà potevano intraprendere solo la professione di istitutrice, il che equivaleva a una perdita di status. Per loro, c’era un solo modo per garantirsi un sostentamento e una posizione sociale: dovevano trovare un marito ricco. E con questo, il conflitto centrale di Orgoglio e pregiudizio è già delineato.
Si tratta della famiglia Bennet, che conta ben cinque figlie femmine e nessun figlio maschio, quindi, in caso di morte del signor Bennet, la casa e le terre passeranno al successivo erede maschio, che è il nipote del signor Bennet. La signora Bennet punta a far sposare le figlie, perché se il signor Bennet muore, molto probabilmente perderà la casa. Entro la fine del romanzo, tre delle cinque sorelle saranno sposate.
Anche in questa vicenda, più che l’amore c’entrano i rapporti sociali, vale a dire quelli economici e di proprietà. «Mister Darcy attirò presto l’attenzione della sala con il suo aspetto maestoso e alto, i suoi lineamenti raffinati e la sua nobile espressione; e anche la voce, che nel giro di cinque minuti era sulla bocca di tutti, secondo cui aveva un reddito di 10.000 sterline all’anno, fece la sua parte».
In una sola frase è svelata la causa fondamentale che prelude all’innamoramento: che il signor Darcy sia piuttosto attraente conta certamente, ma ciò che vale realmente e di là di tutto è la stima della sua fortuna pecuniaria. Darcy vede Elizabeth Bennet, i loro sguardi si incontrano e lui esprime il suo giudizio: «È passabile, ma non abbastanza attraente da sedurmi». Anche il giudizio di Elizabeth su Darcy è tranchant: «Tutti erano d’accordo. Era l’uomo più orgoglioso e maleducato del mondo».
Le prime impressioni cambiano pochi capitoli dopo: Darcy è “incantato” da Elizabeth, e i due finiscono per innamorarsi dopo aver superato il loro orgoglio e dissipato i pregiudizi reciproci: il titolo originale del romanzo di Austen era First impressions. Dopo la stesura di Prime impressioni, era apparso un altro romanzo con quel titolo, di Margaret Holford, pubblicato nel 1801. Il nuovo titolo di Jane, Orgoglio e pregiudizio, fu tratto da un verso di Cecilia, di Fanny Burney, un’autrice che Jane ammirava molto.
L’editore Thomas Cadell, nel novembre del 1797, rifiutò di pubblicare il romanzo (che fu molto rimaneggiato dall’autrice tra il 1811 e il 1812). La scrittrice riuscì a pubblicare a sue spese, dall’editore Thomas Egerton, un suo primo romanzo, Ragione e sentimento, solo nel 1811. Orgoglio e pregiudizio fu pubblicato anonimo, in tre volumetti, il 28 gennaio 1813. La prima riduzione teatrale dell’opera (Duologues and scenes from the novels of Jane Austen) fu quella di Rosina Filippi, nata a Venezia e figlia di un vicentino.
lunedì 22 dicembre 2025
Hanno assassinato Mozart
Elvis, come tutti sappiamo, era un alieno che ora è tornato sul suo pianeta natale. Paul McCartney è morto ed è stato sostituito da un sosia. Quanto a Mozart, se è realmente esistito, è morto avvelenato dal suo rivale di lunga data, Antonio Salieri.
L’ipotesi omicidiaria è stata messa per iscritto nel breve dramma da Aleksandr Puškin, Mozart e Salieri, che ha ispirato l’opera teatrale Amadeus di Peter Shaffer, su cui Miloš Forman ha poi basato il suo omonimo film, che ha vinto otto Oscar nel 1985.
Ho appena visto la prima puntata di Amadeus, la nuova serie televisiva ispirata a Mozart adulto. La puntata inizia con un anziano Salieri che tenta il suicidio gettandosi da una finestra. La vedova di Mozart, Constanze, si reca da lui e Salieri confessa il suo crimine: ha cercato di distruggere la reputazione del suo odiato avversario, arrivando persino a ucciderlo.
La scenografia è di buon livello, dunque di un livello irraggiungibile dagli attuali registi e scenografi italiani. La regia è dell’inglese Julian Farino, noto, si legge su Wikipedia, per aver diretto altre serie televisive. Già nella prima puntata, si è concesso una licenza poetica: Salieri si masturba a scena aperta e si pulisce con i fogli dello spartito. Povero Antonio.
Paragonare la serie al capolavoro di Forman sarebbe un esercizio inutile. La famosa risata acuta e infantile dell’attore statunitense Tom Hulce è stata sostituita dal linguaggio volgare del talentuoso Will Sharpe. Anche in tal caso un dettaglio da segnalare, che riguarda la fisionomica dell’interprete di Mozart: è un asiatico, figlio di una giapponese e di un inglese. Penso abbia preso tutto dal nonno paterno. Mozart ne sarebbe entusiasta.
Non so se vedrò la seconda puntata e poi anche le altre tre.
Che cosa ci aspettiamo dal capitalismo?
Ieri sera ho visto in tv una parte della puntata di Report (Raitre), quella dove si parla della carne scaduta, anche da anni, che viene riciclata e rimessa in commercio. La puntata sulla carne mi pare faccia seguito di un precedente analogo servizio che non ho veduto. Ebbene, a un certo punto una voce fuori campo, quella di un operaio addetto alla macellazione, dice: ma che cosa vi aspettate da un prodotto di carne, impanata, farcita di verdure e venduta a 4,5 euro? Esatto, che cosa ci aspettiamo da un olio di oliva detto extravergine venduto a meno di dieci euro il litro? Da vino venduto a 2 o 3 euro il litro? E via di seguito.
Perché stupirsi che quella carne putrefatta finisca in scatola di marchi prestigiosi (prestigiosi perché molto pubblicizzati) e in vasetti di ragù venduti a un prezzo vile, ma anche a caro prezzo? Che finisca nella ristorazione delle navi da crociera o nella refezione delle scuole? Se la spazzatura venduta per cibo destinato all’alimentazione umana provoca problemi di salute, tanto meglio. Si chiama diversificazione degli investimenti.
Già Marx, en passant, si era occupato dell’adulterazione del pane (I, 3 sez., cap. 8), rilevando come “il capitale è indifferente di fronte al carattere tecnico del processo di lavoro del quale si impadronisce”. Il capitalista non ha alcun interesse e riguardo su che cosa viene prodotto e come avviene la produzione. Per esempio, se al posto delle macchine ci sono degli schiavi, se invece di persone adulte vengono impiegati dei bambini.
Dunque, che cosa ci aspettiamo dal capitalismo? Il capitalismo è questa roba qua: non c’è alcuna differenza tra produrre portaerei o navi da crociera, antibiotici o gas nervino, vino grand cru o all’etanolo, oppure panettoni con margarina e tuorli d’uovo israeliani o cinesi in barile. Ciò che conta, per il produttore, per gli azionisti, è la competizione sul mercato, alias i margini di profitto.
Si denuncia, quando accade e cioè molto raramente, la carenza di controlli. Si attribuisce la responsabilità della situazione al singolo produttore, quindi all’individuo colpito, il quale deve impegnarsi a migliorare la propria dieta per prevenire problemi di salute (il budget alimentare non viene preso in considerazione). Ma, immersi come siamo nell’ideologia di mercato, chi pone la questione che si tratta di una forma strutturale di violenza? Chi mette più in discussione il capitalismo?
Alla radice degli squilibri agricoli e alimentari, dei danni alla salute fisica e mentale delle persone, c’è il modo di produzione capitalistico, che genera varie forme di violenza: la filiera alimentare globalizzata si basa su una storia di sfruttamento coloniale e su rapporti di potere ineguali tra i paesi. Le materie prime agricole sono soggette a speculazione come qualsiasi altra sui mercati finanziari. Inoltre, l’immagine dell’agricoltore e allevatore indipendente e libero è un mito. La stragrande maggioranza della popolazione acquista attraverso la grande distribuzione, che è controllata da pochi grandi gruppi.
Ricordiamoci che la frode e la falsificazione sono strumenti comuni dell’azione economica capitalistica.
domenica 21 dicembre 2025
Che tempi sono questi?
Ci sono tante forme di violenza. C’è anche quella mediatica. I padroni del mondo con i mass media hanno preso il controllo dei pensieri delle persone e governano attraverso la menzogna. La più grande menzogna è chiamare democrazia questo sistema. Un esempio concreto: non si può essere democratici senza essere antifascisti. Chi può sostenere che a governare sono degli antifascisti?
È già molto sintomatico che dobbiamo costantemente spiegare che per essere democratici bisogna essere antifascisti. Eppure l’ascesa del nuovo fascismo e il suo arrivo al potere, un fatto che pochi decenni addietro sarebbe parso inaudito, non ha prodotto la preoccupazione che meritava. Anzi, siamo di fronte a una generale autocensura pubblica.
Che tempi sono questi in cui bisogna spiegare le cose più ovvie? Il fascismo non è solo un’ideologia, oggi è mascherato da populismo reazionario e un certo libertarismo. Tra i giovani essere neofascisti è visto come un atteggiamento anti-establishment. È una tendenza globale.
I media mainstream spesso rappresentato l’ordine democratico non come lotta contro il risorgente fascismo, ma contro l’azione di piccoli gruppi di sinistra dei centri sociali che a volte si comportano in modo violento, incendiando cassonetti della spazzatura e cose simili.
Il problema fondamentale è che abbiamo a che fare con una generazione precaria e frustrata, bombardata da messaggi reazionari ben congegnati. Dunque, i giovani non sono il problema; sono il sintomo di altro.
Teppisti di Stato
L’UE si astiene dall’utilizzare i beni statali russi per mantenere a galla l’Ucraina. Invece, erogherà un credito congiunto a Kiev di 90 miliardi di euro nei prossimi due anni come sovvenzione praticamente a fondo perduto. Infatti, l’Ucraina sarà tenuta al rimborso solo se riceverà riparazioni di guerra dirette dalla Russia. Ora Bruxelles non avrà altra scelta che spennare la popolazione europea. Non tutta, solo quella che paga le imposte alla fonte, che per quanto riguarda gli altri, ovunque ci si arrangia.
Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria hanno garantito il loro consenso alla soluzione del prestito con la promessa di non essere obbligate a rimborsare i debiti dell’UE con l'Ucraina in proporzione alla loro quota di produzione economica dell’UE. Loro sanno come mungere la vacca.
Tuttavia, i fondi ora promessi coprono solo circa la metà del fabbisogno finanziario dell’Ucraina per la guerra e il continuo funzionamento dello Stato (corruzione compresa). Il FMI aveva recentemente ipotizzato che l’Ucraina potesse dichiarare default entro il secondo trimestre del 2026 al più tardi. Questo sembra essere stato scongiurato per il momento, anche se sono ancora possibili sorprese.
Politicamente decisivo, tuttavia, è il fatto che il vertice non sia riuscito a raggiungere un accordo sul piano, sostenuto dalla presidente della Commissione Ursula Gertrud Albrecht e dal cancelliere tedesco Joachim-Friedrich Merz, di sequestrare i beni statali russi congelati in Belgio per sostenere l’Ucraina. Questa opzione ha incontrato l’opposizione non solo del primo ministro belga, Bart Albert De Wever, ma anche di una coalizione di diversi Paesi: Austria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Bulgaria, Cipro, Malta e Italia.
Volodymyr Oleksandrovyč Zelenskyj ha elogiato la decisione dell’UE, definendola una “garanzia di sicurezza finanziaria per i prossimi due anni”. Del resto, che doveva dire posto che gli regalano un sacco di soldi? Il parlamentare ucraino Mykola Knyashitskyi ha scritto che l’UE è una “superpotenza economica” e può permettersi di sostenere il suo paese per gli anni a venire.
Intanto, la “superpotenza economica” continuerà a pagare il doppio per il gas rispetto a prima della guerra. E siamo anche in attesa che la signora Albrecht firmi l’accordo di libero scambio con Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Vista la reazione degli agricoltori francesi e italiani, i capi di Stato e di governo non hanno concesso alla signora libero-scambista il mandato di recarsi in Brasile nel fine settimana, come inizialmente previsto, per firmare l’accordo. La ratifica è ora prevista per gennaio.
sabato 20 dicembre 2025
Cacao Meravigliao
Nel XVIII secolo, tè e caffè erano diventati le bevande preferite dei salotti “illuministi”, mentre il cioccolato per colazione aveva ben poco in comune con la cultura borghese. Cioccolato e cacao non rientravano tra i piaceri degli adulti come il caffè e il tabacco. Il cioccolato fu rivalutato con l’emancipazione della borghesia alla fine del secolo e il conseguente livellamento degli status symbol di corte. Werner Sombart sottolineò presto l’importanza dei consumi di lusso per lo sviluppo del capitalismo, e il cioccolato rientrava tra questi lussi (nessuno ha bisogno del cioccolato per sopravvivere).
L’integrazione del cioccolato nel modello di genere borghese era evidente anche nella pubblicità. In generale, intorno al 1900, donne e bambini venivano raffigurati molto più frequentemente degli uomini nelle pubblicità del cioccolato, e mentre le donne erano spesso ridotte al loro ruolo di casalinghe e madri, gli uomini apparivano solo come autorità (medici, insegnanti) che raccomandavano il consumo di cioccolato.
Insomma, c’è voluto un bel po’ di tempo perché il cioccolato diventasse un bene di consumo di massa e dunque un piacere alla portata di tutti. Il periodo natalizio e quello pasquale sono, in particolare, i periodi del cioccolato. Potrebbe essere anche un’occasione per ricordare le pratiche di sfruttamento nella produzione della materia prima, ma queste sono semplicemente taciute. Il vero quarto potere è quello degli inserzionisti.
In Costa d’Avorio, principale produttore mondiale di fave di cacao, si stima che 1,5 milioni di bambini lavorino nelle piantagioni. In piccoli gruppi, questi bambini, spesso provenienti da Paesi vicini (per esempio, dal Burkina Faso o dal Benin) e venduti dai genitori che non riuscono a sfamarli, raccolgono il cacao. Potranno lasciare la piantagione solo quando avranno 17 o 18 anni.
Lavorano duramente per almeno otto ore al giorno, sei giorni alla settimana, e il pagamento di un salario è un’eccezione (un piccolo compenso viene inviato al loro padre). «I bambini molto piccoli non devono più svolgere i lavori più duri», afferma Euphrazie Aka, direttrice per l’Africa occidentale dell’International Cocoa Initiative. Che precisa: «Ciò significa, ad esempio, trasportare carichi pesanti, spruzzare sostanze chimiche o maneggiare utensili affilati». Non dice che non devono essere impiegati, ma solo che devono essere esentati dai “lavori più duri”.
I pesticidi vengono spruzzati senza alcun dispositivo di protezione, se questi adolescenti si tagliano accidentalmente con un machete, devono arrangiarsi. La domenica è un giorno di riposo, che i bambini usano per cacciare i topi, poiché devono provvedere a sé stessi. Oltre allo sfruttamento del lavoro minorile, la nostra bulimia di cioccolato sta causando una deforestazione allarmante in Costa d’Avorio, persino all’interno dei parchi nazionali. Tutti i principali produttori di cioccolato, come Mars, Mondelez e Nestlé, acquistano cacao da lì e traggono profitto dalla sua produzione illegale.
Rinunciarvi? Gustarne un pezzetto ogni giorno, ricordandosi da dove proviene la materia prima.
venerdì 19 dicembre 2025
Il santo natale visto da Washington
A proposito di spese per gli armamenti, i dirigenti e gli azionisti delle aziende statunitensi che si occupano della produzione di armi possono festeggiare alla grande e chiudere l’anno con il botto (in senso letterale). Mercoledì il Senato ha approvato un disegno di legge per un altro bilancio della guerra da record, pari a 901 miliardi di dollari. È stato approvato con 77 voti favorevoli e 20 contrari. Tanto per dire che anche negli Usa esiste un’opposizione!
Con un aumento di quasi il 6%, il disegno di legge approvato rappresenta il maggiore incremento della spesa militare statunitense in 15 anni, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), che include anche altre spese “relative alla sicurezza”. Dei 2.700 miliardi di dollari investiti nella “difesa”, ovvero nella guerra, in tutto il mondo lo scorso anno, più di un terzo è appannaggio degli Stati Uniti, paese arbitro internazionale della democrazia e dei diritti umani.
Washington ha investito più risorse nelle spese militari di quelle dei nove paesi successivi messi insieme: Cina, Russia, Germania, India, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Ucraina, Francia e Giappone (notare la posizione raggiunta dalla Germania). Sebbene l’espansione di vari accordi di cooperazione militare tra Stati Uniti e Israele sia sancita dalla legge, non è ancora chiaro quanto gli Stati Uniti finanzieranno per il genocidio dei palestinesi. Dal 7 ottobre 2023, Washington ha fornito circa 22 miliardi di dollari in “aiuti militari” alle forze di occupazione israeliane, secondo gli ultimi dati della Brown University.
Come prolungare la guerra in Ucraina
I capi di stato e di governo dei 27 paesi Ue si sono riuniti a Bruxelles per l’ultimo Consiglio europeo dell’anno. Tema principale: come prolungare la guerra in Ucraina. Per questo scopo serve finanziare l’Ucraina per i prossimi due anni. Il fabbisogno finanziario è stato stimato in 137 miliardi di euro, con l’Unione Europea che si è impegnata a coprirne due terzi, ovvero 90 miliardi di euro. La parte restante sarà fornita dagli altri alleati dell’Ucraina, come Norvegia e Canada.
Sia la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, sia il presidente del Consiglio europeo, il portoghese Antonio Costa, hanno avvertito che i leader dell’UE non avrebbero potuto abbandonare il summit finché questo obiettivo non fosse stato raggiunto.
Si prevedeva o l’emissione di debito garantito a livello Ue (ma la Banca Centrale Europea non vuole fornire garanzie per i prestiti destinati all’Ucraina poiché sa che non verranno restituiti), oppure un prestito basato sui beni russi congelati, principalmente riserve della Banca Centrale Russa in Europa. Ma non tutti i Paesi europei erano d’accordo su questa opzione, che minerebbe la reputazione della piazza finanziaria dell’UE e quindi anche dell’euro.
Non è noto a molti, ma durante le due guerre mondiali i beni esteri tedeschi non erano stati toccati prima della conclusione di un trattato di pace. L’UE si stava avventurando in un territorio giuridico inesplorato. Non solo giuridico: si trattava di una formale dichiarazione di guerra alla Russia.
Alla fine si è deciso che 90 miliardi a Kiev verranno finanziati a tasso zero dal bilancio dell’Unione Europea (vale a dire con i soldi di chi paga le tasse) senza attingere ai beni russi congelati. Ciò che è demenziale in tutta questa faccenda che si trascina da decenni, è il fatto che la UE, ovvero il partito della guerra che governa la UE, considera la Russia un avversario strategico. La Cina può stare tranquilla e continuare a fare shopping qui da noi.
giovedì 18 dicembre 2025
Premio Nobel per la Guerra
Il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, ha presentato ieri una denuncia penale in Svezia contro la Fondazione Nobel e 30 singoli membri della fondazione stessa, accusandola di aver trasformato il Premio Nobel per la Pace in uno “strumento di guerra”. Il giornalista accusa in particolare la presidente della Fondazione Nobel, Astrid Söderbergh Widding, e la direttrice esecutiva, Hanna Stjärne, di abuso di fiducia, appropriazione indebita di fondi della fondazione e complicità in crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Ciò anche a seguito dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2025 alla golpista venezuelana María Machado. La denuncia è stata presentata contemporaneamente alla all’Autorità svedese per i reati economici (Ekobrottsmyndigheten) e all’Unità svedese per i crimini di guerra (Krigsbrottsenheten) per violazione della fiducia, appropriazione indebita grave e associazione a delinquere.
La Fondazione Nobel ha agito in violazione degli obblighi della Svezia ai sensi dello Statuto di Roma, poiché gli imputati erano a conoscenza dell’incitamento e dell’appoggio di Machado alla commissione di crimini internazionali da parte degli Stati Uniti, e sapevano o avrebbero dovuto sapere che l’erogazione del premio Nobel avrebbe contribuito alle uccisioni extragiudiziali di civili e naufraghi in mare, violando il loro obbligo di cessare l’erogazione. Assange chiede che il pagamento del premio di undici milioni di corone svedesi (circa 1,18 milioni di dollari) a Machado venga immediatamente interrotto.
Assange giustifica la sua affermazione citando il testamento di Alfred Nobel del 1895. Esso stabilisce chiaramente che il Premio Nobel per la Pace debba essere assegnato a una persona che, nell’anno precedente, abbia dato un contributo speciale e “conferito il massimo beneficio all’umanità”, svolgendo “il maggior o il migliore lavoro per la fratellanza tra le nazioni, per l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti e per la tenuta e la promozione di congressi per la pace”.
Questa restrizione si applica, indipendentemente dalle decisioni politiche prese dal Comitato norvegese per il Nobel, agli amministratori svedesi dei fondi della fondazione, che sono legalmente responsabili del rispetto del testamento di Nobel. Gli imputati hanno obblighi legali concreti perché hanno il compito di “garantire il raggiungimento dello scopo previsto dal testamento di Alfred Nobel, ovvero porre fine alle guerre e ai crimini di guerra, e non di favorirli”.
Nei fatti, Machado ha ripetutamente istigato un intervento militare contro il Venezuela e ha pubblicamente sostenuto gli attacchi statunitensi contro il Paese. Nel testo della denuncia, Assange contesta anche le posizioni di Machado favorevoli a una possibile concessione delle risorse petrolifere del Paese agli Stati Uniti in caso di caduta del presidente Nicolás Maduro.
Inoltre, la cerimonia di premiazione ha coinciso con un periodo di escalation militare nei Caraibi, dove gli Stati Uniti hanno ammassato navi da guerra e bombardato presunte navi della droga per settimane. Con l’erogazione del premio in denaro, questa escalation è indirettamente legittimata e sostenuta finanziariamente. “Il fondo per la Pace di Alfred Nobel non può essere trasformato da strumento di pace in strumento di guerra”, ha affermato, citando infine le dichiarazioni della golpista venezuelana a sostegno del premier israeliano Benjamin Netanyahu, ritenute incompatibili con lo spirito del riconoscimento.
Machado ha dedicato il premio al presidente degli Stati Uniti Trump, perché “ha finalmente posto il Venezuela [...] tra le priorità degli Stati Uniti”. Va ricordato che María Machado è la figlia di un magnate dell’acciaio, già proprietario dell’industria siderurgica Sivensa, nazionalizzata da Hugo Chàvez.
martedì 16 dicembre 2025
È promettente
«L’uomo è la somma delle sue esperienze climatiche [...]. L’uomo è la somma di tutto quello che vuoi.»
In questa stagione regna la tristezza, e non solo perché non posso più andare in giardino e cala la sera alle 16. Non solo l’angoscia di vivere e non vivere veramente, ma anche quella che vive nella mia testa e che ha a che fare con la depressione politica, tormento sconosciuto ai più. È come se tutti non solo si fossero rassegnati, ma trovassero vantaggioso abbracciare la prospettiva del peggio. Che è promettente.
Basta vedere quei personaggi del circoletto mediatico e politico che si sono spudoratamente esibiti nel presepe fascista, con lo stesso spirito di totale impudenza che un tempo contraddistinse i portavoce craxiani e poi altri ancora. L’Italia, la Germania, la Francia sono pronte o si preparano a essere sodomizzate dal fascismo (che non è solo Meloni, Le Pen, Weidel: c’è molto altro); ancora una volta e ne stanno già godendo: le oligarchie sono favorevoli, hanno già dato i loro ordini e i contratti sono pronti, tutto va per il meglio in questa Europa di affari marci.
In questi nostri giorni incerti, vi sono politici, generali e ammiragli che invitano le famiglie a prepararsi. A che cosa? A donare i propri figli alla patria. Una pressione diretta contro tutti, e ciò malgrado tutto avviene senza che la gente insorga e li rincorra con l’accetta per farli a pezzi. Almeno un mormorio! Niente.
O un accordo su tutto, o nessun accordo
In ogni foto, di qualunque consesso internazionale, Meloni è ai margini. Per una foto con lei al centro ha bisogno dell’autoscatto. Quelle dove guaisce, gli riescono meglio.
I colloqui tra Stati Uniti e Ucraina presso la Cancelleria di Berlino si sono conclusi ieri pomeriggio, dopo due giorni. Il governo tedesco, che ha ospitato i colloqui, non è stato coinvolto nelle discussioni, né lo sono stati gli altri Stati membri dell’UE. Nella sostanza gli europei hanno fornito il servizio di catering per la cena.
Con la moltitudine di piani, contropiani, proposte e “linee rosse” riguardo a una possibile fine della guerra in Ucraina, l’unica parte con cui sarebbero necessari negoziati per qualsiasi progresso, la Russia, è completamente assente dalla trattativa. La Russia vuole chiaramente negoziare “tra padroni”, ossia con Washington (chi, come Prodi, pensa che la Cina si faccia coinvolgere, non ha capito nulla della Cina, né della Russia e di tutto il resto).
Domenica, Zelenskyj ha dichiarato la volontà di rinunciare all’adesione alla NATO. Ciò sarebbe subordinato a garanzie di sicurezza da parte degli Stati Uniti, modellate sull’articolo 5 dell’Accordo sullo status delle forze armate della NATO. L’articolo 5 non stabilisce automaticamente la mutua assistenza. In caso di attacco, gli altri Stati membri interverranno in aiuto del Paese attaccato in qualsiasi modo ritengano appropriato e opportuno farlo.
Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha affermato che la questione NATO era una “pietra angolare” di tutti i colloqui sulla fine della guerra; tuttavia, qualsiasi potenziale ritiro ucraino avrebbe dovuto essere dichiarato giuridicamente vincolante ai sensi del diritto internazionale. Infatti, che cosa succederebbe se, alle prossime elezioni statunitensi, un presidente democratico tornasse alla Casa Bianca e ribaltasse la situazione? Putin non è credulone come Gorbaciov.
Peskov ha affermato che il presidente Putin sarebbe pronto per la pace, ma non è interessato ad “alcun trucco mirato esclusivamente a guadagnare tempo e creare tregue artificiali e temporanee per l’Ucraina”. Infatti, ha appena ordinato alle sue truppe di continuare l’”operazione speciale” fino al raggiungimento di tutti gli obiettivi politicamente definiti.
Il generale russo responsabile del settore settentrionale del fronte ha riferito che erano in corso dei preparativi per intensificare gli attacchi nelle regioni di Sumy e Kharkiv. Si tratta di regioni che, secondo tutte le versioni note del piano Trump, dovrebbero essere restituite all’Ucraina. Pertanto, un’offensiva non avrebbe senso se fossero stati stipulati accordi precedenti. Al contrario, la comunicazione della Russia è un messaggio alla controparte: finché non si raggiunge un accordo su tutto, non si raggiunge un accordo su nulla. Non siamo interessati a soluzioni parziali.
Posto che si stia andando davvero verso la pace (personalmente non lo penso, la UE non vuole riconoscere la sconfitta), si andrà verso una nuova Yalta. Se l’Ucraina ha perso la guerra, la UE ha perso la faccia per sempre. Ha perso l’occasione di stabilire un asse strategico con la Russia, e col voltafaccia trumpiano diventa solo una bandierina al vento. Perciò gli ultra liberali europei si stanno agitando freneticamente e ruggendo come tigri. La loro pelle finirà come zerbini. Purtroppo assieme alla nostra.
lunedì 15 dicembre 2025
La sagra fascista
La vittoria alle elezioni e la conquista del potere ha rinvigorito, anche ideologicamente, la nuova destra fascista italiana, ed è per tale via che vorrebbe imporre alcuni dei suoi temi culturali. La consacrazione di una “cultura” con risonanza metafisica e ontologica, che tenta di forgiare una propria tradizione attingendo in particolare alla mitologia dell’indoeuropeismo come ricerca della patria primordiale e un comunitarismo di stampo nativo-americanista (con nonchalance le due cose insieme).
Tuttavia, la concezione ideale e concreta del nuovo fascismo rimane quella di una società profondamente etno-differenzialista che adotta come fondamento non il demos della comunità politica, ma l’ethnos della comunità culturale. Non deve dunque meravigliare come tale approccio, incentrato sulla difesa dei popoli e delle tradizioni europee, sia riuscito a conquistare molti ambiti, partendo da una base ristretta, per diventare la matrice di un intero pensiero politico di destra contemporaneo.
Non a caso viene messa in discussione la cittadinanza per nascita a favore di quella per discendenza, poiché l’obiettivo non è quello di legare cittadinanza e nazionalità, ma di naturalizzare il problema della cittadinanza collegandolo alla questione dell’origine. Su questa vexata quæstio dell’universalismo, fatto proprio tout court dalla sinistra, la destra vince tre a zero a tavolino. Joseph de Maistre ricordava di aver incontrato russi, tedeschi e inglesi, ma nessun uomo. Gratta col ditino nell’ideologia della destra e appare questa merda qua.
L’etno-diferanzialismo però non basta, servono altri padri nobili per ammantarsi di una caratura culturale di peso. Il richiamo a Pasolini, mai troppo amato a sinistra, quindi ad un cosiddetto “gramscismo di destra”, che altro non è che un gramscismo da mensa studentesca. Così come tutto il resto, i loro riferimenti e richiami sono di scarsa complessità e profondità, incapaci di pensare alle idee come produzioni storiche.
Un esempio paradigmatico è il ministro della cultura Giuli, che vorrebbe presentarsi con l’immagine dell’esteta per far dimenticare di essere un ideologo di seconda mano del nuovo fascismo. Lo stesso ineffabile ministro che alla Fiera del libro di Torino acquista le opere complete di Marx ed Engels. Per farne che cosa è facilmente intuibile, posto che il marxismo in Italia nella migliore delle ipotesi è ridotto ad un economicismo.
Leggo, oggi, che viene citato l’incontro tra Nietzsche e Marx a Nizza il 5 maggio del 1882 (*). Cosa ovviamente del tutto inverosimile, ma che al brodo sottoculturale di questa genga neofascista risulta intrigante. Ora, non ci resta che attendere che questi “nuovi” fasci risorti dalle fogne attacchino la sinistra cialtrona con il pretesto di difendere il comunitarismo.
In conclusione, il finto distacco del fascismo odierno dalla sua matrice originaria non deve ingannarci: è semplicemente ipocrita, indisponibile a chiarire la sua effettiva posizione e rispondere del peso tragico del fascismo.
(*) L’incontro tra i due ovviamente non è mai avvenuto. Vero è che Marx, proveniente da Algeri e sbarcato a Marsiglia il 5 maggio mattina, prima di raggiungere, il giorno dopo, Monte Carlo, per incontrarsi col dott. Delachaux, médicin-chirurgien, si ferma a Nizza (Nice), visita la città e i suoi dintorni. Che Nice possa aver alimentato qualche mediocre fantasia è pure possibile. Tra le altre cose, sarebbe stato improbo riconoscere Marx nelle sue nuove fattezze, in quanto pochi giorni prima, ad Algeri, s’era fatto radere a zero la celebre barba e tagliare i capelli (vedi: Marx ad Engels, lettera dell’8 maggio 1882, Lettere 1880-1883, ediz. Lotta comunista pp. 201-03; MEW, vol. 35, pp. 60).
domenica 14 dicembre 2025
Una pietra miliare
Post dedicato al sig. Graziano Delrio
Si finge preoccupazione per il cambio di proprietà di un paio di giornali. Liberal-cialtroni e filosionisti possono stare tranquilli: la linea editoriale, ossia ideologica, non cambierà. Non c’è da preoccuparsene in un sistema totalitario come il nostro, che con feroce delicatezza ci garantisce una certa opulenza in cambio di sostanziale obbedienza e credulità. Salvo e di rigore la “disciplina nella spesa pubblica”, vale a dire ulteriori tagli ai servizi.
Siamo a tutti gli effetti nel pieno di una situazione rivoluzionaria, tanto che si discorre ad ampio raggio di “distruzione creativa”, guidata ovviamente dall’intelligenza artificiale. Tradotto: affossare il vecchio capitale industriale a favore della “innovazione di frontiera”. Non possono che venire in mente le parole di Marx del Manifesto. Poi, di qui a un lustro o due, quando ci si accorgerà che il “nuovo” capitalismo si troverà di fronte ad ancor maggiori difficoltà nel far compiere il necessario salto organico al capitale, saremo tutti nella merda. Chi più e chi meno, al solito.
In nome della “distruzione creativa” passeremo dalla corsa al riarmo alla produzione bellica tout court. Dal lato popolare (chiamo così l’astrazione interclassista), nessuno vuole distruggere tutto e invece ognuno tende a conservare la posizione acquisita. La cosiddetta maggioranza globale non chiede una rivoluzione, nonostante l’accumulo di gigantesche contraddizioni.
Ci accontentiamo, di volta in volta, di un buon natale, con tutti gli eccessi connessi, compresa la libertà di credere o non credere nel momento stesso in cui piazziamo il bambinello ebreo nel presepe. Il natale è una pietra miliare cruciale nella storia, l’individuo la cui memoria viene onorata era una persona a dir poco straordinaria. Mi chiedo se oggi Gesù sarebbe un colono israelita con il mitra o un soldato di Netanyahu. In entrambi i casi, un assassino.
venerdì 12 dicembre 2025
La dottrina Trump
Ai più non importerà nulla, presi come siamo dalle nostre piccole beghe domestiche. Ed è inutile chiedere ai grandi democratici e liberali che popolano i quartieri televisivi che cosa ne pensino. Si tratta dell’oligarchia statunitense (che esista, non c’è più alcun dubbio), la quale sta seguendo le orme dei suoi nuovi modelli di riferimento, i signori della guerra del Corno d’Africa, che da anni si danno alla pirateria.
Il fatto: mercoledì, militari statunitensi, calandosi dagli elicotteri come in un film d’azione a basso costo, sono saliti a bordo e hanno sequestrato una petroliera in navigazione vicino alla costa venezuelana. Secondo quanto riportato dai media statunitensi, la petroliera è la Skipper, carica di 1,1 milioni di barili di petrolio che dal Venezuela era diretta a Cuba. Il Procuratore Generale degli Stati Uniti, Pam Bondi, ha spiegato che la nave era sulla lista delle sanzioni statunitensi perché in precedenza aveva trasportato petrolio sanzionato dall’Iran e dal Venezuela.
Uno dei circa 200 Stati esistenti nel mondo decide di irrogare sanzioni economiche a destra e a manca, come gli pare e piace, quindi di sequestrare beni e, in questo caso, una petroliera. Tutto normale e giustificato dalle parti dei patrioti della libertà e dei diritti umani. Sono fascisti, ma loro ancora questo non lo sanno.
Il Venezuela, che ha bisogno dei proventi del petrolio per finanziare le importazioni di cibo e medicinali, ha protestato contro l’attacco statunitense alla petroliera. Il Ministero degli Esteri di Caracas lo ha definito “una rapina sfacciata e un atto di pirateria internazionale”. Questo è giuridicamente corretto: il diritto internazionale garantisce la libertà di navigazione in alto mare. Le sanzioni statunitensi, come quelle contro il petrolio iraniano o venezuelano, non si applicano comunque lì.
Ma quelle delle autorità venezuelane sono parole al vento, non servono a nulla. Washington capisce solo il linguaggio della forza. La Storia degli Stati Uniti è una storia di genocidio, di persecuzioni, soprusi e atti di violenza contro chi non può difendersi. Ora assistiamo a una ripresa ufficiale della Dottrina Monroe, con un “addendum Trump” che va definendosi (Trump ha annunciato che “succederanno altre cose”).
Anche l’UE, i cui Paesi possono vantare una storia invidiabile di crimini contro l’umanità (Spagna, Germania, Francia, Italia, Belgio, Portogallo, eccetera) sta discutendo il sequestro di petroliere che trasportano petrolio straniero, russo, nel Mar Baltico, sebbene sia ancora un po’ titubante nella pratica. Ci provassero.
L’attacco alla petroliera e il suo successivo sequestro sono avvenuti lo stesso giorno dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace alla golpista venezuelana Machado, che sostiene apertamente il rovesciamento del presidente Nicolás Maduro attraverso un’invasione statunitense.
Si prevedono ulteriori attacchi alle petroliere che trasportano petrolio venezuelano; l’agenzia Reuters ha riferito che oltre 30 navi sono state considerate “a rischio”. Tuttavia, la società statunitense Chevron rimane attiva in Venezuela, organizzando l’esportazione di petrolio venezuelano verso gli Stati Uniti per profitti sostanziali. Sarà inoltre interessante vedere se la coraggiosa amministrazione Trump oserà sequestrare le petroliere dirette in Cina, destinazione della maggior parte delle esportazioni di petrolio venezuelano.
giovedì 11 dicembre 2025
Prevalgono le dimensioni
Lunedì, sul quotidiano statunitense Politco, Trump ha offerto questa autovalutazione, confezionata come opinione comune: “Sono considerato una persona molto intelligente”. Per la sua eccentricità e il suo narcisismo sconfinato non rientra per nulla negli schemi consolidati dell’establishment americano, ma a volte ci vuole un pazzo per imporre la ragione. Ad esempio, nel caso di una guerra che costa innumerevoli vite e non può essere conclusa senza compromessi territoriali.
Come businessman, a differenza degli invasati guerrfondai leader europei e dei rappresentanti della NATO, Trump ha una visione sobria della situazione negoziale in Ucraina: ritiene che la guerra sia dannosa per i profitti. Allo stesso tempo, sottolinea che nessuno dovrebbe morire (a meno che non siano venezuelani). Alla domanda su quale delle due parti in guerra sia in una posizione più forte, risponde senza esitazioni: “La Russia”. Non gli interessa cosa sia giusto o sbagliato: “Sai, alla fine, di solito prevalgono le dimensioni”.
Gli chiedono: “E Zelenskyj?” Risponde: Deve imparare “ad accettare le cose”. A quelli che insistono nel sostenere l’Ucraina “finché non vincerà questa guerra”, Trump ribatte: “finché non crollerà”. Non è follia, si tratta di pragmatismo. Quello che manca a quei pezzi di merda che ogni giorno parlano di riarmo e di guerra. Un sano pragmatismo che può salvare vite umane. I politici europei, ma in primo luogo quelli ucraini, dovrebbero capire che “devono stare al gioco”. Non sono nella situazione di avanzare richieste massimaliste.
Se si fossero valutate le “dimensioni”, questa guerra non sarebbe mai incominciata. Centinaia di migliaia di persone non sarebbero morte invano. Ma è stato Putin. Eh già, è stato lui a cominciare questa guerra. Non ci sono dubbi: la Nato, la UE, Washington, i fascisti ucraini, in alcun modo volevano questa guerra. Dopo l’Ucraina toccherà alla Polonia, poi al resto d’Europa, i cosacchi in Piazza san Pietro. La buona notizia è che si sa già chi li accoglierebbe a braccia aperte.
Ci pensa quel pezzo di galantuomo di Calenda al tracciamento.
mercoledì 10 dicembre 2025
Da una distanza di sicurezza
Oggi, a Oslo, è stato conferito il premio Nobel per la pace alla figlia di un magnate dell’acciaio, già proprietario dell’industria siderurgica Sivensa, nazionalizzata da Hugo Chávez.
María Corina Machado, questo il suo nome, sta cercando di far tornare indietro le lancette dell’orologio a favore della sua classe sociale. Incarna perfettamente l’oligarchia razzista venezuelana, desiderosa di cancellare la rivoluzione bolivariana e l’inclusione della popolazione meticcia.
Fautrice di un programma ultraliberista simile a quello di Milei in Argentina, nel 2010 è stata eletta al parlamento. Nel 2012 si è candidata alle primarie di destra, ma ha ottenuto solo il 3% dei voti. La sua base elettorale è costituita da ONG come Sumate e Vente Venezuela, finanziate dagli Stati Uniti. La sua ammirazione per il Likud è un riflesso di ciò che avrebbe fatto al potere, dopo aver sostenuto senza successo i colpi di stato contro Chávez e poi contro Maduro.
Machado fu tra i firmatari del decreto golpista che abolì tutte le autorità democratiche nel Paese e insediò come presidente il capo dei padroni venezuelani, Pedro Carmona (va ricordato che negli Stati Uniti, il XIV Emendamento vieta a coloro che sono stati condannati per insurrezione di ricoprire cariche pubbliche).
Già un paio di decenni or sono, Machado aveva chiesto l’intervento degli Stati Uniti. Oggi, questa sostenitrice di Trump sta apertamente sostenendo un’invasione statunitense per rovesciare il legittimo presidente Nicolás Maduro.
Una flotta di navi da guerra statunitensi solca il mare del Venezuela nei Caraibi con una forza d’invasione di 15.000 marines e i caccia penetrano nello spazio aereo del paese sudamericano ricco di petrolio. Inoltre, va ricordato che il Venezuela non viene attaccato perché è una “dittatura”, ma perché bisogna contenerne l’esempio contagioso.
Alfred Nobel, istitutore dell’omonimo premio, voleva onorare le persone che promuovono la “fratellanza tra le nazioni” e si impegnano per “l’abolizione o la riduzione degli eserciti permanenti”.
Secondo il Comitato per il Nobel, la donna venezuelana si è qualificata per il premio grazie al suo “impegno instancabile per i diritti democratici del popolo venezuelano e alla sua lotta per una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”.
In assenza di Machado, è stata la figlia a ritirare il premio. Poco prima della cerimonia di premiazione, Machado ha annunciato su X di essere in viaggio per Oslo. L’Istituto Nobel la attende a breve. Probabilmente ha deciso di attendere l’agognato attacco al suo Paese da una distanza di sicurezza.
martedì 9 dicembre 2025
Il discrimine
La rapida ascesa di un’economia può creare problemi al capitale di altre economie, perché il suo successo limita la capacità di vendita di altri. Semplice aritmetica. In fondo è questa la ragione della diffusa paura della Cina: aumentate i vostri consumi interni e smettete di inondare i mercati occidentali con i vostri prodotti a prezzi più vantaggiosi. Anche con i dazi, effettivi o solo minacciati, la fine dei vantaggi competitivi della Cina non è all’orizzonte. Sarà principalmente questo basilare motivo economico il discrimine nel prossimo futuro tra la pace e la guerra su scala mondiale. Al bisogno pioveranno motivazioni politiche, etiche e altro, per cui il capitalismo e i relativi rapporti tra Stati non c’entreranno per nulla.
lunedì 8 dicembre 2025
Come bambini
Il meteo prometteva neve, poca. E così il bianco è tornato a coprire i vivi nelle loro zone di comfort in cemento/vetro e i morti nei cimiteri. Per il resto, siamo pressappoco al dicembre 1941. Già in guerra con la Russia e ora anche con gli Stati Uniti. Di follia in follia, tra un vin brûlé e l’altro. Come fosse una ragione d’essere, un gioco di bambini.
sabato 6 dicembre 2025
L'attesa
Le nostre ferite quotidiane assumono spesso la forma dell’esaurimento. Esaurimento su tutto, corsa senza fine su una specie di tapis roulant. Come possiamo rimanere connessi alla realtà, alle sue immagini, alle sue reti, senza crollare? Lo so, lo sappiamo, la prima domanda che ci dovremmo porre è: ma chi ci obbliga a correre? Poi, chi trae beneficio dal farci correre dietro a noi stessi in questo modo, anche se ci sfinisce? Eh, già rispondere a questo significa rimettersi sul tapis roulant. E invece scelgo di fermarmi, di tirare il fiato mettendomi in una attesa tranquilla e senza ansia, a -6° nella stazioncina di Niendorfer.
giovedì 4 dicembre 2025
La chimica della geopolitica
Forse sapete già tutto sul terbio, tuttavia lo racconto lo stesso. È il cugino, da parte di padre svedese, di erbio, itterbio e ittrio. È un drogante, migliora le proprietà di vari materiali. Per procurarselo bisogna rivolgersi ai cinesi e ci vogliono mesi, mentre i perfidi statunitensi se lo procurano dalla stessa fonte in poche settimane. Da quanto precede, avrete capito che: 1) il terbio appartiene al gruppo delle terre rare (lantanidi); 2) che la chimica riguarda la competizione geopolitica e commerciale, dunque non è come la fisica teorica, diventata un ramo della teologia.
Il processo di estrazione di terre rare non è solo economicamente costoso, ma ha anche gravi conseguenze ambientali. Ciò solleva la questione della sostenibilità delle energie rinnovabili, che si basano su tecnologie che consumano grandi quantità di metalli.
Ieri, la Commissione Industria dell’UE ha presentato a Bruxelles nuovi piani per l’approvvigionamento di terre rare (RESourceEU). A tale riguardo, sta circolando un rapporto allarmante dell’agenzia di stampa statunitense Bloomberg. Secondo il rapporto, le aziende statunitensi stanno giocando duro nella lotta per l’accesso alle terre rare, eliminando sempre più i concorrenti europei che potrebbero esaurire queste materie prime insostituibili nel giro di pochi mesi. Bloomberg basa le sue conclusioni sulle dichiarazioni di trader di materie prime e imprenditori con una visione diretta dell’attività di mercato.
Il piano presentato dalla Commissione Industria prevede investimenti dedicati per “catene del valore integrate delle materie prime critiche con l’Ucraina, i Balcani occidentali e il suo vicinato meridionale”. Insomma, nelle trincee ghiacciate gli ucraini non stanno soffrendo e morendo per nulla.
Inoltre, “l’UE sostiene l’Alleanza per la produzione di minerali critici del G7, guidata dal Canada”. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha accelerato le guerre per le risorse. Washington ha messo gli occhi sulle risorse minerarie della Groenlandia, così come lo scazzo con Ottawa riguarda soprattutto le terre rare e non la pesca del salmone. Il Canada possiede ingenti giacimenti di terre rare e intende dedicarsi non solo all’estrazione, ma soprattutto alla lavorazione.
Anche un certo numero di paesi africani ha iniziato a lavorare su progetti a diversi stadi, tra cui il Sudafrica (Progetti Glenover e Phalaborwa), l’Angola (Progetto Longonjo), il Madagascar (Tatalus), il Malawi (Kangankunde, uno dei più grandi giacimenti di terre rare al mondo), il Mozambico (Projet Xiluvo REE), la Namibia (Lofdal Heavy), l’Uganda (Progetto Makuutu), e la Tanzania (il Progetto Ngualla).
L’accordo di pace tra la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, del 27 giugno 2025, garantisce agli Stati Uniti l’accesso a diversi siti di estrazione del litio. E tuttavia, nell’ambito della Belt and Road Initiative, i colossi industriali cinesi, come Zijin Mining, stanno già sfruttando siti chiave, tra cui la più grande riserva di litio al mondo a Manono , nel sud-est della RDC.
L’’Europa, un erbivoro in un mondo di carnivori, sta diventando sempre più “introspettiva” (pensa alle sanzioni alla Russia), mentre le economie del Mediterraneo orientale e meridionale diventeranno il fulcro principale per la crescita del commercio e degli investimenti africani. Il presidente turco Erdoğan ha già effettuato 60 visite ufficiali nel continente tra il 2002 e il 2024.
Ma non solo. Anche l’Australia, sebbene sia già il secondo produttore mondiale di terre rare, si impegna costantemente a sviluppare nuove fonti per ridurre il predominio cinese, in linea con gli interessi di Washington. Alcune società australiane sono attualmente attive nei progetti, per esempio in Tanzania (progetto minerario Ngualla con la società Peak Rare Earths).
Il Giappone, da parte sua, sostiene progetti africani sulle terre rare dal 2010, ad esempio in Namibia e Sudafrica, attraverso la Japan Oil, Gas and Metals National Corporation.
La Cina è il principale importatore mondiale di minerali di terre rare, con quasi 130.000 tonnellate. Questa dipendenza è spiegata da limitazioni geologiche: Pechino non possiede tutti i 17 elementi delle terre rare. Il suo vero potere risiede nella raffinazione (oltre il 90% della capacità globale). Il potere non deriva solo dal possesso delle risorse, ma anche dalla capacità di controllarne l’estrazione e le tecnologie ad esse associate. In altre parole, la Cina non possiede tutto, ma nulla le sfugge.
La Cina, nel corso degli anni si è offerta come partner chiave per l’Africa. Offre investimenti e finanziamenti nelle infrastrutture in scambio di risorse e diritti di esplorazione mineraria ed energetica nel continente africano.
Nelle profondità abissali del Pacifico si cela un tesoro ambito: noduli polimetallici, ricchi di cobalto, nichel e altri minerali. Queste risorse sono oggi al centro delle ambizioni geopolitiche globali. La zona di Clarion-Clipperton, che si estende per 4,5 milioni di chilometri quadrati tra le Hawaii e il Messico, è particolarmente apprezzata. Si ritiene che le sue riserve di nichel e cobalto superino quelle presenti sulla terraferma, aprendo la prospettiva di una vera e propria “corsa agli abissi”.
Nel 2025, la Cina ha ottenuto l’autorizzazione dall’Autorità Internazionale dei Fondali Marini per avviare i test di estrazione. Nel frattempo, il Giappone prevede di lanciare la sua più ambiziosa missione mineraria in acque profonde nel 2026, con l’obiettivo di estrarre giacimenti a una profondità di 5.500 metri vicino all’atollo disabitato di Minami-Torishima (vicino Iwo Jima).
Non esiste transizione verde, né internet, né nanoricerca medica, né armi avanzate, né intelligenza artificiale, né praticamente nessuna soluzione tecnologica senza le terre rare. Insomma, le questioni geoeconomiche sono un po’ più complesse di come ci vengono di solito presentate dai media.
















