Spirano venti di guerra, di lucida e consapevole follia, nella quasi indifferenza dei popoli dell’opulento e indolente Occidente. Popoli che sembrano non avere più né coscienza né volontà autonoma rispetto al futuro distopico che ci viene promesso. Un tono d’impotenza e di desolazione sembra pervaderci tutti o quasi. Ne è un esempio quanto sta accadendo in Europa, dove il dispotismo del nostro tempo parla e minaccia quotidianamente di precipitarci in uno scontro ancora più aperto e diretto con la Russia, poi chissà contro chi altri.
L’altro esempio che non può non preoccupare viene dagli Stati Uniti. Che cosa è stato detto ai generali americani martedì 30 settembre a Quantico, in Virginia, dopo essere stati convocati da Trump e dal suo ministro della Difesa ed ex conduttore televisivo, Pete Hegseth? All’ordine del giorno: autocelebrazioni per la fine della cosiddetta “cultura woke” nelle forze armate. Hegseth, quello con le croci di ferro tatutate sul proprio corpo, è stato chiaro: “Questa stronzata è finita”.
Ora, l’amministrazione Trump ha carta bianca per assecondare le proprie ossessioni. Ad esempio, il presidente americano propone di “usare le città pericolose come campi di addestramento”. Finirà che prima o poi un paese come l’Iraq invaderà gli Stati Uniti per portarvi la democrazia.
L’esercito ha ricevuto la sua dose di proposte stravaganti, come quando Trump ha trascorso diversi minuti a spiegare, sotto lo sguardo sbalordito di generali e ammiragli, che non gli piacciono le navi da guerra che vengono costruite in questo momento. “Mi piacciono molto le cose estetiche e penso che le navi attuali siano brutte. Non devi essere brutto per essere stealth [furtivo, invisibile]”. Silenzio nella grande sala.
Il silenzio diventa ancora più eloquente se si considera che tutti i leader militari più influenti sono già stati rimossi (*). I rapporti tra Trump e l’esercito hanno una lunga storia. Durante il suo primo mandato, furono notoriamente e particolarmente tesi. Le tensioni raggiunsero l’apice sotto il generale Mark Milley, che guidò l’esercito dal 2019 al 2023 e fu un definito anti-trumpista.
Già nel 2020, al culmine del movimento Black Lives Matter, il generale rifiutò l’ordine di Trump di schierare l’esercito nelle città che il presidente riteneva a rischio di rivolte. Ma soprattutto l’odio del presidente per le sue truppe deriva dal fallito colpo di stato del 6 gennaio 2021. Quel giorno, il sindaco di Washington schierò la Guardia Nazionale per proteggere il Campidoglio dai rivoltosi. Il Pentagono, ancora filo-Trump, fece tutto il possibile per ritardare lo schieramento delle truppe, ma alla fine dovette cedere. Di conseguenza, soldati americani furono fotografati in uniforme da combattimento davanti al Campidoglio, di fronte ai golpisti del MAGA. Trump era furioso.
Trump e i suoi collaboratori hanno imparato dagli errori del loro primo mandato. La nuova strategia è semplice: garantire la lealtà assoluta di tutti estromettendo qualsiasi alto ufficiale possa rendersi troppo indipendente. Diversi media americani stanno tuttavia riportando l’anonima esasperazione di molti ufficiali per questo tentativo di politicizzare l’esercito. Ma quanti di loro, in assenza di qualsiasi supporto istituzionale, si rifiuteranno di eseguire ordini illegali? Impossibile saperlo.
Perché, di là delle purghe, il piano dell’amministrazione Trump per l’esercito sta iniziando a prendere forma. Nel suo discorso del 30 settembre, tra le elucubrazioni sulle corazzate e le barbe dei pagani nordici, il presidente è stato chiaro: basta “prendersi cura di Kenya e Somalia”, è tempo che gli eserciti si rivolgano al “nemico interno”. Da allora, la Guardia Nazionale è stata inviata a Los Angeles per gestire le proteste contro le espulsioni di massa, e a Washington per missioni di “ripulitura” delle strade – in questo caso, per espellere ogni forma di povertà e immigrazione.
Non c’è dubbio che in caso di una grande rivolta popolare, resistenza o insubordinazione da parte dei governatori democratici, i manifestanti non affronteranno la polizia, ma i reggimenti. E per i generali che si rifiutano di mandare i propri soldati contro i cittadini, il presidente è stato altrettanto chiaro: “Se non vi piace quello che dico, lasciate questa stanza. Ma lascerete qui il vostro grado e il vostro futuro”.
(*) Dal ritorno al potere del golpista del Campidoglio, le forze armate hanno subito una serie di epurazioni ai massimi livelli. Il 21 febbraio 2025, Trump ha preso l’iniziativa di licenziare il generale Charles Brown, capo dello Stato Maggiore Congiunto, a causa del suo coinvolgimento in “questa stronzata della diversità woke”, ha spiegato Hegseth in un’intervista. Anche l’ammiraglio Franchetti, la prima donna a guidare la Marina degli Stati Uniti, è stata licenziata senza spiegazioni. Ma pochi giorni dopo, il Washington Post ha scoperto che in un libro pubblicato un anno prima, Pete Hegseth aveva definito Franchetti una ”garante della diversità” – in altre parole, era stata nominata a quella carica in base al suo genere. Motivazione forte per le circa 225.000 donne che indossano l’uniforme.
Ma la purga più significativa è senza dubbio quella che ha decapitato la giustizia militare. Quello stesso 21 febbraio, i generali Plummer e Berger, che avevano avuto la sfortuna di essere i consiglieri generali dell’Aeronautica e dell’Esercito, sono stati invitati a fare le valigie. Si tratta di posizioni cruciali in un esercito che afferma di rispettare lo stato di diritto, poiché sono proprio questi giuristi a dover valutare la legalità degli ordini, che provengano da un caporale o dalla Casa Bianca. Del resto, le recenti dichiarazioni del segretario alla Difesa, che ha chiesto di “abbandonare queste stupide regole di ingaggio” – ovvero le poche righe che impediscono ai soldati di sparare a chiunque – lasciano poco spazio ai dubbi: per l’amministrazione Trump, le regole della guerra sono obsolete.
Ad agosto, è toccato al capo dell’intelligence militare Jeffrey Kruse di essere messo alla porta. Ha avuto la sfortuna di dichiarare in un rapporto top secret che, contrariamente alle affermazioni della Casa Bianca, il programma nucleare iraniano non era stato completamente distrutto dagli attacchi israelo-americani del giugno scorso. Contemporaneamente, il Dipartimento della Difesa ha annunciato il pensionamento anticipato del generale David Wayne Allvin, comandante dell’Aeronautica Militare. L’uomo aveva tuttavia gareggiato con zelo per ingraziarsi il nuovo presidente, arrivando persino a proporre che il nuovo jet da combattimento si chiamasse F-47, in omaggio a Donald Trump, il 47° presidente degli Stati Uniti. Ma Allvin era troppo legato ai programmi di riorganizzazione avviati dall’amministrazione Biden. Nemmeno leccare gli stivali è più sufficiente.
Magari si innesca una bella guerra civile negli States.
RispondiEliminaSarebbe il sogno!
Il canale tv msnbc dice l'Uomo Arancione mostra gravi segni di decadenza senile e che è quasi incapace di intendere. Certo, infarcisce i suoi discorsi di strafalcioni (confonde l'Azeirbaijan con l'Albania e altre perle simili) ma per me sa benissimo quello che vuole e come ottenerlo. Di sicuro i suoi gerarchi lo sanno e sapranno usare anche la sua deficienza, che viene fatta passare per ingenuità naif e candore tipicamente americani.
RispondiEliminaPietro
Hanno giocato su tutto, anche con la vita di migliaia di bambini. È tempo di fare qualcosa di serio. Ma io non posso dire cosa e come. Per il semplice motivo che non posso dire agli altri cosa fare senza prendervi parte.
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