Ho spesso avuto parole critiche per le interviste di Paolo Bricco impastate di sdolcinatezze, ma quella di oggi sul Sole 24ore non è la solita sviolinata agli dei ex machina della imprenditoria italica, bensì un’intervista a colpi di sciabola ben assestati proprio a quella certa borghesia arruffona e incolta di parvenus attuali.
Merito soprattutto dell’intervistato: Piero Maranghi. Un’intervista da incorniciare a un uomo che, dati i chiari di luna attuali, sembra uscito da un’epoca senz’altro migliore della nostra. Basterebbe questa sua frase, riferita al passato: «era un mondo di adulti, si sbagliava da professionisti».
Figlio dell’ex presidente di Mediobanca, Vincenzo, Piero Maranghi afferma: «L’erosione della centralità di Mediobanca è stata compiuta, in particolare dall’establishment cattolico di sinistra. L’altro passaggio cruento e mai saturo è stato l’assegnazione della Comit all’Intesa del cattolicissimo Giovanni Bazoli. È stato un atto contro natura, in senso culturale e simbolico».
E, a proposito di fatti recentissimi: «Di fronte ai numeri milionari che vorticano intorno al Ceo uscente [di Mediobanca] Alberto Nagel, Piero dice: “È tutto legittimo. In una sola cosa Nagel e mio padre sono stati uguali, nella battaglia per Mediobanca: hanno ottenuto ciò che volevano. [Vincenzo] Maranghi la salvaguardia dell’istituto e dei suoi ragazzi e nulla per sé. Nagel molti milioni”».
Piero Maranghi rievoca, en passant, quando Ciriaco De Mita e Beniamino Andreatta, con l’avvallo di quella rana bollita di Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, volevano far fuori Enrico Cuccia da Mediobanca, e dice: «I cattolici sono strani. Vogliono sempre il perdono, o almeno la riconciliazione, anche in terra». E racconta un fatto dai contorni assurdi, ossia cosa si permise di fare «Un andreottiano in purezza come Cesare Geronzi al capezzale di mio padre, che era proprio agli ultimi [...]».
Poi, un’altra stoccata, tra le tante di taglienti e godibili: «La vicenda della politica e di Mediobanca, mutatis mutandis, è paragonabile a quella di Beatrice Venzi alla Fenice. In spregio ad ogni regola di buon senso e di consuetudine si cala dall’alto una figura del tutto inadeguata al ruolo e, poi, si sbraita che le critiche sono mosse solo da pretestuose ragioni politiche. Non è vero: la Venezi lì non ci può e non ci deve stare e non deve passare. Altrimenti, poi, vale tutto».
Si chiama onestà intellettuale e coraggio, roba da adulti.
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