Metà degli elettori se ne resta a casa e non va al seggio a votare. Il fatto è a danno soprattutto di quella che dovrebbe passare per l’opposizione politica. Come nulla fosse, l’ordine tassativo è di non parlarne. E, del resto, non si parla di lavoro, di salari, di contratti, di sfruttamento, di sanità, di fisco, di scuola, eccetera. Soprattutto gli avatar del capitalismo globalizzato non parlano della schiavitù che da tempo è stata reintrodotta in tutte le sue forme. Il capitalismo come unico sistema socio-economico è un dogma che non si discute.
La vittoria del capitalismo politico e l’ideologia del mondo a sua immagine. Se il predominio del modo di produzione capitalista è indiscusso, lo è anche l’ideologia secondo cui fare soldi non è solo rispettabile, ma anche l’obiettivo più importante nella vita delle persone, una motivazione compresa in tutto il mondo e in tutte le classi sociali. Viviamo in un mondo in cui tutti giocano secondo le stesse regole (apparentemente, chiaro), parlano lo stesso linguaggio del profitto (il miliardario e il salariato, cinesi o italiani che siano).
Gli ideologi del capitalismo spiegano questa conquista sostenendo che il sistema è “naturale”, che riflette perfettamente il nostro “io innato”: il nostro desiderio di scambiare, di ottenere guadagni, di lottare per migliori condizioni economiche e una vita più piacevole. Nelle loro azioni quotidiane, gli individui manifestano e quindi rafforzano i valori su cui si basa il sistema sociale. Lo scrive Marx, la citazione da Il Capitale la trovate qui a fianco, in esergo alla pagina del blog.
Eppure, al di là di alcune funzioni primarie, non è corretto parlare di desideri innati come se esistessero indipendentemente dalle società in cui viviamo. Molti di questi desideri sono il prodotto delle società capitaliste, le uniche rimaste. Ha ragione Meloni: si punta al week- end lungo, non alla rivoluzione. Anche se per rivoluzione s’intende ormai anche solo un minimo di opposizione allo strapotere del capitale. I fascisti (il blocco sociale è tutto un fascio) hanno facilmente ragione.
Ci siamo dimenticati (?) la lotta ideologica, oltre a tutto il resto. La riscopriamo, quella lotta, un poco solo nelle occasioni tipo quella odierna sulla Palestina. Ma per il resto è tabula rasa. Soprattutto si continuano a ignorare le cause del successo del populismo e del nazionalismo. È il prodotto del disagio nei confronti della globalizzazione, dalla polarizzazione sempre più marcata tra le classi sociali (la modificazione della loro struttura sulla base del reddito), tra chi si è arricchito e un numero significativo di persone che hanno beneficiato pochissimo della globalizzazione, che non la vogliono più e che vedono nella migrazione la causa di tutti i loro mali, compreso il declino della loro cultura tradizionale.
Vogliamo parlare di Palestina? È un dovere parlarne e agire. Ma prendiamo in considerazione anche il capitalismo. Il nuovo potere che sta sconvolgendo il liberalismo e la democrazia è un suo prodotto, così come un suo prodotto è stato ciò che è successo nella prima metà del Novecento. Ci ha portato alla guerra, nella quale immancabilmente ci precipiterà di nuovo. Crisi e conflitti sono forme della sua ciclicità fin dalla sua nascita nel XVI secolo.
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