Immaginiamo che un presidente del consiglio sia chiamato a rispondere del reato di corruzione in un tribunale. Che in aula, ad assistere al processo, oltre all’accusato/a si presentino i ministri del suo governo e tutti i deputati del suo partito. Abbastanza intimidatorio, penso.
È quanto è successo ieri al tribunale di Tel Aviv, dove seduto a una piccola scrivania, c’era Benjamin Netanyahu, che, sorridente, scrutava i banchi del pubblico dove stavano seduti i suoi sostenitori. Netanyahu e Sara Netanyahu (sua moglie) sono coinvolti in tre casi di corruzione, nel primo, il cosiddetto caso “1000”, è sospettato di aver fornito “favori” nel settore dei media ad Arnon Milchan, uomo d’affari e produttore cinematografico (Pretty Woman), in cambio di regali, champagne rosé, sigari e gioielli, per un valore di 260.000 dollari. In altri due casi, Netanyahu è accusato di aver tentato di “negoziare” una copertura mediatica più favorevole su due media israeliani.
“Sigari e champagne, a chi importa?”. Il presidente Donald Trump tre giorni fa aveva esortato il presidente israeliano Isaac Herzog a graziare il primo ministro Benjamin Netanyahu. Non è nuovo Trump nel chiedere l’annullamento del processo (“dovrebbe essere annullato immediatamente”, lo aveva già fatto nel giugno scorso, raccomandando altrimenti che venisse “concessa la grazia a un grande eroe”. Nero su bianco sul suo social network Truth.
P.S.: forse non ci crederete, ma grazie alle donazioni israeliane, viene costruito un villaggio per i bambini orfani di Gaza. È già iniziata la crociata per riscrivere la storia.
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