Oggi ricorre l’anniversario della proclamazione dello Stato d’Israele.
Poco prima di mezzogiorno del 14 maggio 1947, Andrei Gromyko, rappresentante permanente dell’Unione Sovietica presso le Nazioni Unite, salì sul palco della Sala dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a Flushing Meadows, nel Queens.
Gromyko disse che il popolo ebraico era stato sottoposto a “dolore e sofferenza indescrivibili. È difficile esprimerli in aride statistiche”. E ora “centinaia di migliaia di ebrei vagano in vari Paesi d’Europa”, molti dei quali nei campi per sfollati dove “continuano ancora a subire grandi privazioni. [...] È giunto il momento di aiutare queste persone, non con le parole, ma con i fatti. [...] Questo è un dovere delle Nazioni Unite”.
L’Unione Sovietica, disse ancora Gromyko, preferirebbe un “unico stato arabo-ebraico con uguali diritti per ebrei e arabi”, tuttavia se la commissione delle Nazioni Unite riteneva che ciò fosse “impossibile da attuare, in considerazione del deterioramento delle relazioni tra ebrei e arabi”, c’era un’alternativa “giustificabile”: “la spartizione della Palestina in due singoli stati indipendenti, uno ebraico e uno arabo”.
Per i due anni successivi, l’Unione Sovietica si dimostrò la più ferma grande potenza sostenitrice dello Stato ebraico in formazione e poi di Israele.
È poco noto, ma non solo l’Unione Sovietica sotto Stalin votò per la spartizione della Palestina, riconoscendo anche Israele (il primo Stato a farlo de jure, tre giorni dopo l’indipendenza, dunque il 17 maggio 1948) ma si era espressa a favore di uno Stato ebraico ben prima degli Stati Uniti.
Truman aveva sì riconosciuto immediatamente Israele (de facto ma non de jure), ma aveva già imposto un embargo sulle armi in Medio Oriente, costringendo Israele a cercare armi altrove (*).
Infatti, gli Stati Uniti votarono a favore della spartizione nel novembre 1947, ma nel marzo successivo dichiararono la spartizione impossibile da attuare e proposero al suo posto un’amministrazione fiduciaria “temporanea” dell’ONU (**). Alla vigilia del ritiro ufficiale della Gran Bretagna da Israele, nel maggio successivo, il massimo diplomatico americano stava ancora mettendo in guardia i leader israeliani dal dichiarare l’indipendenza.
L’Urss aveva mantenuto il suo sostegno sia prima che dopo il voto all’ONU, e aveva indirettamente assicurato che il neonato Stato avrebbe avuto il materiale bellico di cui aveva disperatamente bisogno per difendersi. Secondo Abba Eban, il primo ambasciatore israeliano all’ONU, senza il voto sovietico a favore della spartizione (insieme ai voti di Bielorussia, Ucraina, Polonia e Cecoslovacchia, mentre la Jugoslavia si astenne), e senza le armi fornite dal blocco sovietico, “non ce l’avremmo fatta, né a livello diplomatico né a livello militare”.
Stalin aveva due obiettivi, il primo dei quali si è in parte realizzato: senza cambiare la sua posizione ufficiale antisionista, dalla fine del 1944 fino al 1948 e anche dopo, adottò una politica estera filosionista, apparentemente credendo che il nuovo paese sarebbe stato socialista e avrebbe accelerato il declino dell’influenza britannica in Medio Oriente. Inoltre sperava che Israele, con una forte leadership socialista, potesse diventare un alleato dell’Unione Sovietica. Anche se ciò non è accaduto quando il Partito unificato degli operai non ottenne buoni risultati alle prime elezioni, Israele si è rifiutato di inviare un distaccamento militare a combattere a fianco degli Stati Uniti nella guerra di Corea. Nel 1950 Golda Meir dichiarò Israele neutrale nella Guerra Fredda.
Primo Maggio a Tel Aviv
Oggi la faccenda può apparirci poco verosimile, ma essa va inquadrata nella lotta per la supremazia mondiale e se guardiamo ai fatti di Suez (1956), ossia all’occupazione anglo- francese, troviamo conferma del sostanziale accordo tra Urss e Usa nello stoppare le mire di Londra e Parigi. Se in Medioriente non vi fosse il Canale e al posto del petrolio si producessero datteri, le cose, ieri come oggi, sarebbero molto diverse.
Ad ogni modo, il sionismo aveva altri obiettivi. Lo Stato di Israele, alimentato dall’imperialismo americano a cui è legato a filo doppio e di cui rappresenta la fortezza di controllo in Medioriente, con la sua politica coloniale (occupazione dei territori e installazione dei propri coloni: si chiamano così) e razzista (l’apartheid), ha distrutto il tessuto sociale ed economico della Palestina araba (varrebbe la pena, per esempio, raccontare la storia del “sindacato” sionista, l’Histadrut, che boicottò i lavoratori palestinesi, ecc.) e ha espulso dalla sua terra (già prima e dopo il 1948: vedi alla voce Nakba) la maggior parte della popolazione autoctona. Questo è un fatto storico che non si può negare.
Dagli anni Cinquanta in poi, l’Unione Sovietica fece tutto il possibile per cancellare il fatto del sostegno sovietico alla creazione di Israele dalla storia ufficiale e dalla memoria araba. Sia negli Stati Uniti che in Israele, avvenne un processo uguale e contrario, cancellando dalla memoria l’incostanza del sostegno americano alla creazione di Israele.
(*) All’inizio del 1948, l’Unione Sovietica, pur non inviando mezzi propri, accettò gli accordi cruciali sugli armamenti tra Cecoslovacchia e Israele, assicurando a quest’ultimo un vantaggio nella battaglia già in corso con gli arabi palestinesi, permettendo all’Haganah di passare all’offensiva in vista dell’indipendenza (“Piano Dalet”). “Hanno salvato il Paese, su questo non ho dubbi”, avrebbe detto Ben-Gurion vent’anni dopo. “L’accordo sulle armi ceco è stato di grande aiuto, ci ha salvato e senza di esso dubito fortemente che saremmo riusciti a sopravvivere al primo mese”. Golda Meir, nelle sue memorie, scrisse allo stesso modo che senza le armi del blocco orientale, “non so se avremmo potuto resistere fino a quando la marea non cambiò, come avvenne nel giugno 1948”. Nell’ottobre 1948, Moshe Sharett, riferì al governo israeliano che “il blocco orientale ci sostiene fermamente [...]. Nel Consiglio di Sicurezza i russi operano non solo come nostri alleati, ma come nostri emissari”. Abba Eban osservò che in questi “due o tre anni”, i sovietici “sono stati più costanti nella loro assertività a sostegno di Israele rispetto anche agli Stati Uniti. Non ci sono stati vacillamenti, nessuna esitazione”.
(**) Nel marzo 1948, mentre gli Stati Uniti si ritiravano dall’idea della spartizione, l’Unione Sovietica si schierò fermamente a suo favore e attaccò la proposta americana alternativa di un’amministrazione fiduciaria dell’ONU. Il 20 aprile, mentre il tempo scadeva sul mandato britannico, Gromyko denunciò l’amministrazione fiduciaria come un’idea che avrebbe posto la Palestina “in uno stato di virtuale schiavitù coloniale”.
Stalin non gode di buona stampa, ma, se non era per lui, adesso ci saluteremmo col braccio teso.
RispondiEliminaPer via del covid? 😄
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