In un momento storico in cui, ovunque nel mondo, comprese le democrazie ritenute più immuni alla peste fascista, l’estrema destra si sta affermando come un’alternativa politica accettabile, quando non è già al potere, si sta banalizzando pericolosamente la realtà storica del fascismo, la sua ideologia, i suoi attori, i crimini e le atrocità da loro commesse.
Più ancora che attraverso certe smargiassate mediatiche, ciò avviene in modo perfidamente subliminale. Piaccia o no, il rifiuto di prendere una chiara posizione contro il fascismo è gravido di conseguenze. La negazione impone la sua legge nella memoria collettiva. Fa anche parte di un modo molto contemporaneo di condurre il dibattito, o meglio di chiuderlo.
E invece è opportuno ricordare l’intervista di Filippo Focardi a De Felice (La guerra della memoria, Laterza), il quale auspicava una storicizzazione del fascismo (“possiamo ragionare, informarci, parlare del fascismo con più serenità”), implicando il superamento del “mito antifascista” e una riforma istituzionale che deve comportare l’abolizione delle norme costituzionali che vietano la ricostruzione del partito fascista.
Molti credono che il fascismo sia come la cavalleria nel Don Chisciotte, ossia che non tornerà più. Si dice che nelle sue concretizzazioni storiche non risponda più a una realtà come quella odierna, dunque che la parola è sopravvissuta alla cosa. Si sbagliano oggi come allora:
“Il fascismo, come ordine politico, è finito: le sue strutture esteriori, le colonne di cartapesta e gli archi di falsa antichità, lo sappiamo, non torneranno mai più. [...] Ma resta l’usanza sotterranea; circola, serpeggia, fermenta: alimenta altri furti, incoraggia altre prepotenze, dà origine ad altre oppressioni” (Piero Calamandrei, Per la storia del costume fascista, Il Ponte, 1952, VIII/10, p. 1337-1348).
I fascisti non sono scomparsi da un giorno all’altro, la radice del totalitarismo fascista affonda nel corpo sociale della nazione, dove esistono privilegi che non vogliono cedere il passo alla giustizia sociale. Un “sommerso” che ha sempre guardato all’esperienza fascista in maniera indulgente, addirittura benevola, che si alimenta di meschinità mentale, egoismo e chiusura. L’anacronismo è solo apparente, il fascismo va oltre l’epoca che lo ha generato ed è poco compreso perché poco conosciuto e intanto guadagna terreno.
Meloni e i suoi camerati hanno avuto la capacità, a loro congeniale, di opporsi a tutti i governi che si sono succeduti dal 2012. Facendo leva sul malcontento sociale, sono tornati al potere senza orbace e sfruttando una legge targata Pd che è una combinazione di voto proporzionale e maggioritario, che dà un premio significativo alle coalizioni.
Come disse Almirante, bisogna imparare ad “essere fascisti in democrazia”. Prendono le distanze dagli aspetti più ignominiosi del regime fascista, in particolare dalle leggi razziali e dalla guerra (ma il razzismo non è un inciampo e la guerra non è un incidente, sono lo sbocco naturale del fascismo), ma per il resto si trascinano dietro la velenosa eredità, piena di contraddizioni, di un modo di pensare e di sentire, una serie di cliché culturali.
Rimozioni, revisioni, negazioni, fanno gargarismi con parole tese a ingannare avversari e contradditori. E, quando queste parole mancano o non bastano, ne inventano di nuove. Anche se non di rado raggiungono l’apice del ridicolo, si tratta innanzitutto di fellonia. Ma non ci si può sbagliare, nonostante i tailleur e le cravatte Armani sono proprio loro.
La XII disposizione transitoria e finale della Costituzione vieta la riorganizzazione del partito fascista. La conseguente legge n. 645/1952 non impedisce a chicchessia di dichiararsi fascista e perfino di esprimere una difesa elogiativa del fascismo. Per paradosso esiste da quasi ottant’anni un partito neofascista in Parlamento, ma nessun personaggio di spicco di questo partito, almeno di recente, ha avuto il coraggio di dichiararsi pubblicamente fascista.
Massimo Cacciari sostiene che la richiesta di pentimenti e di conversione è odiosa. Perfettamente d’accordo, nessun pentimento e men che meno richieste di conversione. Ma la richiesta c’è perché personaggi che ricoprono le più alte cariche istituzionali non si dichiarano apertamente per quello che sono e in ciò in cui credono, senza escamotage verbali. Non si tratta di un semplice dibattito semantico: come non cogliere un vulnus nella reticenza di questi personaggi? La domanda è importante.
Non si chiede loro di dichiararsi antifascisti perché non lo sono, né di purgarsi con l’olio di ricino, ma con la dolce Euchessina. Basta la parola: fascisti.
DISTRIBUZIONE RICCHEZZA NEL MONDO:
RispondiEliminal' 1% detiene il 60%, il 10% il 90%
Finchè ci sono stati gli assolutismi il controllo sociale era ottenuto con la violenza.
Oggi, in democrazia, si ottiene con l'ottundimento di menti e coscienze e la guerra tra poveri.
Il fascismo è il braccio armato del capitalismo.
E si trovano a proprio agio nelle istituzioni della repubblica "antifascista".
RispondiEliminaPietro
non cambierebbero per nulla al mondo
Elimina