Questo post è in risposta a una domanda di un lettore contenuta nel suo commento del 31 agosto.
Dopo le esperienze giovanili delle rivoluzioni europee del 1848-’49, con la maturazione delle sue idee attraverso lo studio approfondito degli classici dell’economia politica e della storia delle lotte di classe, Karl Marx negli anni Sessanta pervenne a una concezione della rivoluzione incentrata non su un evento o su una serie di momenti storici circoscritti, ma caratterizzata nella dimensione del più vasto dipanarsi del processo storico (*).
Lo scenario storico della sua riflessione prendeva esempio dalla transizione secolare dal feudalesimo al capitalismo, laddove mutamenti cruciali nella società civile precedevano sia la creazione dello Stato borghese che i trionfi tecnologici della rivoluzione industriale (**).
Ciò si accordava con la sua visione organica dello sviluppo dei modi di produzione: “La struttura economica della società capitalistica è derivata dalla struttura economica della società feudale, e la dissoluzione di questa ha liberato gli elementi di quella” (Il Capitale, I, VII-24).
In epoca feudale, “il capitale denaro formatosi mediante l’usura e il commercio veniva intralciato nella sua trasformazione in capitale industriale, nelle campagne dalla costituzione feudale, nelle città dalla costituzione corporativa. Questi limiti caddero con il discioglimento dei seguiti feudali, con l’espropriazione e parziale espulsione della popolazione rurale” (Ibid.).
Il passaggio tra capitalismo e socialismo dovrebbe seguire dinamiche analoghe a quello della transizione dalla proprietà borghese a quella dei “produttori associati”. Marx aveva tuttavia ben chiaro che:
“Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione” (Per la critica dell’economia politica, Prefazione).
Nella sua vasta produzione letteraria, si posso rintracciare prevalentemente solo generici cenni sulla futura transizione da una formazione sociale all’altra, salvo alcune felici intuizioni che egli trasse dall’analisi concreta delle generali tendenze economiche del modo di produzione borghese, vale a dire alla luce dello sviluppo delle leggi della produzione capitalistica e non semplicemente sulla scorta di una forma determinata del capitalismo a un qualche stadio del suo divenire (***).
“In sé e per sé, non si tratta del grado maggiore o minore di sviluppo degli antagonismi sociali derivanti dalle leggi naturali della produzione capitalistica, ma proprio di tali leggi, di tali tendenze che operano e si fanno valere con bronzea necessità. Il paese industrialmente più sviluppato non fa che mostrare a quello meno sviluppato l’immagine del suo avvenire” (Il Capitale, Prefazione alla prima edizione).
Qui dovrei aprire un discorso sui concetti di legge e di tendenza, poiché occorre essere precisi trattandosi di strumenti essenziali per l’elaborazione di un’immagine scientifica del mondo, facendo dapprima distinzione tra legge generale e leggi secondarie, vale a dire tra la contraddizione principale in processo e le contraddizioni secondarie. Per analisi della tendenza, invece, s’intende lo studio simulato della contraddizione principale, cioè della sua dialettica quantitativa e qualitativa nei suoi diversi stadi di sviluppo. Tuttavia non è il caso in questa sede d’insistere oltre il presente accenno.
Per quanto riguarda quelle che ho chiamato felici intuizioni, esse sono il tratto distintivo della superiorità intellettuale di Marx, ciò che gli consentirà ardite operazioni del pensiero, cioè di spingersi per via analitica fino agli estremi limiti del modo di produzione capitalistico, oltre il quale si spalanca la breccia di una discontinuità qualitativa epocale e, a partire da lì, di guardare con occhi nuovi e secondo nuove prospettive il domani.
La previsione teorica ci indica un possibile, ma il suo realizzarsi dipende dall’attività sociale degli uomini. Indicandoci un possibile per noi desiderabile, la previsione teorica influisce sulla nostra coscienza e sul nostro comportamento e sollecita l’attività conforme al suo conseguimento.
“Il rapporto fra possibilità e realtà, l’attuarsi del possibile, non deve essere inteso come rapporto causale. La forma in cui il possibile si attua è bensì la costante produzione di cause e di effetti; ma le cause e gli effetti sono soltanto estratti limitati della più ampia e più ricca scala del possibile” (Robert Havemann, Dialettica senza dogma, Ottava lezione) (****).
La democrazia volgare, che vede nella repubblica democratica il regno millenario, non s’immagina nemmeno che appunto in quest’ultima forma statale della società borghese si deve decidere definitivamente con le armi la lotta di classe. Per chi ha fede nella democrazia dei miracoli, preciso che quest’ultima considerazione non viene da parole mie. Ad ogni modo, al punto in cui siamo, la democrazia dei miracoli, o suoi succedanei, resisterà ancora per un pezzo.
(*) Curioso il fatto che Marx opponesse a Darwin l’obiezione che questi considerasse il progresso come “puramente casuale” (lettera a Engels del 7 agosto 1866). Marx, per contro e ben prima che Darwin pubblicasse la sua opera più nota (1859), pensava che l’essere umano non fosse semplicemente una creatura prodotta dal proprio ambiente, così come avviene per le altre specie. “[...] come tutto ciò che è naturale deve avere un’origine, così anche l’uomo ha il suo atto d’origine, la storia, che però è per lui un atto d’origine di cui egli ha conoscenza [...]. La storia è la vera storia naturale dell’uomo”. La storia è il processo dell’umanizzazione della natura attraverso la “cosciente attività vitale” dell’uomo (Manoscritti economico-filosofici del 1844. Critica della dialettica hegeliana).
Un tempo era molto nota la storiella (oggi non so poiché ci si occupa di cose di ben altro respiro) secondo cui Marx avrebbe scritto a Darwin chiedendogli il permesso di dedicargli la prima edizione de Il Capitale. Non è vero: l'errore deriva dall’errata archiviazione di una lettera di Darwin nella sua casa di famiglia a Down. La lettera, che rifiutava cortesemente una dedica, non fu scritta da Karl Marx, ma a Edward Aveling. Marx mandò a Darwin una copia della seconda edizione del Capitale (1873), probabilmente su suggerimento di Engels.
(**) A dire il vero, Marx ed Engels avevano già nel Manifesto scandagliato in modo impareggiabile tale processo storico, esaltando la rivoluzione borghese, criticando il socialismo reazionario, così come quello conservatore e borghese. Ecco perché sarebbe utile che nelle scuole di secondo grado il loro libello del 1848 fosse adottato come testo complementare di Storia. In tal modo, insegnanti e studenti, se già non l’avessero letto, potrebbero da esso imparare qualcosa soprattutto a riguardo del metodo. Istruire in tal senso le masse comporta comunque dei rischi, e questa lezione è stata imparata bene.
(***) Sono davvero quasi incredibili, considerata l’epoca in cui furono scritte, le pagine dei Lineamenti (Grundrisse) fondamentali per la critica dell’economia politica (da p. 400 nell’ediz. La Nuova Italia; da p. 95 nel XXX vol. della MEO) dove Marx dimostra in modo evidente come sia il capitale stesso a creare le condizioni del proprio superamento, e di come il modo di produzione basato sul valore di scambio sia destinato a crollare per l’effetto stesso delle leggi del suo movimento. Nella formazione sociale che andrà sviluppandosi e si sostituirà al capitalismo, la forma-valore cesserà di esistere, poiché essa assumerà un contenuto diverso da quello che le è proprio nel modo di produzione capitalistico. Ancora una volta, Marx dimostra come le categorie economiche siano l’espressione di rapporti sociali di produzione storicamente determinati, tanto è vero che laddove la forma-valore sopravvive, ciò è dovuto alla persistenza di rapporti di produzione capitalistici che ne giustificano l’esistenza. È ciò che è successo precisamente nei paesi cosiddetti comunisti: non per l’incapacità e la cattiveria di una qualche burocrazia di partito in particolare, ma perché erano ancora assenti le condizioni storiche oggettive indispensabili per tale trasformazione.
(****) La scala del possibile è ricca, è l’universale, il non casuale, mentre la realtà realizza sempre e soltanto una sezione del possibile, che è più povera e casuale. La dialettica di possibilità e realtà ci appare come un motivo più profondo del casuale, il motivo che spiega come il necessario, corrispondente a una legge, possa apparire soltanto nella forma del casuale.
Spiegazione interessante.
RispondiEliminaPer quel poco che riesco a capire mi pare che la presunta divergenza fra marxismo e darwinismo sia un problema inesistente. Marx scopre le leggi che regolano l'evoluzione delle società, Darwin scopre le leggi che regolano l'evoluzione degli organismi viventi. Cioè Marx è il Darwin della scienza sociale e le due teorie sono complementari. C'è forse una differenza nel fatto che nel mondo biologico la prevalenza del più forte è qualcosa di inesorabile e immutabile mentre nel mondo sociale i preconcetti, gli interessi e le emozioni rendono le trasformazioni più complicate.
RispondiEliminaSpinoza: dalle passioni(Darwin) agli affetti condivisi(Marx).
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