lunedì 6 gennaio 2020

Roba da non creder


Con la scusa della riapertura dei giardini reali a Venezia dopo il restauro, sabato ho fatto ritorno in laguna. Entrando nei giardini ho avuto una sensazione di spaesamento, di smarrimento. I giardini ora sono forse anche meglio di prima, ma non sono più gli stessi. Anche il vecchio bunker è stato rimosso, e forse è un bene. Negli anni Sessanta è stato uno dei nostri punti di ritrovo, dove fumavamo le prime cicche. Un altro luogo di ritrovo, più discreto e quasi in stato di abbandono, frequentato da ragazzini e qualche ubriaco, dimora di molti gatti, era quello dei giardini Papapdopoli, a Santa Croce, vicino a Piazzale Roma. Lì c’è la grande statua all’idraulico, cioè a Pietro Paleocopa, omaggiato dai soliti colombi.


A me piacevano di più prima

Venezia non è più la stessa da almeno due secoli. Cominciò proprio Napoleone, con un proprio piano urbanistico, con gli interramenti, come alle Zattere (zona Accademia), le requisizioni (il più grande monastero diventato archivio di Stato), e appunto i giardini reali (nei dipinti di Canaletto c’è un grande e brutto edificio, i granai). Altre demolizioni e ricostruzioni in San Marco e altrove. Dopo il referendum farsa del 1866, si demolirono intere linee di caseggiati, come in Campo Manin (già San Paternian), ma anche interi conglomerati per far posto a più salubri abitazioni (Castello, Santa Croce, ecc.). Vivaldi, Casanova, Goethe o Mozart, stenterebbero un po’ a riconoscere la “loro” Venezia.


Non si direbbe ma siamo a 50 passi da P.zza san Marco

Specie dopo gli interventi, criminali, dell’ultimo dopoguerra. Non si può scrivere una storia di Venezia così come di qualsiasi altra città italiana, senza dedicare un cospicuo capitolo all’attività vandalica di architetti, geometri, pubbliche autorità e privati committenti. Lo scempio è particolarmente evidente a Venezia, cito ad esempio il grande edificio vetro e cemento sede dell’Inps (1960), la facciata degli hotel Bauer e Danieli, la banca di Campo san Luca, o quella in Campo Manin, realizzata abbattendo l’edificio che fu la sede della tipografia e abitazione di Manuzio. Insomma, non solo grandi navi, turisti che non capisse un casso e osterie gestite dai cinesi (in rete esiste perfino una “guida ai bacari autentici”! Fioi, ghe sbiro, roba da non creder).


Un po' cartolina, ma è carina


4 commenti:

  1. Sebbene il solo pensiero dei proprietari mi dia conati di vomito, devo riconoscere che la ristrutturazione del Fontego dei Tedeschi è molto bella, soprattutto per la possibilità di accedere al tetto, da cui si gode una vista impareggiabile.

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    1. vero, volevo anche scriverlo. bisogna però tener presente che prima c'erano le Poste e poi decenni di abbandono.
      vista impareggiabile direi di no. ritengo che quella dal campanile di san marco sia ancora la migliore. altra vista, per motivi diversi, impareggiabile è quella dal campanile di san giorgio maggiore.

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    2. La vista da s. Giorgio Maggiore è quella che i veneziani da sempre consigliano ai forestieri, ed è in effetti splendida e appagante, perché si gode in relativo scarso affollamento. Tuttavia, quella dal Fontego dei Tedeschi ha il pregio della vicinanza, e della posizione centrale, proprio nell'ansa del Canal Grande a Rialto. Dico questo ad uso di eventuali visitatori che vogliano non dico fare un'esperienza unica, ma magari una cosa un po' meno scontata.

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  2. cara Olympe, Venezia è viva, viva Venezia! guarda che ci seppellirà tutti.

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