Buone notizie. Il Censis conferma
un aumento più che consistente del risparmio, pur a fronte di una società
stremata da sei anni di crisi e che ormai si aspetta solo il peggio. “Si è
liquefatto il sistema”. Testuale. De Rita precisa che la gente si fa sempre più
“li cazzi sua”. Testualissimo.
Il governo, dal canto suo, risponde
con le cannonate … pardon, con le cannoniere.
Ieri la Commissione Difesa (dopo
la Commissione Bilancio) della Camera dei Deputati ha dato il via libera al
nuovo programma di una quindicina di navi militari dotate di armamenti di tutto
punto e che nei prossimi 19 anni porterà a spendere più di 5,4 miliardi di
euro. Si tratta di pattugliatori – corredati di raffinati sistemi d’arma – che
si aggiungono al programma delle fregate FREMM iniziato una decina di anni fa e
che anche questo costa più di 5 miliardi. In tutto, oltre 10 miliardi di euro.
Altra buona notizia per il
governo: i titoli di stato italiani non sono ancora “spazzatura”. Non ancora. Fonti
di governo, dopo che l'agenzia S&P ha tagliato il rating dell'Italia (un notch, da BBB+ a BBB-), hanno fatto
notare che quella di S&P “non è una bocciatura, anzi. Dicono che le riforme
vanno bene, ma che bisogna andare ancora più veloce”. Non verso il baratro, ma
verso il fondo del baratro.
La parola “baratro” mi ricorda il
rating del settembre 2011 che passò da A+ ad A. Il Sole 24 ore il 20 settembre 2011 scriveva: “E questo succede nel
momento in cui sembrava che avessimo preso misure di austerità che avrebbero
dovuto consentirci di guadagnare tempo”. Sembrava che lo scoglio da superare
tassativamente fosse costituito dalle pensioni, ora invece dall’articolo 18. In
meno di dieci anni di riforme e rigore, il rating di S&P è passato da AA a spazzatura.
Lo spread (ricordate?) schizzò nelle
settimane successive al 20 settembre 2011 oltre i 500 punti. Misero Monti e la
Fornero al governo. Lo spread si mantenne sopra i 550 punti a maggio 2012, poi
arrivò Draghi col suo bazooka. Ora lo spread danza sui 120 punti e il tasso sui
titoli a dieci anni è sotto il 2 per cento. Qualcosa non quadra, ma appena un
po’.
E, del resto, chi paga gli
interessi sul debito? Chi paga le tasse, e cioè lavoratori dipendenti e
pensionati. E chi ha in mano il grosso dei titoli sul debito? Anzitutto le
banche italiane (425mld), che invece di erogare crediti acquistano titoli di
stato, e le assicurazioni (200mld), poi i fondi pensione, e anche le famiglie,
soprattutto quelle di alto reddito. Un trasferimento democratico di ricchezza
che dura da decenni dalle tasche dei più poveri al portafoglio dei più ricchi.
Su motivi come questi nella Firenze del XIV secolo fecero una rivoluzione, da
noi non se ne parla manco nei talk show.
Non è vero che il nostro futuro è
incerto, se c’è una certezza questa riguarda proprio il nostro inesorabile,
granitico e immarcescibile destino.
The future is the jungle Vs Silicon Valley:
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