Se la contraddizione fondamentale
del modo di produzione capitalistico è già tutta presente nella forma merce, nel suo essere allo
stesso tempo valore d’uso e valore di scambio, il movimento che segna la sua
crisi storica è nella legge stessa del suo sviluppo, ossia nella imprescindibile
e costante necessità del capitale di sostituire il lavoro vivo con quello morto
(*). Il capitalismo è stato, nelle sue forme precipue, il modo di produzione
più dinamico e rivoluzionario della storia.
Sul piano pratico,
l’appropriazione privata di una produzione resa ogni giorno più sociale dallo
sviluppo capitalistico genera una pletora di contraddizioni che nessun sincretismo
politico e pratica economica borghese, eludendone il movimento reale, può
spiegare nella loro dinamica e superare negli effetti di tendenza.
Nel materialismo dialettico,
partendo anzitutto da Marx ed Engels, c’è la possibilità di legare positivamente insieme critica e pratica antagonista. Per quanto ci riguarda, bisogna capire bene
che la lotta ideologica è una determinazione essenziale della lotta di classe,
senza di essa non c’è teoria, e senza teoria e sviluppo della stessa non c’è
organizzazione pratica.
La lotta ideologica è anche lotta contro l’ignoranza, in quanto si propone nel contempo il superamento dell’influenza borghese e di creare la base necessaria di
conoscenze per rendere effettivamente possibile organizzare la lotta su un piano di realismo critico-pratico.
*
Se l’analisi del movimento
reale del capitalismo quale formazione economico-sociale costituisce
l’imprescindibile e permanente risultato del lavoro e delle scoperte di Marx ed Engels, resta tuttavia
sempre aperta, di volta in volta nel mutare delle fasi dello sviluppo del
capitalismo, la questione della saldatura della teoria con le lotte sociali.
E ciò registra una difficoltà già
in premessa, laddove si consideri che nel modo di produzione capitalistico la
divisione tecnica del lavoro si presenta nel rapporto di produzione, in modo molto
più netto che nelle formazioni economiche precedenti, come separazione politica
tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, che vengono fissati e polarizzati in
figure sociali diverse, e contrapposte sul terreno del potere.
Tutti gli sforzi compiuti dalla
borghesia, sia sul piano pratico e sia sul piano ideologico, si sono
concentrati, specie negli ultimi decenni, nel tentativo, spesso ben riuscito anche
grazie a molte complicità, nel contrastare questa saldatura, e dunque anzitutto
nello screditare il marxismo scientifico e l’idea stessa della necessità e possibilità
di cambiamento, del superamento dello stato di cose presenti (**).
Gli specialisti della borghesia hanno
potuto contare per il loro instancabile lavoro sul favore di molti fattori, per
esempio sulla vulgata del comunismo di Stato (Marx ebbe a riderne quando lo
propose Lassalle, ma queste cose si ignorano o vengono eluse), e sul fatto che
nei paesi capitalisticamente più avanzati si sono create le condizioni per
l’imborghesimento del proletariato e la costituzione di un’élite politica d’orientamento
neoliberale e con una visione crematistica dell’economia.
Si tratta in buona sostanza, sia
dal lato della classe operaia e sia da quello dei suoi rappresentanti politici,
interessati solo al potere e alla sua conservazione, di soggetti che per
educazione, tradizione, abitudine, riconoscono come leggi naturali ovvie le
esigenze del modo di produzione capitalistico, che infine considerano questo
sistema, nell’ambito delle sue “libertà”, come la migliore condizione possibile.
È nella saldatura del binomio
teoria-prassi, così come tra spontaneità e organizzazione politica, che si
gioca la partita tra le due parti di umanità che la crisi economica e dei
sistemi istituzionali ammalati di cesarismo rende sempre più inconciliabili nel
modo di sentire e di essere ma non
ancora di agire. In questa indecisione e indeterminatezza, che ha motivi sociali
oggettivi e viene artatamente alimentata da illusioni elettorali, la borghesia, cioè i padroni del mondo, hanno
finora trovato buon gioco.
(*) La legge non descrive il
movimento della realtà immediata, ma cerca di coglierne, di là delle forme, la
sua necessità. Il fenomeno è sempre più ricco della legge, e ciò è dovuto al
fatto che la legge si riferisce solo ai rapporti necessari, generali, stabili,
essenziali, tra i lati di un fenomeno o tra fenomeni. Mentre a determinare un
fenomeno concorrono sempre, incrociandosi con le sue leggi generali, molte
altre leggi particolari. Così come nel caso dei concetti, anche la legge è uno
strumento necessario del pensiero per appropriarsi il concreto, per riprodurlo,
per dirla con Marx, come suo “concreto di pensiero”. Marx, di conseguenza, nel
costruire il modello dinamico del modo di produzione capitalistico non si
accontenta di descrivere la genesi, lo sviluppo e la forma più avanzata, a lui
contemporanea, di questo modo di produzione (come vanno blaterando gli
imbecilli al seguito degli intossicatori specializzati); Marx va bensì a ricercarne
le leggi generali e le tendenze
necessarie.
(**) La previsione teorica ci
indica un possibile, ma il suo completarsi dipende dall’attività sociale degli
uomini, dalla lotta di classe. Indicandoci un possibile per noi desiderabile,
la previsione teorica influisce sulla nostra coscienza e sul nostro
comportamento e sollecita un’attività conforme allo scopo.
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