Scrive Scalfari:
Qualche tempo fa, prendendo spunto dalle parole pronunciate da papa
Francesco che giudicava la povertà come il più grave male che affligge il mondo
degli umani, dedicai il mio articolo a quel tema il quale non si limita a
dividere gli abitanti del nostro pianeta in ricchi e poveri. Da questa
(crescente) diseguaglianza nascono una serie di altri malanni: la
sopraffazione, le più varie forme di schiavitù sia pure chiamate in modi
diversi, l'invidia, la gelosia, la corruzione, il malgoverno, le rendite parassitarie
e perfino guerre e sanguinose rivoluzioni.
Che cosa generi questa “crescente diseguaglianza” e i
conseguenti “malanni”, quali “le più varie forme di schiavitù sia pure
chiamate in modi diversi”, né un prete, per quanto di vertice, né un decano
dei giornalisti, potranno dircelo data la loro posizione sociale e la relativa
falsa coscienza.
E pare che ciò non abbia a che
fare con il fatto che una classe sociale, in quanto proprietaria della terra,
delle risorse e dei mezzi di produzione, si appropria di gran parte della
ricchezza socialmente prodotta; bensì con l'invidia,
la gelosia, la corruzione, il malgoverno, le rendite parassitarie, in buona
sostanza con la cattiva indole umana. Così come la crisi economica e sociale
non pare abbia a che fare con le contraddizioni del capitalismo, ma con la
cattiva gestione politica e finanziaria del sistema, con qualche speculatore, oppure con la resistenza dei
sindacati che, non cogliendo la realtà dei processi in atto, si oppongono alle misure per la "crescita" (dei profitti).
*
Nell’antichità, il più decisivo
freno allo sviluppo tecnologico non fu solo il fatto che la manodopera
schiavile costava poco, ma soprattutto che la produzione era limitata in generale al consumo immediato e non
piccola parte della distribuzione del prodotto avveniva in larghe forme di
quello che oggi chiamiamo welfare.
Grossomodo la formazione del latifondo italico in epoca romana aveva anche
queste motivazioni, e così poi l’economia curtense, la signoria feudale, ecc..
Ciò che mancò ai padroni d’allora
era l’interesse a risparmiare manodopera e di allargare la produzione, creare
mercato per i loro prodotti. Essi, in
generale, non investivano il proprio denaro nella produzione per ricavarne
un profitto e da questo generarne altro, l’accumulazione per se stessa, all’infinito.
Per contro, quello che definiamo
come capitalismo comportò una rivoluzione: si passò da una produzione
prevalentemente basata sui valori d’uso e il consumo immediato a un tipo di
produzione basata sul valore di scambio e dunque sul commercio allargato.
In un modo di produzione siffatto,
chi investe il proprio capitale nella produzione ha come fine precipuo e
assoluto quello di ricavare un profitto attraverso la vendita del prodotto, e
perciò ha interesse non solo ad allargare la produzione e dunque il commercio
per le proprie merci, ma nel farlo ha anche e soprattutto l’interesse a
risparmiare lavoro (*).
Meno lavoro è richiesto nel
produrre una data quantità di merce, minore è il costo per la sua produzione;
dunque meno lavoro s’acquista per produrla e più essa diventa competitiva sul
mercato; meno lavoro è pagato, maggiore è il profitto. Ecco dunque perché il
capitalismo ha tutto l’interesse a sviluppare tecniche e tecnologie per
risparmiare lavoro (**). Il capitale si appropria della scienza e della tecnica
non in quanto “scienza del capitale”, come potrebbe pensare un sedicente
“marxista”, ma in quanto scienza, e
ne determina gli usi e gli indirizzi nel processo di valorizzazione.
E fin qui, più o meno, sono d’accordo
anche gli specialisti che operano nel settore delle ideologie sociali, sia che
si tratti di preti, giornalisti, filosofi, economisti, sociologi, psicologi, cattedratici,
politici, eccetera.
E però, nel duplice carattere
della merce, ossia di essere allo stesso tempo valore d’uso e valore di
scambio, risiede la contraddizione
fondamentale del capitalismo (qui e anche qua). E su questo punto gli asini
possono solo ragliare in cambio della carotina.
Non un solo ideologo borghese,
fosse pure un economista (anzi, in tal caso è peggio), si prende la briga
d’indagare in che cosa consiste precisamente tale contraddizione. Eppure non
dovrebbero affaticarsi tanto poiché il lavoro d’indagine è già stato fatto, lo
trovano pronto, già bell’è scodellato.
Per uno di quegli strani casi – ma
non inspiegabili – della storia, tale analisi e le scoperte cui essa ha condotto,
sono tenute dalla scienza borghese in non cale. A motivo è adotto facilmente il
fatto che tali scoperte teoriche costituiscono la base di un’ideologia politica
tesa a sovvertire l’ordine sociale esistente. E tuttavia questo di per sé rappresenta
solo un pregiudizio d’ordine politico e ideologico e non già la causa
principale del rigetto.
Pensavo di rendere la cosa facendo
ricorso a un’analogia: quella tra la posizione della Chiesa cattolica a
riguardo di Copernico e Galileo, ossia il fatto che l’eliocentrismo si
scontrasse con la lettura delle sacre scritture (la vulgata rappresenta in tal
modo così banale il contrasto tra Bellarmino e il Pisano). In tal caso si
metteva in discussione la centralità dell’uomo nell’universo quale creatura
privilegiata di Dio, si poneva in contraddizione scienza e fede.
Le scoperte scientifiche marxiane da
un lato mettono in luce le contraddizioni su cui poggia il capitalismo quale
forma economica transeunte, dall’altro esse assumono rilievo rivoluzionario poiché,
nel mostrare la falsità e l’ipocrisia dei rimedi con i quali la borghesia tenta
di salvarsi a spese dell’umanità intera, indicano la possibilità per i
produttori associati di regolare razionalmente il ricambio organico con la
natura e cioè di portare l'economia sotto il loro comune controllo invece di essere da
essa dominati come da una forza cieca.
(*) Qui si prescinde dal fatto che
il capitale per operare in tal senso ha bisogno di condizioni sociali nuove e particolari,
a cominciare dal fatto che il lavoratore deve presentarsi sulla scena
formalmente libero ma costretto a vendere la propria forza-lavoro per
sopravvivere e riprodursi.
(**) Qui si prescinde dalla
capacità di scienze e tecnica di trascendere i sistemi sociali da cui sono
prodotte divenendo forze produttive e patrimonio comune dell’umanità.
Fa così bene ripassare i fondamentali. Merci beaucoup, Madame.
RispondiEliminafa bene avere lettori come te, almeno così non i chiedo: per chi cavolo l'ho scritto?
Eliminabrillante sintesi
RispondiEliminaTi ho linkato su facebook. E' un piacere leggerti: NON SONO SOLO IO UN MARXISTA. Spieghi bene, usi bene l'odio di classe che rendere tutto il discorso fluido e spontaneo. Anch'io scrivo meglio se sono furente. E lo sono, non lo sono mai stato come ora. Il capitalismo è contraddizione in essere, o meglio, è l'irrazionale in essere. Tutto ciò mi rende folle, ma una pazzia che solo un savio può esprimere. Essere savi in un mondo folle, è da pazzi...Ti manca l'azione, mia cara. Quando? Saluti rossi.
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