Oggi volevo scrivere due cose
sulle torture praticate dalla Cia ai prigionieri, ma non insisto con questi
argomenti troppo eccentrici che potrebbero portare al sospetto che io nutra un
sentimento pregiudizievole nei riguardi degli Usa, dunque che sia comunista,
cosa peggiore che essere corrotti, ladri e mafiosi. Perciò mi limito a
segnalare questo link che mi è arrivato dal mio amico Luca. Mi chiedo semplicemente
perché solo ora escano queste cose e tali documenti. Non penso a un complotto
ma a una serie di coincidenze che però in simili casi mi paiono sospette quanto
sono inquietanti le notizie che riportano.
*
Se Roma è certamente la città
delle cento chiese, dove prevale il barocco variamente declinato e stucchevole,
Firenze di chiese ne può contare molte meno ma alcune sono dei miti
architettonici, superbe concezioni di una bellezza che a tratti può sembrare persino
eccessiva, come sapeva bene, tra gli altri, Stendhal (ne scriverò in un
prossimo post a proposito della Cappella Niccolini in Santa Croce).
Credo sia molto banale ma
inevitabile citare le basiliche di Santa Maria Novella, di Santa Croce e di
Santa Maria del Fiore, col suo battistero dov’è sepolto papa Giovanni XXIII (ovvio
non si tratti di Roncalli), e l’attiguo campanile detto di Giotto. Proseguendo
per via del Proconsolo si raggiunge il Bargello, e proprio di fronte ad esso
c’è la chiesa della Badia Fiorentina, dove non manco mai di fermarmi per un po’
di quiete. Si dice che Dante vi vide per la prima volta Beatrice. Più
modestamente lì vidi per la prima volta un Filippino Lippi che non
conoscevo. A gratis, come si diceva un tempo. Dimenticavo: in strada è segnato
il perimetro di una torre della prima cinta muraria della città, quella di
epoca romana. Della terza e ultima cintura di mura, offro qui una foto di
scorcio ripresa domenica scorsa.
Da non trascurare la chiesa di
Ognissanti (spogliata in gran parte delle opere oggi agli Uffizi e altrove),
dov’è sepolta la più bella dama del Rinascimento e il suo celeberrimo
ritrattista. Quindi la chiesa di Santa Trìnita, e di San Marco se si va
all’omonimo convento per vedere l’Angelico, che vale il viaggio (peccato non
vedervi la Pietà, che sta a Monaco).
Che cosa chiedere di più a una
piccola città, com’ebbe a definirla un finanziere italo-svizzero-canadese di effimera
notorietà, dove il visitatore lascia ogni volta l’anima, tanto per buttarla sul
romantico. E vengo al punto, la Basilica di Santa Croce, segnatamente la
Cappella Macchiavelli-Salviati, alla quale il visitatore non può accedere direttamente.
Forse per questo meno nota, a tal punto che, pur citata nelle guide e anche in
Wikipedia, non è descritta riguardo al contenuto, convinti dalla réclame che
sia interessante solo ciò che è celebre e clamoroso.
In questa Cappella ho fotografato
il monumento sepolcrale di Sofia Zamoyska, realizzato da Lorenzo Bartolini
(1777/ 1850), che ritrae la defunta, grande al vero, con le mani intrecciate
appoggiate in grembo, come si conviene a una pia donna sul letto di morte. La
scultura è in stile neorinascimentale e molto realistica (una copia della tomba è nel Palazzo Zamoyskis, a Kozłówka (vicino a
Lublino). Sofia Czartoryska Zamoyska, morta nel 1837, per noi è una perfetta
sconosciuta, ma in Polonia è molto nota, anche perché da giovane era
considerata la donna più bella d’Europa, sebbene avesse partorito dieci figli.
Figlia più giovane di Adam
Kazimierz Czartoryski e di Izabela Fleming (principessa e scrittrice polacca,
collezionista d'arte e fondatrice del primo museo polacco), la quale si dice
ebbe una liaison con l'ambasciatore
russo in Polonia Nikolai Vasilyevich Repnin, dalla quale sarebbe nato Adam
Jerzy Czartoryski, una specie di Cavour polacco, citato anche da Henry
Kissinger nel suo Diplomazia della
Restaurazione (pag. 103). Zofia sposò nel 1798 il conte Stanisław Kostka
Zamoyski, importante statista polacco.
Accanto al sepolcro della contessa
si trova un’altra tomba, con due piccole porte in bronzo, realizzata negli anni
1870-1872 dal poeta e scultore Teofilo Lenartowicza. Anche questa tomba è di
una donna polacca, anch’essa Sofia, e da coniugata assunse il cognome Cieszkowski
(sulla tomba trascritto con patronimico femminile: Zofia Cieszkowska). Morì
molto giovane, nel 1818, e fu madre di August Cieszkowski (1814-1896).
Le biografie riportano che August
Cieszkowski avrebbe avuto una forte influenza sulla formazione del pensiero e
sulla dialettica di Karl Marx. Per quanto mi riguarda, e ovviamente per ciò che
vale, posso escludere categoricamente che ciò corrisponda al vero, checché se
ne possa dire in polacco o in sanscrito, qualunque inferenza possa trarre
Daniel Kubat dal fatto che Marx possa aver conosciuto un’opera di Cieszkowski
pubblicata nel 1838. Del resto, e non è poco, lo esclude György Lukács (*).
Proprio mentre sto fotografando la
tomba di Zofia, mi accorgo che ho sotto i piedi, letteralmente, una piccola lastra
incisa con un nome molto noto, quello della foto qui sotto.
Ma non fu lui a scrivere e
comunque ad avvalorare quanto sanciva lo Statuto fascista, e cioè: Tutto è nello stato e nulla di umano e di
spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello stato?
Un custode della basilica, avvicinatosi con molta circospezione, mi ha
rivelato molto riservatamente e con solenne giuramento di non proferirlo ad
anima viva che al mattino trova degli oggetti non più al loro posto dove
sono lasciati la sera prima alla chiusura, persino dei candelabri trovano
spostati e le candele consunte, e poi altre tracce di quelle che il custode chiama
“presenze”. Di più non posso dire di quanto mi ha rivelato. Personalmente non
credo a certe “presenze”, alle quali Engels dedicò un breve e dissacratorio scritto
ora raccolto nel XXV volume della MEOC.
Tuttavia mi piace immaginare quale
eccentrico consesso di spiriti illustri si raduni di notte in quella chiesa
dove sono tumulati, tra gli altri, Machiavelli, Galilei, Buonarroti, Foscolo, Alfieri,
Rossini, ecc.. Mi chiedo: quale conciliabolo sortirà tra le due dame polacche, tra
lo scienziato e lo scultore, tra i poeti e il musicista, tra scrittori e
filosofi? Immagino Bartolomeo Valori e Machiavelli sbirciare dalle vetrate i
passanti, lontani sulla piazza, stupiti soprattutto nel vedere che i vivi
parlano da soli portandosi una mano all’orecchio e con l’altra far gesti. Un
mondo di pazzi.
(*) Moses Hess und die Probleme der idealistischen Dialektik, Lipsia,
Hirschfeld, 1926. Lukács in questo libro di poche pagine riconosce l’influenza
esercitata da Hess nella formazione di Marx, ma in buona sostanza esclude che
il marcato idealismo di August Cieszkowski possa aver avuto un qualche effetto
su Marx. Non è inoltre per caso che il nome di Cieszkowski non compare negli
scritti (comprese le corrispondenze e gli articoli) di Marx, il quale cita
finanche il nome del gatto di Wojciech Chrzanowskj, generale polacco che nel
1849 comandò l’armata sarda.
"una serie di coincidenze che però in simili casi mi paiono sospette"
RispondiEliminaSarei curioso di capire, se ti va, ciao Mauro
1859, refuso; "recte", 1849 :)
RispondiEliminaMauro
grazie
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