Si sa che presso gli antichi i
templi servivano di dimora al dio delle merci, erano “banche sacre”. Per i
fenici, popolo commerciale per eccellenza, il denaro era la trasfigurazione di
tutte le cose. Quindi era nell'ordine delle cose che le vergini che si davano
agli stranieri nelle feste della dea dell'amore offrissero in sacrificio ad
essa la moneta ricevuta in compenso. Enrico III, cristianissimo re di Francia,
rubava ai conventi le loro reliquie per convertirle in denaro. Eccetera.
Oro? Giallo, luccicante, prezioso oro? Basterà un po' di questo per
rendere nero il bianco, bello il brutto, dritto il torto, nobile il basso,
giovane il vecchio, valoroso il codardo. Oh dèi, perché questo? Che è mai, o
dèi? Questo vi toglierà dal fianco i vostri preti e i vostri servi e strapperà
l’origliere di sotto la testa dei malati ancora vigorosi. Questo schiavo giallo
cucirà e romperà ogni fede, benedirà il maledetto e farà adorare la livida
lebbra, collocherà in alto il ladro e gli darà titoli, genuflessioni ed encomio
sul banco dei senatori; è desso che decide l'esausta vedova a sposarsi ancora.
Colei che un ospedale di ulcerosi respingerebbe con nausea, l'oro la profuma e
la imbalsama come un dì d'aprile. Orsù dunque, maledetta mota, comune bagascia
del genere umano che metti a soqquadro la marmaglia dei popoli, io voglio darti
il tuo vero posto nel mondo (Timone
d’Atene, atto IV, scena III, trad. E. Montale).
Che cos’è il denaro? È il mediatore
universale di ogni rapporto in una società in cui si vende e s’acquista tutto,
compreso l’onore e la morale, perfino un posto nella beatitudine nell’aldilà. Dunque,
prima di essere una cosa, il denaro è un rapporto sociale.
È più facile trovare assenso per
questo elementare concetto in una prostituta che in un economista. Per semplici
motivi di classe sociale: la prostituta se vuole campare deve vendere l’unica
cosa che possiede, contrattare il prezzo della propria prestazione con il
cliente di turno, e perciò sa bene da quale tipo di rapporto viene il suo pane.
All’economista è richiesto un altro tipo di rapporto, secondo logiche e regole diverse,
in cambio pur sempre di denaro, ma si tratta di un meretricio in forma più
discreta.
La logica diversa riguarda lo
specifico della loro attività e consiste proprio nell’imbrogliare la realtà dei
rapporti sociali, nel mistificarla. E ciò, ovviamente, non riguarda solo gli economisti,
ma per esempio anche gli operatori dei media, quelli che genericamente si
chiamano giornalisti. Oppure coloro che si occupano di diritto e giustizia. E
primi tra tutti quelli che si occupano degli affari della politica. Potrai mai
trovare un politico che ammetta in pubblico che lo spaccio di droga è la
realizzazione pratica di un’idea commerciale, che la criminalità è un ramo
dell’attività economica più generale? Sì, ma solo per il calcolo del Pil, dixit Cetto La Qualunque.
Troppo se n’è parlato per
insistere ancora su questo tema. Vale però la pena soffermarsi sul fatto che l’illegalità,
comunque denotata, mafiosa o altro, riguarda sempre un solo e unico fatto: il
denaro. Se si guarda la legittimità con la quale la criminalità si procura il
denaro, si dovrebbe mettere in discussione anche la legittimità di tutto il
resto. Con quale legittimità una multinazionale può sostenere che un pezzo
della foresta amazzonica le appartiene? Oppure che una sorgente d’acqua è un
bene privato messo a lucro?
Posso già immaginare in qualche
lettore il sorgere di un qualche dubbio, di un qualche distinguo etico almeno. Magari
penserà che con questo post voglio in qualche modo giustificare il crimine. Allora
proviamo ad ammorbidirne la retta coscienza con un altro esempio.
Un economista borghese vede illusoriamente nel processo di
produzione capitalistico esclusivamente il processo lavorativo, e vede il
capitale come un elemento naturale e immutabile dell’esistenza umana. Del resto
egli dice che il lavoro è condizione naturale eterna della condizione umana, e partendo
da questa elementare premessa inferisce che gli elementi generali del processo lavorativo sono indipendenti da qualunque
sviluppo sociale dato, e recitano la loro parte in ogni processo lavorativo in
tutti i tempi e in qualunque circostanza. È in questo modo che l'economista “dimostra” che l’esistenza del capitale è una legge naturale eterna della
produzione umana.
Il denaro, come sa qualunque venditore
di rosari davanti a una chiesa, come l’intende prosaicamente il
banchiere seduto nel suo tempio-ufficio al cinquantesimo piano, è capitale. E
tuttavia non in tutte le società storiche, cioè non in tutti i modi di
produzione, il denaro ha avuto la stessa funzione generale e prevalente che ha
nella società capitalista. Finché il capitale appare ancora soltanto nelle sue
forme elementari di merce o di denaro, il capitalista si presenta nella già
nota veste di possessore di merci o di denaro. Ma da ciò non risulta che
possessori di merci o di denaro siano in sé e per sé capitalisti più di quanto
merce e denaro non siano in sé e per sé capitale.
Come già osservava Marx, l’errore
degli economisti è stato d’identificare queste forme elementari del capitale –
merce e denaro – in quanto tali, con il capitale, e allo stesso modo di
proclamare capitale, in quanto tali, i modi di esistere del capitale stesso
come valori d’uso, i mezzi di lavoro.
Per essere più chiari, soggiungo che se facessimo nostra
questa illusione, potremmo dire che un cosiddetto indios che taglia dei giunchi
con un macete è un capitalista alla stessa stregua di un Rothschild
proprietario di una piantagione in Amazonia. Ma lasciamo da parte questi
paradossi in cui cade volentieri l’ideologia borghese e veniamo finalmente alla
sostanza della cosa prima che il lettore medio, abituato a questioni medie da
leggere mediamente in poche battute, si stanchi.
Posto che il capitalista acquista
forza-lavoro pagandola ad un prezzo inferiore a quello del valore che essa
produce, cos’altro è questo se non uno scambio ineguale, cioè un furto? E
dunque, per dirla con Marx, “l’enigma del
feticcio denaro è soltanto l’enigma del feticcio merce divenuto visibile e che
abbaglia l'occhio”.
È così da sempre e sempre sarà,
dice l’economista alzando il dito, il quale considera il processo di produzione capitalistico dal puro
lato del processo lavorativo e non già come processo
di valorizzazione. Egli non vede sviluppato un rapporto di produzione specificamente
diverso rispetto a quelli antecedenti, se non nella complessità dei mezzi e
delle tecniche, non ha interesse dunque a vedere il processo lavorativo
sottoposto al capitale come processo di sfruttamento del lavoro altrui.
E il giudice, dal canto suo, dirà
compiaciuto che lo scambio avvenuto tra soggetti giuridici formalmente liberi
ed uguali è legale, non vedendo in essi alcuna differentia specifica. Lo scambio tra la prostituta e il suo
cliente diventerà invece legale solo se pagano le tasse, con le quali si
stipendiano giudici ed economisti. E così il cerchio si chiude.
La stragrande maggioranza degli economisti vedono il valore della merce, in linea di massima, come il risultato del gioco della domanda e dell'offerta, quindi secondo loro il valore viene creato nella sfera della circolazione, su questo si basano le fondamenta delle costruzioni teoriche degli apologeti dell'esistente, dai marginalisti a tutto il resto dopo.
RispondiEliminaQuesta sacra verità è stata propagandata per ogni dove e in ogni ambito tanto da diventare un luogo comune usato da tutti.
Una sacra verità dovuta all'eterna confusione tra valore d'uso e valore di scambio fatta dagli economisti di tutte le salse, dai premi Nobel agli esponenti più infimi da economia volgare, in genere opinionisti stipendiati dai media di ogni tipo. Una confusione che porta bei vantaggi per lorsignori.
Saluti,
Carlo.
«Posto che il capitalista acquista forza-lavoro pagandola ad un prezzo inferiore a quello del valore che essa produce»... Appunto. E quello che il riformismo di sinistra non vuol comprendere è che il capitalismo mai rinuncerà a questa naturale "predazione". Alcuni, illusi, pretendono di domare la "fame della bestia", dando comunque legittimità a tale predominio del capitale sul lavoro. E la legittimità è garanzia di dominio.
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