È etico lo sfruttamento
dell’uomo sull’uomo? Eppure ciò avviene da migliaia di anni, a ogni ora del giorno,
sotto i nostri occhi, nelle forme più varie, distillando sudore, sofferenza,
ingiustizia, alienazione. Spesso l’oggetto di sfruttamento siano noi stessi (ovvio che non
mi riferisco qui al lavoro sociale come mero scambio di prestazioni necessarie
e utili). Molte delle forme in cui avviene oggi tale sfruttamento non solo sono
considerate assolutamente pacifiche e legali, ma non sono percepite comunemente
come contrarie all’etica.
Siamo pronti a ripudiare la
condizione nella quale era considerato e tenuto l’antico schiavo, poiché egli
non era “libero” e la sua esistenza totalmente dipendente da un padrone. Per
contro, il salariato moderno non è forse un uomo libero, cittadino con pieni
diritti davanti alla legge uguale per tutti? Ed è proprio tale uguaglianza a
nascondere la più grande mistificazione della società borghese.
L’attuale condizione di
operai e salariati è considerata assolutamente legale ed eticamente come la
più elevata possibile, tanto che non solo le correnti più reazionarie e
conservatrici della società, ma anche molti tromboni sedicenti progressisti,
stigmatizzano le “troppe” tutele di cui godrebbero i lavoratori, le quali non garantirebbero ai padroni
di disporre come meglio vorrebbero dei loro liberi
salariati, o altrimenti di licenziarli a capriccio.
La realtà è assai
diversa. Costretto a vendere la propria forza-lavoro, il salariato è posto,
come libero proprietario di se stesso, nella determinazione della proprietà
privata, e, sotto l’apparenza di un
riconoscimento della sua libertà è messa in atto la sua negazione, in modo che
l’uomo nell’essenza della proprietà privata viene privato della sua essenza.
Basta scorrere un
qualsiasi manuale di economia politica per accorgersi che il lavoro è
considerato esclusivamente come fonte di guadagno e l’operaio soltanto un
fattore produttivo, soma da lavoro, bestia ridotta ai più elementari bisogni
vitali, servo del proprio corpo, la cui riproduzione è garanzia per il capitale
da un lato di avere acquirenti per le proprie merci e dall’altro di trovare
sempre sul mercato la manodopera necessaria alla produzione di plusvalore.
Tra l’antica condizione e
quella moderna, pur con tutti i distinguo del caso, non trovo sostanziali
differenze, se non in peggio considerate le enormi potenzialità odierne e i
progressi inediti nell’organizzazione del lavoro.
*
E a proposito di etica,
osservo che anche il cristianesimo delle origini non era contrario alla schiavitù,
ed infatti in molti luoghi dei vangeli si parla di servi utili e inutili, di
servi fedeli e infedeli, non solo in senso lato (**). Con i sinodi, i concili e
la patristica, poi, si può scegliere fior da fiore.
Il cristianesimo ad ogni
modo accompagna un cambiamento di mentalità, del modo in cui è visto lo
schiavo, indotto dalle trasformazioni in atto nell’impero romano. Si pensi solo
all’estensione della cittadinanza romana con Caracalla, o la lex Petronia
de servis, di Augusto e Tiberio, la quale interviene ben prima della
diffusione del cristianesimo e limita il diritto di vita dei padroni sugli
schiavi, e proibisce di usarli nei combattimenti mortali con animali, se non come
pena comminatagli da un giudice.
Già agli inizi del primo
secolo si fa obbligo di seguire nei giudizi uguali procedimenti per i liberi e
per gli schiavi; sotto Claudio, dunque oltre tre secoli prima che il
cristianesimo diventi religione ufficiale (la stessa distanza temporale tra noi
e Luigi XIV), l’uccisione di schiavi ammalati o storpi è considerata come
assassinio; sotto Domiziano e Adriano è proibita la castrazione degli schiavi
senza il loro consenso (uso barbaro che si protrarrà invece fino a tempi
recenti per i cantori delle voci bianche per le corti e per la Cappella
Sistina). Sotto Adriano stesso è
proibita la vendita di uno schiavo per farne un gladiatore, o di una schiava ad
una mezzana se già non è una prostituta (negli Stati Uniti d’America, così costituzionalmente
civili, ciò era invece permesso fino a 150 anni or sono: non c’è etica
cattolica o protestante che tenga e lo spirito del capitalismo è tutt’altro che
democratico). La tortura, si badi bene, era ammessa solo in pochi e
circoscritti casi, contrariamente a quanto poi avvenne nel mistico medioevo e
anche molto dopo.
Questo lento processo di
trasformazione degli istituti dell’antica schiavitù ha poco a che vedere, nelle
sue ragioni profonde, con l’etica e la morale, tantomeno con quella cristiana,
la quale è altresì un prodotto della condizioni sociali del tempo. C’è da
osservare, al riguardo e quale esempio concreto delle ragioni di tale
mutamento, l’essiccarsi delle fonti schiaviste con la diminuzione dei territori
e delle guerre di conquista; la frequenza delle manomissioni e quindi l’aumento
massivo dei liberti che vanno ad occupare posizioni di primo piano lasciate
vacanti dalla denatalità o dal disinteresse delle classi alte.
Inoltre, la rovina verso
cui correva l’economia generale minata alla base dalle condizioni disastrose
del latifondo, obbligava di porre un qualche rimedio col sostituire al lavoro
servile quello dei manomessi, i quali mentre cedevano ai padroni il proprio
peculio in cambio della libertà ricevuta, assicuravano un lavoro più produttivo
pur sempre sulle terre degli antichi signori, insieme con gli obsequia che rappresentavano un guadagno
libero da ogni spesa, da cui trae origine la servitù della gleba formalizzata
già sotto Diocleziano.
Poi le grandi beneficenze
pubbliche di alcuni schiavi imperiali; il superiore grado di cultura di non
pochi schiavi (græci capti feros victores
ceperunt), come maestri, amministratori, medici, ecc.. Non ultimo –
contrariamente alla nostra civilissima società moderna – il carattere non
esclusivo della cittadinanza romana che non faceva discriminazioni per ragioni
di razza e nazionalità, per cui venivano accolti anche gli schiavi manomessi.
Pertanto le disposizioni
umanitarie che s’incontreranno – laddove esse si rintraccino – nella
legislazione degli imperatori cristiani, saranno ispirate allo spirito mite dei
giureconsulti precedenti e soprattutto suggerite dall’interesse stesso dello
Stato e della nuova classe dirigente cristiana. Del resto è fuori luogo
ritenere che il principio della piena uguaglianza ideologica e astratta tra
padrone e servo sia semplicemente un portato autonomo della nuova religione di
Stato e non invece segno di un terreno sociale già favorevole e maturo di ciò.
Piuttosto osservo che in tal senso la Chiesa stessa non sempre seppe nei secoli
successivi mantenersi all’altezza dell’insegnamento antico.
Chi è in attesa di
un’altra vita, beata ed eterna, poco deve curarsi se in questa breve esistenza
è sottoposto a schiavitù, con la fine di questo mondo infame passerà anche la
schiavitù. Quando poi il loro promesso regno parusiaco si allontanò sempre più
dall’orizzonte delle ingenue speranze, allora il problema della schiavitù ebbe
subito una soluzione radicale, ossia la Chiesa sancì che l’uguaglianza
universale di tutti i cristiani battezzati doveva intendersi solo davanti a Dio
(***), poiché padrone e servo erano fratelli e partecipi allo stesso modo della
salvezza divina. L’obbedienza, la rassegnazione, l’umiltà e la pazienza furono inculcate
come le virtù più miti, per chi non poteva altrimenti; gli altri, i padroni,
potevano in tal modo continuare a far valere la legge del più forte (non già
quella assurda dell’amore), sancita dal diritto o imposta con arbitrio, e, nel
caso, secondo le sacre scritture (****).
In tal modo il problema,
pur presente e reale, sembrava non porsi più, in quanto le catene erano
formalmente scomparse e il clima di mutuo e mistico amore doveva prevalere
visto che non si doveva annettere più alcun interesse per le cose terrene, e
quelli che noi oggi chiamiamo diritti umani venivano lasciati alla discrezione
dei sentimenti personali del padrone. In tal modo la Chiesa venne
progressivamente a sostituirsi all’autorità romana per diventare gelosa custode
della legislazione schiavista, la quale, nelle sue forme più crude e antiche,
non scomparve di certo nel medioevo (*****).
Particolarmente
sintomatico del clima di quella nuova epoca, fu il fatto che padroni e servi
potevano assistere alla stessa messa e ricevere l’eucaristia, ma per quanto riguarda
il resto, compresa la sepoltura dei corpi, le differenze essenziali restavano
intatte. E così il pensiero ozioso ecclesiologico non ebbe troppa difficoltà a
trovare un compromesso utile agli interessi delle classi dominanti, stabilendo
che l’uguaglianza riguarda le anime, non i corpi.
In tal modo la servitù e
il suo sfruttamento potevano essere considerati un male fisico, ma non un’immoralità,
così come avviene tutt’ora, laddove servitù, comunque mascherata, e ricchezza,
comunque accumulata, diventano quelle “cose” che si devono a Cesare, senza
pregiudizio a Dio e al diritto di classe. Bisogna ammetterlo, il padrone e il
suo prete (sia esso un economista o un editorialista) ne sanno sempre una più
del Diavolo.
(*) È vero che la
ricchezza come tale non è ancora potere politico, ma conferisce immediatamente
e direttamente – come osservava già Adam Smith – il potere di comprare, il che
consiste in un diritto di comandare sopra ogni lavoro altrui, e su ogni
prodotto di questo lavoro esistente in qual momento sul mercato (Cfr. : Indagine sulla natura e le cause …., Mondadori,
I, p. 33).
(**) Nel Vangelo di Luca:
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà
quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà
piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io
abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai
anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli
ordini ricevuti?
(***) La Chiesa non si
prese certo cura, non solo per ragioni tattiche, di stabilire che se padroni e
schiavi dovevano essere uguali davanti a Dio, tali andavano considerati anche
davanti alla legge degli uomini. Tuttavia, come sappiamo, la storia cammina
molto più lentamente di un sillogismo.
(****) Paolo, Corinzi, I,
7-20: Ciascuno rimanga nella condizione
in cui era quando fu chiamato; Timoteo, I, 6-1 e 2: Quelli che si trovano sotto il giogo della schiavitù, stimino i loro
padroni degni di ogni rispetto, perché non vengano bestemmiati il nome di Dio e
la dottrina. Quelli invece che hanno padroni credenti, non manchino loro di
riguardo, perché sono fratelli, ma li servano ancora meglio, proprio perché
quelli che ricevono i loro servizi sono credenti e amati da Dio. Questo devi
insegnare e raccomandare.
(*****) In pieno XVI secolo, Paolo III, con motu proprio del 1535 concede la libertà
agli schiavi rifugiatisi in Campidoglio, ma con un successivo motu proprio del 1548 non solo annulla
il precedente, ma sancisce il commercio schiavista. E mezzo secolo prima, i
cristianissimi sovrani spagnoli, dopo la presa di Granada, inviano a papa
Innocenzo VIII cinquecento mori perché servano nelle galere pontificie.
Magnifico
RispondiEliminaLorenzo
EliminaScusami Olympe, è un po di tempo che volevo chiedertelo.
RispondiEliminaMa tu, che definizione daresti al termine "economia politica"?
La domanda forse ti apparirà banale, (forse lo è), ma non riesco a darmi una definizione precisa, pur capendo di cosa si occupa...l'economia politica.
Ciao, e grazie per la risposta.
Franco
Allora, scusami per la domanda Olympe. Evidentemente, l'hai ritenuta banale.
EliminaCiao e buona giornata.
Franco
e perché banale? solo che non ho avuto il tempo di risponderti immediatamente.
Eliminaso, caro Franco, che ti piace leggere, perciò ti invito a una brevissima lettura dalla quale credo possa ricavare risposta più esauriente delle mie parole:
il primo manoscritto [salario] dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx. puoi trovarli qui:
http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1844/2/Manoscritti/Salario.html
buona giornata a te