S’era mai visto nei
cosiddetti “secoli bui” che gli Stati finanziassero le banche, ovverosia i
banchieri? Tutt’altro, erano questi ultimi a finanziare gli Stati, nella persona
dei loro sovrani. Altrimenti le case magnatizie dei Bardi e dei Peruzzi, le “due colonne della cristianità”,
come sarebbero potute andar fallite? Il re d’Inghilterra concedeva la
possibilità d’importare lana dal suo paese per la felicità dei mercanti
fiorentini, e i banchieri finanziavano le spese della monarchia inglese per far
la guerra alla monarchia francese (la famosa guerra dei cento (e passa) anni,
altro che le scaramucce di oggi), peraltro ricavandoci un interesse che neanche
il commercio della cocaina. Fino a quando il re disse loro: no money. Una dimostrazione storica di
come il re debitore, ossia il debito sovrano, poteva dichiararsi
insolvente alla faccia dei lanaiuoli toscani, cioè di gente assai più tosta finanche dei birrai tedeschi.
Come avrebbero potuto i
monarchi capetingi, senza i prestiti delle banche, mantenere nel lusso e nello
svago la loro pletorica corte e far guerra a questo e quello? Il lato bello di questi
nobili è che con la miseria del popolo, cioè con le tasse, finanziavano, oltre al
proprio potere e ai loro numerosi passatempi, anche l’arte. Bisogna ammetterlo,
avevano gran gusto, non per nulla erano granduchi e roba del genere. Certo,
allo scopo anzitutto di celebrare se stessi e legittimare il proprio potere, ma
dove li vedete oggi dei granricconi che facciano lo stesso? Ad attenuante di
questi ultimi va detto che oggi gli artisti non ci sono più e quelli del passato
fanno la réclame.
Scriveva Carlo Cipolla
che per i banchieri le leggi erano strumenti per controllare “gli altri”. Loro
si sentivano non vincolati dalle leggi bensì di sopra delle stesse. Un concetto
che dovrebbe ricordare qualcosa anche a noi, molti secoli dopo. Del resto,
oltre ai grandi lazzaroni non mancavano i banditi da strada neanche allora, i
quali aggredivano i viandanti. Ma anche questa medaglia ha il suo lato buono: a
quei malandrini noi dobbiamo le lettere di cambio e il deposito bancario. Solo
noi italiani, solo a Genova e Firenze si potevano inventare tali strumenti, e
da qui al prestito e all’investimento bancario il passo fu breve.
E poi, sia detto
francamente, i dissesti finanziari degli Stati servono a far camminare più
spedita la storia. Se non vi fosse stato il dissesto dello Stato francese nel
XVIII secolo non vi sarebbe stata la famosa rivoluzione e poi Napoleone non sarebbe andato più in là
del grado di colonnello, dunque il Louvre sarebbe incomparabilmente meno ricco.
Come sa essere dialettica ‘sta cazzo di storia.
Perciò a chi ci racconta
che con i nostri soldini è necessario salvare le banche dal fallimento, pena la
disintegrazione del sistema e quindi il mancato pagamento di stipendi e
pensioni, la chiusura di questo e quello, potremmo obiettare: e allora, qual è
il problema? Vuoi che uno scout e un delinquente, oppure un comico e e la sua spalla, non riescano a raddrizzare la situazione da qui al 30 di febbraio?
Giù il sipario: si dia inizio allo spettacolo.
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