Chiamiamo auree quelle età che di oro non ne avevano affatto.
*
C’è un solo aspetto palesemente
diverso tra il potere attuale e quello dei secoli passati. Oggi è anonimo, non
si espone quasi mai in prima persona e lascia esibire sulla scena delle mediocrità
assolute nel ruolo fittizio di potenti.
Che cosa sappiamo noi,
anime comuni, di chi è a capo di quelle 140 società che controllano quasi la
metà dell’economia mondiale, e dell’ancor più sparuta schiera dei più grandi
attori multinazionali che esercitano un controllo effettivo dieci volte
maggiore di quello che ci dice la loro patrimonializzazione?
I politici vengono e
vanno, come nuvole estuose al vento, ma i grandi e autentici proprietari del
mondo, senior o junior, non li smuove niente e nessuno. È la nuova aristocrazia,
quella del denaro. Che poi tanto nuova non è affatto. E che cosa c’è di più
democratico e universale del denaro?
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Ci doliamo e giustamente
scandalizziamo per gli stipendi e soprattutto per i rimborsi di spese pazze
di politici e del loro entourage, e tuttavia se confrontiamo, per celia,
questa situazione con lo sfarzo delle corti rinascimentali, qualche differenza
c’è. Poca o tanta decidetelo voi.
Si pensi, per esempio,
alla corte dei Gonzaga, nei secoli XV-XVII, la quale poteva contare su un
territorio esiguo, prevalentemente con economia agricola, come quello
mantovano. Eppure non si facevano mancare nulla e lo sfarzo raggiungeva vertici
inauditi. Una cronaca coeva, di certo Carnevali, offre alla nostra considerazione
questa notizia:
“Tra gentiluomini, dame, paggi, segretari, servi, soldati,
eravi alla fine del ‘500 e tutto il ‘600, un 350 o 400 persone. La più alta
carica era quella del maggiordomo maggiore, poi veniva il maestro di casa, il
cavallerizzo maggiore, i segretari di stato, i gentiluomini di tavola, i
camerieri, i coppieri, gli scudieri, i capitani, gli scalchi, gli aiutanti di
camera, i servitori, i medici, i religiosi, i cantori, i drappieri, i
guardarobieri, i credenzieri, i bottiglieri, gli spenditori, i legnaioli, i
canovari (addetti alle cantine), i sorveglianti del fieno, i cuochi, gli
artefici, i cacciatori, i giardinieri, gli staffieri, le dame e gentildonne
della duchessa, gli ufficiali, i paggi, gli staffieri della stessa, come pure
dei principi e delle principesse del sangue”.
In dettaglio, il duca
Vincenzo I poteva enumerare 12 persone tra segretari e consiglieri, 6
gentiluomini di tavola, 31 paggi, 10 camerieri, 17 aiutanti di camera, 5
scalchi (alcuni con incarichi molto rilevanti), 4 medici personali, 6
religiosi, 12 cantori, ben 11 bottiglieri, 14 cuochi, e oltre 23 guardiacani
con 83 cani che ogni giorno dovevano essere adeguatamente nutriti. Più che una
corte, una cagnara. Sua moglie, Eleonora de’ Medici (*), la quale ovviamente
usufruiva in parte degli stessi domestici di cucina e di altri servizi, poteva
annoverare 25 dame, 7 ufficiali e solo
3 camerieri personali.
E si doveva provvedere di
tutto a questa gente, non ultimo il cibo, secondo il rango di ciascuno, e
dunque secondo la gerarchia delle bocche e delle relative tavole. Chiaro che
l’approvvigionamento di viveri e la loro somministrazione, in una simile
confusione, comportava ampio spazio per sottrazioni e ruberie. Ecco all’opera una burocrazia minuziosissima di norme severe e di dettaglio perfino
comiche (lo scarto della carne era calcolato, per il macellaio, nel sei per
cento, tanto che la carne prima di finire nel piatto era pesata varie volte). Né si poteva portare nulla fuori del palazzo, tutto doveva essere
consumato sul posto e gli scarti riciclati per le bocche degli “inferiori”. Se
si considera che nelle campagne si moriva letteralmente di fame ....
A ciò deve aggiungersi il
peso dei numerosissimi ecclesiastici e religiosi mantenuti spesso con larghezza
e presenti cospicuamente in ogni luogo. A Firenze, nel ‘600, si potevano
contare non meno di 4.000 monache. I preti, specie i gesuiti, comandavano su
tutti con insolenza e prepotenza, come ebbe a osservare un pio scrittore del
primo Novecento.
*
Non dissimile la situazione
al Quirinale, ieri e oggi. Il primo presidente, provvisorio, era un galantuomo
[**] che non volle mai mettere piede al Quirinale, vivendo in un modesto
appartamento.
Il secondo presidente, un
economista borghese, sempre defilato durante il fascismo e che “non aveva mai partecipato in vita sua ad
alcuna lotta veramente politica, se non come uomo della Monarchia” –
secondo le parole di un suo autorevolissimo compagno di partito e vicino di
seggio in Parlamento – era divenuto famoso per la sua parsimonia. Come ministro
delle finanze minacciò tagli a destra e a manca, tagliando però sempre dalla
stessa parte (serve specificare quale?). Nel 1948 la sua conversione fu
istantanea, da “italiano più monarchico” a più alto rappresentante della
repubblica. Ed essendo monarchico il distacco dalla monarchia gli riuscì bene,
ma non quello dai fasti e dalle spese tipiche di quei regimi. Ed infatti,
eletto presidente della repubblica, andò ad abitare al Quirinale, succedendo
alla monarchia anche nello sfarzo dei riti e dei costumi, senza tema del
ridicolo.
Nonostante le distruzioni
del conflitto bellico e la miseria vera in cui versava il “popolo sovrano” di
allora, la dotazione presidenziale fu la folle somma di 180 milioni l’anno
(escluse le spese del segretario generale della presidenza che rimanevano a
carico del bilancio dello Stato), più un milione al mese quale assegno
personale (il coefficiente ufficiale Istat di rivalutazione attuale è 36, perciò
fate il calcolo). Lo stipendio medio mensile di un operaio non superava le
20-25mila lire. Insomma si trattava di un appannaggio enorme “e senza alcun paragone coi maggiori assegni
dei presidenti della repubblica di paesi meno poveri o assai più ricchi di noi”,
ebbe a scrivere allora un ex presidente del consiglio.
Al Quirinale il
presidente parsimonioso si ritrovò tra decine di corazzieri e staffieri,
ereditati dal precedente regime, e tra uno stuolo di servitori in livrea rossa
e blu (le stesse uniformi dei Savoia), impiegati, funzionari e faccendieri. Una
vanità burlesca e dispendiosa che superava quella del precedente monarca. Nel
tempo le cose sono andate peggiorando, il numero degli “addetti” è aumentato e
le spese sono cresciute senza eguali nel mondo, cioè centinaia di miliardi di
lire che solo l’escamotage dell’euro riduce, in milioni, a tre cifre (il
Quirinale oggi ha un appannaggio di circa 228mln di euro, vale a dire 450 miliardi di vecchie lire l’anno!!).
L’apposita commissione
parlamentare, ai tempi di Luigi Einaudi, ebbe a scrivere: «Il Presidente di una repubblica democratica fondata sul lavoro non ha
bisogno di attingere il suo prestigio al fasto che si accompagna alle corti».
Ma è giustappunto perché si tratta di una repubblica fondata sul lavoro (altrui)
che gli attuali monarchi e le relative corti possono vivere alla grande e a
sbaffo.
(*) Pure sua nonna si
chiamava Eleonora de’ Medici, ma nata Toledo in quanto figlia di Pedro, viceré
di Napoli, quindi moglie del primo granduca Cosimo, ritratta in un celeberrimo
dipinto del Bronzino. Non fu granduchessa di Toscana (d’Etruria, per chi ami la
precisione) per il semplice fatto ch’ella morì prima che il marito ricevesse la
nuova dignità dal papa (vedi qui).
[**] Ebbe però a
collaborare col fascismo, per esempio fece parte delle Commissioni preparatorie
del Codice Rocco (R. Zangrandi, Il lungo
viaggio attraverso il fascismo, p. 351).
Curiosità, dovuta a ignoranza (dovuta al fatto che ignoravo certe note biografiche del sior Luigi): Giulio, il figliolo del secondo presidente, non gli disse mai nulla a quel pidocchioso di suo padre?
RispondiEliminaINTANTO AUGURI DI BUON COMPLEANNO!
Eliminaanche giulio era un aristocratico, se ricordo bene ne parla Ernesto ferrero in un suo libro di qualche anno fa, ma non ricordo il titolo e non è importante averlo letto anche se in un letto d'ospedale aiuta a trascorrere il tempo.