venerdì 7 ottobre 2011

Marx non scoperse il plusvalore

Contrariamente a quanto ritengono taluni, Marx non ha scperto il plusvalore. Tuttavia la sua teoria sul plusvalore segna una rivoluzione teorica di incalcolabile portata sia per il pensiero scientifico che per il proletariato. Infatti, essa consente a Marx di metter in chiaro il meccanismo effettivo dello sfruttamento capitalistico, cioè di capire per quale via i rapporti di produzione capitalistici, operando nel processo lavorativo, lo pieghino alla produzione di valore. La riproduzione e il movimento del plusvalore sono alla base di tutti i rapporti della società capitalistica, delle sue leggi, delle sue tendenze e dei suoi schemi di razionalità. Essi costituiscono l'essenza di questi rapporti di produzione e di scambio, ma anche il motivo fondamentale delle crisi cicliche e dell'attuale crisi generale-storica del capitalismo.

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« […] cosa di nuovo ha detto Marx sul plusvalore? […]
La storia della chimica ci può offrire un’utile esempio.
Ancora verso la fine del secolo scorso dominava, com’è noto, la teoria flogistica, secondo la quale l’essenza di ogni combustione consisteva nel fatto che dal corpo comburente si separa un altro corpo ipotetico, una materia combustibile assoluta, che veniva designata con il nome di flogisto. Questa teoria riusciva a spiegare la maggior parte dei fenomeni chimici allora conosciuti, se pure, in molti casi, non senza qualche violenza. Ora, nel 1774 Priestley descrisse una specie di aria “che trovò così pura, ossia così immune da flogisto, che l’aria comune al suo confronto appariva già corrotta”. Egli la chiamò: aria deflogistizzata. Poco dopo Scheele in Svezia descrisse la stessa specie di aria, e ne dimostrò la presenza nell’atmosfera. Egli trovò pure che essa scompare se si brucia un corpo in essa o nell’aria comune, e la chiamò perciò aria di fuoco. “Da questi risultati trasse quindi la conclusione che la combinazione che nasce dall’unione del flogisto con una delle parti costitutive dell’aria» (dunque dalla combustione) «altro non è che fuoco o calore, che fugge attraverso il vetro”.
Sia Priestley che Scheele avevano descritto l’ossigeno, ma non sapevano che cosa avessero tra le mani. Essi “rimanevano prigionieri delle categorie ‘flogistiche’ così come le avevano trovate belle e fatte”. L’elemento che doveva rovesciare tutta la concezione flogistica e rivoluzionare la chimica, era caduto infruttuosamente nelle loro mani. Ma Priestley subito dopo comunicò la propria scoperta a Lavoisier a Parigi, e Lavoisier, avendo a disposizione questo fatto nuovo, sottopose ad esame l’intera chimica flogistica, e scoperse solo che questa specie di aria era un nuovo elemento chimico, e che nella combustione non si diparte dal corpo comburente il misterioso flogisto, ma che questo nuovo elemento si combina con il corpo; così soltanto egli mise in piedi l’intera chimica, che nella sua forma flogistica se ne stava a testa in giù. E se anche non ha descritto, come più tardi ha preteso, l’ossigeno contemporaneamente agli altri e indipendentemente da essi, tuttavia egli rimane il vero e proprio scopritore dell’ossigeno di fronte a quei due, i quali l’hanno meramente descritto, senza minimamente sospettare che cosa avessero descritto.
Come Lavoisier rispetto a Priestley e Scheele, così è Marx rispetto ai suoi predecessori per quanto riguarda la teoria del plusvalore. L’esistenza della parte di valore dei prodotti che noi ora chiamiamo plusvalore era stata stabilita molto prima di Marx; con maggiore o minore chiarezza, era stato altresì espresso in che cosa esso consista, cioè nel prodotto del lavoro per il quale colui che se lo appropria non ha pagato alcun equivalente. Ma non si andava oltre. Gli uni — gli economisti borghesi classici — indagavano tutt’al più il rapporto di grandezza secondo il quale il prodotto del lavoro si ripartisce tra il lavoratore e il possessore dei mezzi di produzione. Gli altri — i socialisti — trovavano ingiusta questa ripartizione e con mezzi utopistici cercavano di eliminare l’ingiustizia.

Entrambi restavano prigionieri delle categorie economiche così come le avevano trovate.
Qui interviene Marx. E in diretta opposizione con tutti i suoi predecessori. Là dove questi avevano visto una soluzione, egli vide soltanto un problema. Egli vide che qui non c’era aria deflogistizzata né aria di fuoco, ma ossigeno, che si trattava non della pura e semplice constatazione di un fatto economico, né del conflitto di questo fatto con la giustizia eterna e la vera morale, bensì di un fatto che era chiamato a sovvertire l’intera economia, e che forniva la chiave per la comprensione dell’intera produzione capitalistica, per chi avesse saputo utilizzarla. Fondandosi su questo fatto, egli esaminò tutte le categorie già trovate, come Lavoisier fondandosi sull’ossigeno aveva esaminato le categorie già esistenti della chimica flogistica. Per sapere che cosa fosse il plusvalore, egli doveva sapere che cosa fosse il valore. Innanzitutto, doveva essere sottoposta alla critica la stessa teoria del valore di Ricardo. Marx esaminò dunque il lavoro nella sua qualità di formatore di valore e stabilì per la prima volta quale lavoro, e perché, e come esso forma il valore, e che il valore in generale non è altro che lavoro di questa specie coagulato […].

Marx esaminò poi il rapporto, tra merce e denaro, e dimostrò come e perché, in forza della qualità di valore ad essa immanente, la merce e lo scambio di merci debbano generare la opposizione tra merce e denaro; la sua teoria del denaro su ciò fondata è la prima teoria esauriente, e oggi generalmente accettata senza discussione. Egli esaminò la trasformazione del denaro in capitale e dimostrò come essa poggi sulla compra-vendita della forza-lavoro. Ponendo qui la forza-lavoro [cioè di una determinata qualità di lavoro, nota del blogger], la proprietà di creare valore, al posto del lavoro [inteso genericamente, nota del blogger], risolse d’un colpo una delle difficoltà per la quale era crollata la scuola di Ricardo: l’impossibilità di far concordare il reciproco scambio tra capitale e lavoro, con la legge ricardiana della determinazione del valore attraverso il lavoro. Soltanto constatando la distinzione del capitale in costante [macchine, materie prime, ecc., nota del blogger] e variabile [salario], Marx pervenne a descrivere fin nei minimi particolari, e con ciò a spiegare, il processo della formazione del plusvalore nel suo effettivo svolgersi; ciò che nessuno dei suoi predecessori aveva compiuto; egli constatò dunque una differenza all’interno del capitale stesso, dalla quale […] gli economisti borghesi non erano stati capaci di cavar nulla, ma che fornisce la chiave per la soluzione dei più intricati problemi economici […]. Egli continuò a indagare il plusvalore stesso, e trovò le sue due forme: plusvalore assoluto e relativo, e mostrò le due parti differenti, ma ugualmente decisive, che esso ha sostenuto nello sviluppo storico della produzione capitalistica. Sul fondamento del plusvalore, egli sviluppò la prima teoria razionale del salario che noi possediamo, e per la prima volta fornì le linee fondamentali di una storia dell’accumulazione capitalistica ed una esposizione della sua tendenza storica.

[…] Marx, a differenza di Lavoisier [per quanto riguarda l’ossigeno, nota del blogger], non pretese di essere il primo ad aver scoperto il fatto dell’esistenza del plusvalore.

La scuola di Ricardo verso il 1830 naufragò contro il plusvalore. Ciò che essa non poté risolvere, rimase tanto più insolubile per l’economia volgare, che le successe. I due punti contro i quali essa rovinò erano i seguenti:
Primo: il lavoro è la misura del valore. Ma il lavoro vivente nello scambio con il capitale ha un valore minore del lavoro oggettivato contro il quale viene scambiato. Il salario, il valore di una determinata quantità di lavoro vivente, è sempre minore del valore del prodotto che viene prodotto da questa stessa quantità di lavoro vivente, ossia nel quale questa si rappresenta. Posta così, la questione, di fatto, è insolubile. Essa venne formulata esattamente da Marx, e con ciò risolta. Non è il lavoro ad avere un valore. In quanto attività creatrice di valore, esso non può avere un valore particolare così come la gravità non può avere un determinato peso, il calore una determinata temperatura, l’elettricità una determinata intensità di corrente. Non è il lavoro ad essere comprato e venduto come merce, ma la forza-lavoro. Non appena essa diviene merce, il suo valore si adegua al lavoro ad essa incorporato, in quanto prodotto sociale, è pari al lavoro socialmente necessario per la sua produzione e riproduzione. La compra-vendita di forza-lavoro sulla base di questo suo valore non contraddice dunque in alcun modo alla legge economica del valore.
Secondo: in base alla legge ricardiana del valore, due capitali che siano uguali per quantità e impieghino lavoro vivente ugualmente pagato, essendo uguali tutte le altre circostanze, producono in uguali periodi prodotti di ugual valore, e parimenti plusvalore o profitto di uguale grandezza. Se invece impiegano disuguali quantità di lavoro vivente, non possono produrre plusvalore, o, come dicono i ricardiani, profitto di uguale grandezza. In realtà avviene il contrario. Di fatto, capitali uguali, indipendentemente dalla quantità più o meno grande di lavoro vivente che impiegano, in tempi uguali producono in media profitti uguali. Qui c’è dunque una contraddizione con la legge del valore, contraddizione già trovata da Ricardo e che la sua scuola fu parimenti incapace di risolvere. […] Marx aveva risolto questa contraddizione già nel manoscritto Per la critica ecc.; la soluzione è data, secondo il piano del Capitale, nel III Libro».
(Dalla Prefazione di F. Engels al II Libro de Il Capitale, critica dell'economia politica). 

Spetta ora al lettore curioso di scoprire perché “capitali uguali, indipendentemente dalla quantità più o meno grande di lavoro vivente che impiegano, in tempi uguali producono in media profitti uguali”, e cioè leggendo il III Libro del Capitale, non prima di aver letto il I e il II Libro. Che a mio parere sono insieme anche più emozionanti della trilogia di Stieg Larsson, poiché non mettono a nudo solo uno spaccato della società, ma il fondamento stesso sul quale essa poggia. Buona lettura, allora.

3 commenti:

  1. mi chiedo se non ci sia stata mai un'analisi in campo storico/economico in termini di paradigmi kuhniani del passaggio che compie Marx definendo la teoria del plusvalore rispetto ai suoi predecessori

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  2. la bibliografia per quanto riguarda la rivoluzione epistemologica marxiana è certamente vasta

    r. rosdolsky genesi e struttura del capitale
    è un vecchio libro della laterza (1971) però penso sia ancora utile

    molto utile per comprendere il passaggio che compie Marx definendo la teoria del plusvalore rispetto ai suoi predecessori, credo resti comunque il cd quarto libro del capitale, ossia le Teorie sul plusvalore, pubblicate dall'einaudi e anche nella meoc (voll. XXXIV-XXXVI)

    o forse cerchi qualcosa di più specifico? oppure ne sai più di me? :-))

    ciao

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  3. Ciao,
    era solo una curiosita' dovuta al fatto che Kuhn nel "La struttura delle rivoluzioni scientifiche" cita appunto il caso del flogisto, anche se la diatriba era tra Priestley e Lavoisier.
    Li per li neanche me lo ricordavo che avesse fatto proprio lo stesso esempio di Engels, pero' sono andato a rivedere e in effetti e' cosi'. Per cui da digiuno di economia mi sono chiesto se esistevano studi che affrontavano la rivoluzione economica di Marx in termini di paradigmi (in senso kuhniano) economici che si sopravanzano

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