La decisione di Washington di ritirarsi dalla partecipazione ai bombardamenti aerei in Libia ha esacerbato le tensioni tra le grandi potenze, soprattutto tra gli Stati Uniti e Francia. L’Italia, non essendo una grande potenza, non conta, non ha gioco.
Il ritiro degli Stati Uniti stabilisce che spetta agli imperialisti europei di assumersi una quota maggiore di bombardamenti e relativi costi. La Gran Bretagna ha risposto alla mossa degli Stati Uniti con l'invio lunedì di quattro Tornado aggiuntivi. Nove le nazioni che sono coinvolte per un totale di circa 72 aerei d'attacco disponibili contro obiettivi a terra. Oltre a Francia e Regno Unito, cinque altre nazioni hanno finora preso parte a missioni di bombardamento: Belgio, Canada, Danimarca, Italia e Norvegia, con 30 aerei in totale. La Francia è in campo anche con la portaerei "Charles de Gaulle” e due fregate, con a bordo 16 aerei da combattimento e 33 velivoli in totale. Tuttavia la Francia non ha messo, di fatto, le sue forze sotto il comando Nato, e questo la dice lunga sui contrasti in atto. La Gran Bretagna ha attualmente 12 Tornado che sorvolano la Libia e la RAF ha 10 Typhoon per far rispettare la no-fly zone. Il capo della Royal Air Force, il maresciallo dell’aria Stephen Dalton, ha detto al Guardian che gli aerei militari britannici sono chiamati a svolgere un ruolo nella no-fly zone sopra la Libia per almeno sei mesi.
Parigi chiaramente si sente sotto pressione dalla decisione degli Stati Uniti, soprattutto in considerazione che ora è coinvolta in tre conflitti in corso: Libia, Afghanistan e Costa d'Avorio. A tale proposito una notizia per gli amanti del cioccolato: la Costa d'Avorio a causa dei conflitti interni non esporta più cacao (40% della produzione mondiale) e il prezzo a tonnellata è passato dai 2mila dollari fino a più di 3mila.
Più a lungo continuerà l'offensiva contro Tripoli, più la pretesa di uno sforzo unitario lascia il posto a problemi di conflitti nascosti e taglienti che riguardano, tra l’altro, il conto spese per la campagna e chi avrà poi la parte del leone sugli assets petroliferi libici. Inoltre gli Stati Uniti hanno forti riserve sulla scelta favorita da Parigi di armare i ribelli di Bengasi. Gli Usa sono già stati scottati in Afghanistan ed è chiaro che non vogliono ripetere l’errore.
È chiara una cosa che ormai scrivo fin dal primo giorno: Gheddafi è morto, con lui non è possibile perdere ulteriormente la faccia. Ma un’altra soluzione non sembra in vista. Se si aspetta di prendere la Libia per logoramento la faccenda andrà avanti per mesi e forse più. Urge un’idea, ma non c’è.
Grande è la confusione sotto i cieli africani e anche europei. Le rivalità su questo fronte, ma anche su molti altri, mettono in mostra come l’Europa non sia altro che una creatura artificiale dei banchieri, dell’industria e della finanza. L’Italia, come solito, svolge il ruolo di vaso di coccio, balbetta e i suoi grandi interessi in Libia sono per il momento congelati e compromessi e il futuro non si presenta bene. Con la paura di perdere qualcosa, alla fine perderà molto. Essa ha sostenuto Gheddafi per necessità e calcolo, non con convinzione. In politica e negli affari ci può stare, ma poi si pagano le conseguenze. Tale atteggiamento è stato posto anche nei riguardi della Tunisia. Insomma, da sempre, l’Italia ha rinunciato a giocare, soprattutto dopo la guerra fredda, un ruolo diverso da quello del semplice faccendiere. Ruolo, quest’ultimo, congeniale a Berlusconi e alla sua claque.
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