giovedì 28 aprile 2011

Il Che Guevara del Tavoliere!



D’Alema ha chiesto a Berlusconi di dimettersi in caso di sconfitta elettorale alle prossime amministrative. Perché dovrebbe farlo un tipo come lui che alla politica deve le sue fortune e che in caso di dimissioni rischierebbe il culo un minuto dopo? Forse la Merkel o Sarkozy si sono dimessi dopo le recenti batoste delle amministrative tedesche e francesi?  E poi D'Alema come può chiedere seriamente ai deputati nominati (anche i suoi) di rinunciare ad altri due anni di indennità parlamentare: 5,486,58 mensili al netto, più 3.503 di diaria, poi 3.690 di rimborso “inerente al rapporto con gli elettori” (pensa te), quindi 1,107 di rimborso spese per il trasporto e 258,22 di telefono e molti altri piccoli benefici? Perché rinunciare ad almeno altri 335.000 euro sicuri d’indennità e rimborsi? Poi c’è la spartizione degli ingenti fondi di rimborso elettorale. Ma soprattutto come chiedere al povero peones di rinunciare al cospicuo vitalizio che matura dopo 5 anni di mandato, nonché alla liquidazione che è in misura degli anni nei quali ha pigiato il pulsante a Roma? Fa presto D’Alema a parlare, lui che il vitalizio l’ha già maturato e la liquidazione assicurata, così come una barchetta da diporto e “l’insalata nell’orto”.

Prendiamo un Veltroni, ma anche un Cicchitto o un Gasparri, quando mai avrebbero guadagnato tanto nella vita se non l’avessero buttata in caciara? Magari avrebbero dovuto perfino lavorare per vivere. Per D’Alema è diverso, si capì da subito che aveva spiccato l’istinto per la lotta politica e soprattutto natura e astuzia di grande statista: aveva cominciato a far politica “contestando la maestra democristiana e anticomunista”. Poi a Pisa prese parte “alle grandi contestazioni degli studenti della Normale: recentemente era stato espulso Adriano Sofri per aver infranto le rigidissime regole del collegio che vietavano, fra l'altro, l'ingresso di ragazze nelle camere. Dopo varie occupazioni, il regolamento fu modificato con la liberalizzazione degli accessi e l'abolizione dell'obbligo di pernottamento e dei rientri a orari predeterminati. Grazie a queste esperienze, entrò quasi subito nella dirigenza locale del PCI (il cui segretario, fra l'altro, era amico del padre di D'Alema)” e organizzò molte iniziative e manifestazioni “rischiando spesso il carcere e scontrandosi coi più radicali elementi di Lotta continua che ritenevano D'Alema troppo allineato alla posizione del PCI”. Dalle lotte per le camere alle baruffette della Camera il passo fu breve e scontato.

Studente di filosofia, D'Alema "si ritirò dagli studi poco prima di discutere la tesi, che avrebbe dovuto vertere sull'opera Produzione di merci a mezzo di merci di Piero Sraffa". E qui si capisce anche il resto.

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