Il responsabile economia e lavoro del Pd, tale Stefano Fassina, un economista che ha pubblicato molti saggi su come “governare il mercato” e “riformare le pensioni”, ha scritto ieri su il manifesto una «Risposta “democratica” all’editoriale di domenica» dello stesso giornale, in cui veniva criticata la mancata adesione del Pd alla manifestazione della Fiom.
La tesi di Fassina e del Pd qual è? Anzitutto una premessa metodologica:
«un partito serio non è la giustapposizione delle domande inevitabili di interessi parziali o di movimenti tematici. Un partito serio non è collezione di adesioni a piattaforme altrui. Un partito serio è declinazione autonoma, sintesi possibilmente alta, di interessi parziali e rivendicazioni tematiche intorno ad una visione orientata all'interesse generale».
Quindi, la Fiom, nella sua manifestazione di sabato, rappresentava degli interessi legittimi ma giudicati dal Pd come “interessi parziali”, non “orientati all'interesse generale”, cui invece tende il partito. Diritti del lavoro, il contratto collettivo, ecc., rappresentati dal maggior sindacato dei metalmeccanici, non sono “sintesi alta” dell'interesse generale.
Aveva un bel chiedersi, giorni or sono, Alberto Asor Rosa:
«è proprio vero che la «condizione operaia», il modo d'essere operaio, il «punto di vista» di classe, il suo rapporto non solo economico ma anche «sociale» con il resto del mondo, sono estranei alla «condizione generale», «sociale» e «civile», «politica» e «istituzionale», del nostro paese, dell'Europa, del mondo? Si direbbe, - anzi, questo con sicurezza si può dire, - che, per stare al gioco, gli operai dovrebbero rinunciare alla contrattazione; al diritto di sciopero; ai diritti di cittadinanza; al diritto di mangiare, cagare e pisciare in fabbrica».
Scrive Fassina:
«Aderire alla piattaforma di altri vorrebbe dire smarrire sul terreno economico-corporativo l’insostituibile funzione etico-politica distintiva del partito. In altri termini, vorrebbe dire indebolire la funzione di proposta generale nella rincorsa di domande di rappresentanza parziali».
Ecco perché, in caso di sciopero generale del più grande sindacato italiano, di gran lunga il più rappresentativo della classe operaia, contro le politiche economiche del governo e del padronato, il Pd non aderirebbe perché si tratterebbe di “indebolire la funzione di proposta generale nella rincorsa di domande di rappresentanza parziali” favorendo iniziative “corporative”. Cioè, di classe!
Ed infati, Fassina precisa:
«la divisione indebolisce i lavoratori sul terreno strettamente sindacale. In secondo luogo, perché la divisione indebolisce le prospettive dell’alternativa politica. Per una credibile alternativa politica è necessario ricongiungere larga parte dei lavoratori e delle loro rappresentanze».
E chi è stato causa di questa divisione delle “rappresentanze”, cioè del sindacato? Quale tipo di linee di politica economica, anche da parte del Pd, hanno favorito tale divisione? Risponde implicitamente Landini, il segretario generale della Fiom nel suo discorso di sabato:
«Vi faccio un esempio personale. Quando ho cominciato a lavorare, quando entravo in fabbrica, dal centralinista al progettista, sotto lo stesso tetto, tutti avevano lo stesso contratto e gli stessi diritti. Oggi se tu vai in un luogo di lavoro scopri che non è più così. Mentre chi comanda è sempre quello, noi siamo frantumati e divisi. Ci sono diversi contratti: le cooperative, l'appalto, il subappalto, il lavoratore precario. Noi abbiamo bisogno, alla luce anche di questa grande manifestazione, di dire con chiarezza che l'obiettivo di un sindacato degno di questo nome è riunificare i diritti in questo paese. E per fare questo, se c'è bisogno di pensare a qualcosa di nuovo, io credo ci sia bisogno non di meno contratti, non di questa storiella secondo cui ognuno si può contrattare nella sua fabbrica o nel suo territorio (se non c'è un contratto nazionale che fissa i diritti per tutti, la contrattazione è una contrattazione a perdere, fabbrica per fabbrica). C'è una novità da dire: bisognerebbe pensare a un contratto dell'industria, a uno dei servizi, un altro del pubblico impiego. Dobbiamo cioè pensare a come si riunificano i lavoratori.
Siamo sicuri che il Pd, la Cisl e la Uil non siano corresponsabili di tale stato di cose?
Conclude Fassina:
«A differenza di movimenti leaderistici ansiosi di superare la soglia elettorale del 5%, il Pd non può permettersi il lusso di lasciare ad altri il gravoso compito della costruzione dell'unità dei lavoratori».
E invece come pensano di affrontare “il gravoso compito” gli strateghi del Pd, visto che sono sostanzialmente d’accordo con le posizioni di Finmeccanica e della Confindustria, quindi con Cisl e Uil?
Facciamo così: dato che la Fiom e la CGIL non sono abbastanza rappresentativi degli “interessi generali” (cioè compresi quelli della Confindustria, ça va sans dire), alle prossime elezioni gli operai non daranno il proprio voto al Pd, perché non “unitariamente” rappresentativo degli interessi collettivi delle classi salariate. E non venite a ricattarci con lo spauracchio di Berlusconi: siete l’altra chiappa della stessa faccia di culo.
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