venerdì 8 ottobre 2021

Criminali nazisti nella Repubblica federale tedesca

 

Quando sento affermare che la Germania avrebbe fatto i conti con il suo passato nazista, mentre l’Italia non avrebbe fatto i suoi con il fascismo, penso che chi fa tali dichiarazioni o non sa di che cosa parla oppure è in malafede. Spesso le due cose coincidono, poiché fare dichiarazioni pubbliche di questo tipo senza essersi prima documentati adeguatamente costituisce una colpa.

Non dobbiamo farci fuorviare dalla notizia di questi giorni che un’ex segretaria di un campo di concentramento, ormai centenaria, è stata sottoposta a processo. La Germania, segnatamente la Repubblica federale tedesca, non ha mai fatto i conti col suo passato nazista.

Moltissimi dirigenti e collaboratori del regime hitleriano ricoprirono poi a lungo nella Repubblica federale tedesca cariche apicali. È illuminante a tale proposito l’articolo della giornalista tedesca Ulrike Meinhof, intitolato Grande coalizione, scritto per la rivista Konkret nel 1966 (n. 12). Nel novembre di quell’anno cadde il cancelliere Erhard a causa della sua politica economica, i socialdemocratici imbastirono un governo di coalizione e come cancelliere accettarono l’ex nazista Kurt Georg Kiesinger, tra l’altro vice-capo della propaganda di radiodiffusione nel ministero degli Esteri nazista. Governò la Germania dal 1o dicembre 1966 al 21 ottobre 1969.

Kiesinger, nel 1968, fu schiaffeggiato durante il congresso della CDU da Beate Künzel, attivista antinazista che, insieme a suo marito Serge Klarsfeld, ha consegnato alla polizia molti funzionari del regime tedesco datisi alla macchia dopo la seconda guerra mondiale, quali, per esempio, Kurt Lischka, Herbert Hagen, Ernst Heinrichsohn, Walter Rauff, Klaus Barbie, Ernst Ehlers e Kurt Asche. Beate per quel gesto fu condannata ad un anno di reclusione, scontò effettivamente quattro mesi di carcere.

Già nel 1961, la coraggiosa giornalista Ulrike Meinhof, di cui ieri ricorreva l’anniversario della nascita, pubblicò un articolo dal titolo Hitler in voi (Koncret, n. 10), che gli costerà una denuncia del leader cristiano-democratico Franz Josef Strauß. Meinhof cercò di mobilitare con i suoi articoli le giovani generazioni su questo tema, per una risposta specifica, ricordando che nel 1926 «in un referendum gli studenti tedeschi si pronunciarono a favore delle “caratteristiche razziali come criterio della loro appartenenza all’associazione”». Scriveva con carattere mite e pacifico: «una tale constatazione non deve essere un appello alla delazione riguardo al passato del singolo. Essa è però un richiamo al fatto che non possiamo tacere su questa problematica, che come studenti vogliamo prendere posizione e non lasciare in pace il passato e attendiamo dai più anziani una risposta».

Più tardi dovrà rendersi conto che questa speranza si scontrava con la dura realtà tedesca, dunque che i limiti della critica dei cosiddetti “vecchi nazisti” e gli sforzi per un buon rapporto con lo Stato d’Israele, non producevano cambiamenti sostanziali. Concludeva il suo articolo con queste parole: «Come noi chiediamo di Hitler ai nostri genitori, un giorno ci chiederanno di Strauß» (*).

Penso poi, per ricordare figure preminenti della Repubblica federale tedesca, al superministro dell’economia e delle finanze Karl Schiller, con un passato nel partito nazista e nelle SA. Diventerà socialdemocratico, quindi ministro federale dell’economia nella grande coalizione sotto Kurt Kiesinger nel 1966. Ha lavorato con il ministro delle finanze Franz Josef Strauß. Nel 1969, divenne ministro federale dell’economia nel governo di Willy Brandt. Nel 1971, ministro dell’economia e delle finanze per poi passare ai liberali e terminare infine all’estrema destra.

Quindi penso a figure note in Germania e completamente sconosciute qui da noi, quali Reinhard Höhn, che nel 1933 aderì al partito nazista, e nel 1934 entrò a far parte delle SS, di cui divenne in seguito generale. Nel 1939 divenne direttore dell’Istituto di Ricerca Statale dell’Università di Berlino, ruolo che mantenne fino alla fine della guerra. Inoltre tra il 1941 e il 1944 diresse la maggiore rivista di geopolitica delle SS, Reich - Volksordnung - Lebensraum. Nel 1956 fondò l’Akademie für Führungskräfte der Wirtschaft (Accademia per dirigenti d’impresa) a Bad Harzburg. Di lì passarono ogni anno circa 35.000 tra manager e quadri pubblici e privati che venivano indottrinati sulle tecniche di comando. Johann Chapoutot, nel suo libro dal titolo Nazismo e management (Einaudi, 2021), s’interroga: “ È un caso o vi è un legame profondo tra il nazismo e le concezioni di direzione aziendale del Novecento?”.

Nel 1965, sarà la tanto vituperata Repubblica democratica tedesca, a pubblicare il Libro bruno. Criminali di guerra e criminali nazisti in carica nella Repubblica federale tedesca. Stato, economia, esercito, amministrazione, giustizia, scienze.

(*) Nel 1968, contro il più possente movimento di massa che la RFT avesse conosciuto nel dopoguerra, furono approvate dal governo federale (con i voti della SPD-CDU-CSU) le “leggi di emergenza”, che segnarono profondamente la trasformazione statuale della Repubblica federale tedesca. Queste leggi stanno all’origine di tutta la legislazione successiva poiché sancivano il principio che i diritti riconosciuti dalla Costituzione potevano essere in determinati casi sospesi o limitati “per proteggere la Costituzione e l’ordinamento da essa garantito”.

Le leggi di emergenza hanno senza dubbio costituito l’attacco più profondo alla Costituzione e sono la base giuridica per tutte le altre leggi liberticide che seguirono. Per esempio, il Berufsverbot, ossia l’interdizione del pubblico impiego (1970). L’interdizione professionale è un provvedimento di competenza ministeriale preso al termine di un procedimento individuale di tipo inquisitorio completamente informale e privo di garanzie legali. Con il Berufsverbot, tutt’ora in vigore, furono colpiti membri del partito comunista, esponenti della sinistra del partito socialdemocratico, simpatizzanti dei gruppi della sinistra extraparlamentare, professori universitari. Servì a sindacato per eliminare dalle sue fila elementi di sinistra, dando quindi il via libera a quello che è oggi il sindacato in Germania, ossia un sindacato “giallo”. Seguirono altre leggi speciali dal 1972 al 1976.

Ciò che accadde nel carcere di Stammheim a Ulrike Meinhof nel 1976 (troppo lungo riportare qui le perizie che escludono il suicidio), e un anno dopo ad altri tre membri della Rote Armee Fraktion, anch’essi dichiarati suicidi, esemplifica bene la reale natura della democrazia tedesca (e non solo di quella).

«Ci faranno fuori appena sentiranno che l’opinione pubblica è talmente montata contro di noi da non temere reazioni e quando l’isolamento sarà così totale che nessuno potrà controllare quello che qui accade» (Andreas Baader).

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