sabato 23 ottobre 2021

Asociali e obsolescenti

 

Ieri era l’anniversario della morte di Stefano Cucchi. Non il solo a subire la violenza, la tortura, da parte delle “istituzioni”. Tuttavia una vicenda dai risvolti raccapriccianti e spaventevoli. C’è voluta tutta la tenacia e il coraggio di sua sorella, la confessione di un testimone dei fatti, il clamore mediatico, un film straordinario (Sulla mia pelle), perché la morte di Stefano non finisse come tante altre storie di abusi e violenze. C’è voluto un processo di primo grado, d’appello, poi la Cassazione, quindi un altro appello, la Cassazione bis, e infine l’appello-ter ... . Una vicenda processuale tipicamente italiana.

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Ne Lo straniero di Camus, il pm sostiene che Meursault ha un“anima criminale”: per permettere alla popolazione di stare tranquilla, isoliamo l’atto e il suo autore. C’è un vantaggio ideologico nel designare come “criminali” persone in cui abbiamo paura di identificarci. I “mostri”, i “violenti”, i “contestatori”, sono anormali, asociali, sono l’eccezione per l’umanità; se hanno fatto quello che hanno fatto, è proprio perché non sono come noi: abbiamo una spiegazione semplice per loro.

Non prestiamo attenzione alle piccole disumanizzazioni, quelle che ci sono offerte dallo spettacolo mediatico, al punto che finiscono per far parte della quotidianità, dell’arredo. Esempio è il tipico ritratto veicolato in questo periodo del cosiddetto no-vax o no-green pass. È un idiota per definizione, pericoloso per sé e soprattutto per gli altri. Se consideriamo che sono persone che abbiamo conosciuto, con cui siamo stati vicini, è più preoccupante, vero? Persone che altrimenti sono socialmente stimate e rispettate, e non asociali in agguato dietro un cespuglio.

Proprio non facciamo caso ai cambiamenti linguistici e politici in atto oggi. A quel linguaggio delle “funzionalità” di cui parlava Victor Klemperer, che mira a razionalizzare e pianificare sempre più la nostra vita quotidiana, costruito da successivi cambiamenti di un vocabolario che è sempre più quello informatico, del linguaggio macchina, del management, del marketing, dell’economia e di un certo gergo anglosassone ormai dominate. Lo vediamo nei nostri modi quotidiani di esprimerci, di comportarci e di fare le cose.

Nessuno di noi è “immune” da queste “contaminazioni”, tanto per usare dei termini ormai correnti. Siamo condannati a parlare di meno per “comunicare” di più. Ne scrivevo in forma molto piana giovedì, citando l’esempio della trattoria, laddove perfino il rapporto, il dialogo tradizionale, tra cliente e cameriere è stato sostituito da un crittogramma sulla tovaglietta. Come quella programmata per gli oggetti, prendiamo atto dell’obsolescenza generalizzata dell’umano.

Nota: l’obsolescenza programmata degli oggetti-merce è stata proposta per la prima volta nel 1932 da Bernard London, un uomo d’affari americano che immaginava di far uscire il mondo dalla Grande Depressione chiedendo ai governi di imporre una scadenza legale su tutti gli articoli di consumo. Prima o poi verrà posta legalmente (ma di fatto già esiste e in certe forme viene attuata) anche la scadenza per gli umani, quando non siano ritenuti più utili e produttivi (non sto parlando di atti volontari dell’interessato). La trasformazione dell’uomo dallo stato di soggetto allo stato di oggetto mi sembra evidente. Basta far riferimento a espressioni impiegate con naturalezza come “risorse umane”, “capitale umano”, eccetera. Se chi le impiega conoscesse la loro origine sarebbe più cauto nell’uso. Forse.

8 commenti:

  1. Ohibò, ma se ha cominciato lui, col capitale variabile.

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    1. No mio caro, la chiama forza-lavoro, capitale variabile è invece riferito a una componente tecnica del capitale complessivo.

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    2. Questa, per dirla in gergo calcistico, è una respinta corta. Anche nel lessico aziendalistico "capitale umano" ha un significato simile. Piuttosto, avresti potuto obiettare che la valenza "etica" attribuita alle locuzioni è diversa, fra Marx e un direttore del personale. Cioè, il direttore del personale ne parla in senso positivo.

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    3. «Per forza-lavoro o capacità di lavoro intendiamo l’insieme delle attitudini fisiche e intellettuali che esistono nella corporeità, ossia nella personalità vivente d’un uomo, e che egli mette in movimento ogni volta che produce valori d’uso di qualsiasi genere» (I, 2^ sz. – La trasformazione del denaro in capitale).

      Marx distingue nel capitale due parti: capitale costante e capitale variabile.
      Capitale costante è “la parte del capitale che si converte in mezzi di produzione, cioè in materia prima, materiali ausiliari e mezzi di lavoro”, e che “non cambia la propria grandezza di valore nel processo di produzione”.
      Capitale variabile è “la parte del capitale convertita in forza-lavoro”, che “cambia il proprio valore il processo di produzione” e che “riproduce il proprio equivalente e inoltre produce un’eccedenza, il plusvalore”.

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    4. Max, pur essendo una persona molto etica, nelle sue opere scientifiche non indulge a forme di sentimentalismo etico, nemmeno quando parla dello sfruttamento delle donne e dei bambini nelle fabbriche inglesi.

      Simon Weil, per esempio, ha invece colto il tratto “generoso” ed “etico” nella concezione e nell’opera di Marx, rimproverandogli di non aver saputo vedere il sorgere di una terza classe sociale oltre alle due fondamentali, ossia quella dei manager e dei grands commis, i quali dominerebbero in lungo il largo la società contemporanea. Sono teorizzazioni che piacciono molto dalle parti di Antonio Negri, ma non solo da quelle parti.

      In realtà il management cui si riferisce la Weil, non costituisce una classe sociale a sé, ma una frazione della classe borghese. Con molto potere, senz’altro, ma bisogna tener presente che due forme identiche possono avere contenuti diversi. L’analisi fenomenologica, tipica dell’approccio borghese, considera il fenomeno per quanto si mostra nella sua manifestazione esteriore e ne deduce che la forma del manifestarsi di una cosa coincida con il nesso causale che le sta a fondamento. Fosse così semplice la scienza non avrebbe motivo.

      Le classi sociali, anche storicamente, sono il prodotto e lo strumento delle frazioni di classe, dei gruppi. Classi e gruppi non possono essere separati, ma le classi contengono e riassumono in sé i gruppi, anche se l’azione dei gruppi è quella che modifica e trasforma le classi. Tutto ciò per dire, e non tirarla per le lunghe, che il capitale e il potere sono impersonali.

      Al management è chiesta la massimizzazione dei profitti attraverso l’ottimizzazione delle “risorse umane”, al pari di qualunque altra risorsa. Nella logica del capitale, l’individuo conta per quello che produce, è visto semplicemente come una componente del capitale, la cui sopravvivenza è garantita soltanto dalla disponibilità allo sfruttamento, anche quando si tratti di un minore, di un malato o portatore di handicap, di un anziano. Quando l’anziano non serve più, perché è una macchina già usata, “capitale umano” usurato (ecco il senso dell’espressione!), è lasciato alla misericordia di chi se ne vuole occupare, affidato all’olocausto degli ospizi e dei reparti geriatrici. La realtà del genocidio capitalistico trasuda in continuazione.

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  2. Abbiamo già parlato di questo argomento, per esempio qui http://diciottobrumaio.blogspot.com/2021/01/sulle-diversita-culturali-estreme.html, dove facevo riferimento a Orwell, Burnham e anche al povero Bruno Ricci. Devo ribadire che non mi convince del tutto la posizione ortodossa. Anche la distinzione insiemistica tra classi e gruppi credo di capirla, ma una cosa è capire, un'altra essere d'accordo. A me pare che si tratti di un conflitto verità/realtà, come descrivevi poche ore fa.
    Cerco di sintetizzare: sta emergendo una nuova classe, che alcuni chiamano élite, ed è una definizione che mi fa un po'schifo, perché il termine designa originariamente un gruppo di elevato livello, mentre questi sono in gran parte stronzi profittatori. Li definirei burocrati di alto bordo, sia che facciano parte di aziende che del settore pubblico. La parte più alta (come reddito) è costituita dagli speculatori, che non sono solo quelli che giocano in borsa, ma tutti quelli che parassitariamente approfittano di sacche privilegiate del mercato, per esempio quello degli appalti. Questi signori lavorano per sé più che per le organizzazioni di cui fanno parte, ma quello che più inquieta è che muovono gli stati, e le organizzazioni internazionali.
    Qui mi fermo, perché si arriva al complottismo. Che però va considerato con la dovuta attenzione.

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