Gli economisti si dividono in due grandi tribù, quelli che sostengono che il capitalismo è in grado di autoregolarsi, e i loro cugini che invece sostengono che il capitalismo è instabile per sua natura e ha bisogno di essere regolato.
Le ricorrenti crisi economico-finanziarie dimostrano che non solo il capitalismo è instabile per sua natura, ma che la sua regolazione attraverso l’intervento politico e dunque legislativo non elimina le crisi stesse, e che in non pochi casi la medicina prescritta si rivela peggiore del male.
Quando poi, dopo la crisi, si ripresenta una ripresa, ciò è motivo per gli economisti di consolazione e anche di glorificazione personale, tuttavia non solo non viene risolto il problema della crisi ma non viene compreso nemmeno il loro reale motivo.
Ad ogni modo il capitalismo ha trionfato in tutto il mondo, rivelandosi il sistema economico più efficiente. Con quali costi sociali, umani e ambientali lo sperimentiamo tutti, chi più e chi meno, tuttavia conta che il capitalismo come modo di produzione finora ha retto e sta reggendo. Possiamo chiamarlo il paradosso della instabilità.
Il paradosso è tenuto in piedi dal fatto che le banche centrali inondano il mercato di liquidità per stimolare gli investimenti privati e tenere vivo il grande gioco della speculazione, per evitare il ripetersi di un crollo peggiore di quello del 1929, se è vero che oggi, più di allora, tutto è strettamente connesso e interdipendente.
Dopo la crisi del 2008, il rimedio è stato cercato nelle politiche monetarie, scoraggiando il risparmio con tassi negativi e incoraggiando le banche a prendere in prestito a tasso zero, nella speranza che restituissero quei soldi a famiglie e imprese a tassi d’interesse moderati.
Niente di tutto questo funziona e non c’è da meravigliarsi. Le politiche monetarie sono incapaci di rilanciare l’economia e alimentano bolle finanziarie sostenendo artificialmente i prezzi delle azioni, a vantaggio dei più ricchi che le possiedono. Le banche, non essendo enti di beneficienza, tutt’altro, prestano solo a chi i soldi c’è li ha già o può offrire garanzie solidissime e blindate.
Va anche rilevato che la stampa di denaro alla lunga crea inflazione, che sommata a debito, stagnazione e speculazione crea un mix esplosivo. Infatti, serpeggia un forte allarme per i rischi di un’altra crisi finanziaria globale, incattivita da fattori quali la pandemia, i venti di guerra, il rincaro delle materie prime e il montare ovunque della protesta sociale.
È tempo di ricorrere a metodi più fantasiosi, cioè a vecchie ricette dal sapore keynesiano. Per questo motivo Biden vuole un massiccio piano d’investimenti e una riforma fiscale. L’investimento si divide in un piano infrastrutturale (strade, treni, ponti, ecc.) e un piano sociale (abbassare i costi dell’assicurazione sanitaria e dell’educazione della prima infanzia).
L’UE, per far ripartire l’economia del continente, soprattutto dei paesi più in difficoltà, ha varato la Next Generation Eu, un fondo da 750 miliardi di euro in prezzi costanti, chiamato più comunemente Recovery fund, col quale finanziare gran parte delle centinaia di miliardi che costituiscono i “piani nazionali di ripresa e resilienza”. L’UE per finanziarsi deve emettere debito pubblico europeo.
Si sarebbero potuti lanciare solidi dagli elicotteri, ma c’era il rischio che questi finissero nelle mani sbagliate, ossia in quelle di chi ne ha effettivamente bisogno. In Italia, che ha oltre 30,6 miliardi di quel piano interamente finanziati con debito pubblico, hanno pensato bene di regalare soldi con il superbonus al 110% per ristrutturare casa, ossia di dare soldi soprattutto a favore di quelli che non avrebbero bisogno di simili regali (*).
Senza l’intervento degli Stati e delle banche centrali, il capitalismo non durerebbe il tempo di una generazione. A loro volta gli Stati e le banche centrali per finanziarsi devono rivolgersi al mercato finanziario. Un gioco economico che alimenta un crescente debito pubblico e privato che ha assunto proporzioni gigantesche. Chi pagherà questo debito? A un certo punto ci sarà un grande reset. Quello vero, non quello immaginato da certi personaggi televisivi.
(*) Ecco perché con questa valanga di denari in arrivo tutti si dichiarano per l’Europa. Ciascuno ha la sua missione da soddisfare, secondo le sue convinzioni più profonde. La sinistra è per l’Europa sociale, la destra per quella liberale, l’estrema destra per l’Europa delle nazioni. Anche il Vaticano è per l’Europa, e così anche i pedofili, sono per l’Europa delle natiche rosa. E ovviamente la criminalità è europeista e internazionalista da sempre.
Ci sono 191,5 miliardi, provenienti dal Recovery and resilience facility, il cuore del Next Generation Eu, in gran parte da scialacquare (ci possiamo scommettere). Il termine più ricorrente è “digitalizzazione”. C’è nulla di più generico e addomesticabile per ogni particolare situazione della digitalizzazione? Circa 29,6 miliardi di euro sono per “inclusione e coesione”. Ho una grande curiosità, anche perché i finanziamenti europei prescrivono l’attuazione delle famose riforme. Quelle che attendiamo da mezzo secolo e anche più. Ci sarà poi da monitorare l’avanzamento dei lavori e chiedere all’Ue i pagamenti periodici, a obiettivi raggiunti. Mi vengono in mente certi cantieri aperti e mai definitivamente chiusi. Circa 82 miliardi del PNRR (il 40% circa sul totale) saranno destinati per investimenti e opere al Sud. Auguri.
Lo so, sono una persona piuttosto semplice e, forse per questo, paragrafo dopo paragrafo, ho sentito nelle orecchie arrivare "What a wonderful world"
RispondiEliminasolito ottimista :)
EliminaScusa se esco dal tema del post, ma hai visto questo?
RispondiEliminahttps://youtu.be/BSRsLr_OpVw
Le audizioni al Senato sono una miniera.
tutti fassisti
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