venerdì 31 luglio 2020

Ancora e sempre segreti di Stato

Santo Stefano è una piccola isola situata al largo della costa fra Lazio e Campania, appartenente all'arcipelago delle isole Ponziane. Nella Regia Casa di Pena si consumò uno dei mille misteri del nostro pittoresco paese. Vi trovò la morte, da detenuto speciale, Gaetano Bresci, nemmeno un anno dopo aver giustiziato Umberto Savoia per le sue malefatte.

Sorvegliato a vista h24 con un turno di sei guardie, dissero che si era suicidato impiccandosi alle sbarre della cella. Con un asciugamano. Ma gli asciugamani erano vietati, si obiettò. Allora con un fazzoletto. Ridicolo. Il secondino Barbieri, disse che si era assentato un quarto d’ora per orinare. Bresci non aveva dato segni di depressione, né di volontà suicide, nei giorni precedenti. Anzi, stava studiando il francese! Chiedeva, inutilmente, che gli fossero consegnate le lettere che la moglie gli scriveva dagli Stati Uniti. Chiedeva notizie dei suoi figli.

L’autopsia rilevò una stranezza: il corpo di Bresci si trovava in stato di decomposizione dopo solo 48 ore da quando sarebbe avvenuto il suo decesso. Giolitti inviò un ispettore, il quale scrisse il suo rapporto, mai reso pubblico. All’archivio di Stato di Roma, dove si trovano le carte di Giolitti, c’è una grande busta originale per le carte “riservatissime” relative a “Bresci Gaetano”. Dovrebbe contenere il rapporto dell’ispettore, ma dentro non c’è nulla.

Il direttore del carcere, tale cavalier Cecinelli, fu promosso. I secondini, premiati.

*

L’Italia dei segreti, degli omissis, dei “misteri”, degli anni delle bombe, delle stragi e degli omicidi, dei pentiti mai paghi del loro pentimento, a ogni stormir di foglie sono pronti a comando. Vi sono tenuti per contratto. Tranne i registi di quei fatti, che pentiti non lo furono mai. L’Italia di ieri, ma anche di oggi, di sempre.

Oggi usano mascherarsi dietro facce rassicuranti e di bronzo come quella di Conte Giuseppe, avvocato, facente funzioni di presidente del consiglio pro tempore. L’Italia è l’unico paese in Europa che abbia secretato perfino le carte relative all’epidemia virale in corso. Un tribunale ha disposto che quelle carte devono essere rese pubbliche. Ovvio.

«Il governo ha fatto ricorso al Consiglio di Stato contro la decisione del Tar di rendere pubblici i documenti secretati del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile. Contengono i pareri usati da Conte per emanare i dpcm di marzo e aprile, quelli del lockdown».

Il popolo è sovrano, ma è meglio, assai meglio, che non sappia. Questa sì che è democrazia, altro che Putin e “Ping”!

L’Italia dei regi decreti (fascisti), delle leggi speciali, dei codicilli, delle interpretazioni autentiche, delle circolai applicative, dei legulei manzoniani, delle impunità, dei magistrati sceriffi, delle condanne pregiudiziali, delle inchieste poliennali, delle cause decennali. 

Scrive l’avvocatura dello Stato: “I dpcm, oggetto dell’odierno contenzioso sono atti amministrativi generali, frutto di attività ampiamente discrezionale ed espressione di scelte politiche da parte del Governo che trovano la propria fonte giuridica nella delega espressamente conferita dal legislatore all’esecutivo in un atto avente forza di legge, ovvero, in particolare dapprima nell’articolo 3 del decreto legge 6/2020, convertito con Legge numero 13/2020 e, poi, nell’articolo 2 del decreto legge 19/2020, convertito con legge  35/2020, e rinvengono la propria ragione nell’esigenza temporanea ed urgente di contenere e superare l’emergenza epidemiologica causata dal Covid-19”.

Bravi. Che quegli “atti amministrativi” siano stati adottati, come tutti gli atti amministrativi, sulla base di una “fonte giuridica conferita dal legislatore”, rientra nel minimo sindacale. Nel merito: è proprio perché quei dpcm sono stati “frutto di attività ampiamente discrezionale”, oggi oggetto di contenzioso, che risulta urgente e necessario conoscere sulla base di quali dati e valutazioni tecniche e scientifiche siano stati adottati, onde verificare fin dove si è spinta “l’ampia discrezionalità” del governo e dei suoi organi.


Un esempio tra mille.


giovedì 30 luglio 2020

Il paese dei campanelli



A riguardo dell’editoriale di Ernesto Galli sul tema dei giovani delle periferie, sul Giornale si legge: “L’editoriale scritto e pubblicato su Il Corriere è infarcito di luoghi comuni che non hanno senso”. Perché si tratti di truismi che non hanno senso Enzo Boldi non lo spiega nemmeno con mezza parola.

Invece sul Secolo, Riccardo Arbusti, scrive a difesa di Galli: “Colpevole di cosa? Di avere scritto un editoriale sul Corriere della sera in cui denuncia il fatto che nessuno si occupa più del tema periferie (molto sbandierato in campagna elettorale ma poi sempre archiviato)”.

Poi prosegue: “Ricapitolando: fino a ieri dal Fatto a Repubblica a La Stampa fioccavano titoloni allarmati sulla movida senza regole e mascherine che ci metteva tutti a rischio. Si invocavano rigidi controlli e multe severe. Ma gli intellettuali mainstream possono dirlo. Uno storico liberalconservatore come Ernesto Galli della Loggia invece deve tacere. Questa sì che è coerenza. Del resto la gauche caviar  ama il caos e la sregolatezza, ingredienti essenziali di un’esistenza creativa e permissiva”.

Insomma, anche in questo caso la minestrina sulla gauche caviar che ci scodellano da decenni. Nel castello stregato dell’ideologia ci si contrappone, ma è solo un gioco degli specchi. C’è chi demonizza e chi vuole addomesticare i nuovi “mostri”.

Che cosa ha fagocitato negli ultimi tre-quattro decenni l’intera formazione sociale? C’è stato qualcosa che ha piegato ai suoi bisogni ogni interstizio della società costruendo una formazione sociale sui generis, stabilendo il suo dominio reale totale? Come vogliamo chiamarlo questo “qualcosa”? Ah, già nella definizione/identificazione del nome comincia il problema.

Forse non ci siamo accorti che l’elemento caratterizzante di questo dominio reale totale è la nuova qualità dei rapporti sociali. Non c’è “più in nulla la vecchia lotta di classe con al centro il protagonismo degli operai” si duole il liberaldemocratico Galli. Che peccato, sarebbe bastato mandare i celerini al bisogno.

Così com’è venuta a rivoluzionarsi la sfera della produzione e del consumo, così come la società si è informatizzata, in modo isomorfo e continuo si è modificato profondamente e qualitativamente tutto il resto. Tanto che non esistono più le stesse periferie d’un tempo a dimensione prevalentemente operaia, una classe che si poteva facilmente catalogare per mentalità, gusti, morale, ecc.. In una parola per una determinata “coscienza”.

“Dietro tale conflitto c’è la drammatica condizione di disagio, di diseguaglianza di standard socio-culturali, che colpisce chi vive nelle periferie”. Ebbene, caro professore, anche nelle periferie di un tempo si ravvisavano diseguaglianze stridenti rispetto ai quartieri chic o anche solo medio borghesi, ovviamente anche per quanto riguardava gli standard socio-culturali.

È sotto la luce del sole che è avvenuta una trasformazione ideologica radicale. Se nelle precedenti fasi dello sviluppo capitalistico le forme della coscienza si producevano spontaneamente, naturalmente, oggi al capitale non interessa più la riproduzione e formazione di proletari dei quali in gran parte non ha più bisogno, se non come potenziali clienti e consumatori.

I costi sociali, anche in termini monetari, sono a carico dello Stato, ma questi non è un corpo neutrale. Frega nulla delle periferie, tutto è periferico rispetto al potere. Capisco che i nuovi proletari siano indisciplinati, a volte violenti, e che invece di manifestare contro la guerra in Vietnam Siria vengano invece a sputare sui campanelli sotto  casa sua. Tuttavia ciò è inevitabile, ma si rassereni poiché tanto a pulire non sarà lei.

Per dire di alcune cose come di altre


Trascrivo un paio di annotazioni tratte dalla Correspondance di Napoleone (tomo XV, n. 12544 e tomo XXIII, n. 18382), laddove scriveva che quando “Si avrà in tutta Europa uniformità di moneta, ciò sarà di grande vantaggio per il commercio”, cosa ovvia anche allora. Tuttavia si rendeva conto che “i popoli, di cui queste operazioni diminuiscono la ricchezza, ne serbano una lunga agitazione”.




L’uso politico della moneta è storia antica, così come le dissipazioni, gli sperperi e la corruzione. Che in Germania e Olanda non sono altrettanto comuni quanto da sempre in Italia. E anche per quanto riguarda le imposte, le cose vanno diversamente qui da noi, per esempio su successioni, donazioni e polizze vita. Per dire di alcune cose come di altre.

*

Dato che siamo in tema napoleonico, rilevo che, nel 1795, la Repubblica francese istituì, in materia di pesi misure, il sistema metrico decimale. La Repubblica italiana adottò lo stesso sistema con la legge del 27 ottobre 1803, valendosi però di una terminologia originale: dito per centimetro, miglio per chilometro, eccetera.

Anche allora come oggi e come sempre, quando finalmente in Italia le invocate riforme diventano legge, poi ci si adegua molto lentamente, spesso impercettibilmente, comunque in forma “originale”.

Fu così che a Napoleone girarono les boules, e infine impose la nomenclatura che usiamo tuttora. Se così non fosse stato, probabilmente avremmo adoperato la nostra “originale” nomenclatura chissà ancora per quanto tempo. Ricordo ancora che i nostri vecchi, per le piccole misure usava ancora la dizione: “cinque dita, dieci dita”. Cosa che faccio anch’io quando mi verso da bere: due dita di vino, ossia un bel bicchiere pieno!



mercoledì 29 luglio 2020

Gli amici


Chi non avesse ancor ben chiaro come gira il mondo, e pensi ancora che i cinesi sono brutti, sporchi e cattivi e invece gli Stati Uniti siano sinonimi di libertà e democrazia, o comunque il male minore, può leggersi questo articolo di Welt.

Sia il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che i repubblicani e i democratici di entrambe le camere del Congresso vogliono fermare il gasdotto negli ultimi chilometri. Dalle ritorsioni contro le ditte appaltatrici (ne ho scritto recentemente per esteso in: La guerra del gas) siamo passati in questi giorni a non velate e dirette minacce di altro tipo, rivolte al personale delle società che vi lavora e alle loro famiglie.

Gli Usa vogliono vendere il loro gas all’Europa, soprattutto non vogliono che i russi vendano il loro. Per farlo sono disposti a tutto. È sempre stato così con gli alleati e amici americani. Stiano perciò attenti la cancelliera Merkel e i vertici politici della Germania, dal vecchio armadio dei servizi americani potrebbe venir fuori un frammento di ossa, anche solo un kleiner Finger. A farne uno scheletro intero ci penserebbe la “libera stampa”.

martedì 28 luglio 2020

Gli "angoli oscuri"



Segnalo un interessante articolo del NYT della scorsa settimana a riguardo di ciò che successe nel mondo della finanza statunitense nel marzo scorso e sui pericoli in corso:

«Per evitare una devastante spirale discendente, la Federal Reserve venne in soccorso di Wall Street per la seconda volta in una dozzina d’anni. Mentre gli investitori vendevano una vasta gamma di partecipazioni e si precipitavano verso la relativa sicurezza dei contanti, la Fed si impegnava a diventare un acquirente di ultima istanza per riportare la calma sui mercati critici.

Quel backstop – prosegue l’articolo – ha salvato molte persone e società d’investimento, inclusa una parte degli hedge funds che erano stati attratti da una speculazione con ampi rischi. La storia di quel commercio – per come è andata male e per come è stata recuperata – offre un ammonimento su importanti questioni che il Congresso non ha affrontato nella legge finanziaria del Dodd-Frank del 2010 e nell’approccio alla regolamentazione da parte dell’amministrazione Trump».

Tuttavia, sostiene il NYT, citando un esempio sull’incapacità delle autorità di regolamentazione di controllare in qualsiasi modo l’anarchia del mercato, le restrizioni più severe imposte al sistema bancario ordinario ai sensi del Dodd-Frank Act, spingono gli operatori finanziari verso “l’assunzione di rischi negli angoli oscuri di Wall Street”.

Il fatto stesso che esista una miriade di “angoli oscuri”, che proprio angoli non sono, dimostra quanto il sistema finanziario sia esposto normalmente e sistematicamente alle tempeste. Tra i segnali di una tempesta finanziaria in arrivo c’è la caduta del valore del dollaro USA e il forte aumento del prezzo dell’oro, che ieri ha raggiunto il record di 1.944 dollari l’oncia ieri, portando il suo aumento per l’anno in corso al 25 per cento (che non è poco).

Quando i mercati si sono bloccati a metà marzo, il prezzo dell’oro è sceso mentre gli investitori cercavano liquidità. In seguito c’è stato un rapido aumento e si prevede che debba salire ancora. Del resto l’andamento del suo prezzo è una delle poche cose che segue generalmente una stretta logica di mercato.

Nei cosiddetti “tempi normali” l’oro non è visto come un investimento perché non porta un ritorno sotto forma d’interesse. Con i tassi di interesse vicini allo zero, o in alcuni casi negativi, questo svantaggio viene meno e l’oro viene visto come una riserva di valore in quanto la stabilità delle attività finanziarie viene messa in discussione.

Attualmente gli investitori acquistano attività in gran parte semplicemente perché il loro prezzo è in aumento, ma tali forti aumenti potrebbero cadere improvvisamente se i mercati e l’economia globale subissero un nuovo shock, non necessariamente a motivo del coronavirus.

Nel marzo scorso, rileva il NYT, “Le banche avrebbero potuto agire come antistress acquistando titoli e trovando acquirenti, ma già erano piene di titoli di Stato e non potevano gestirne di più, in parte a causa delle normative stabilite dopo il 2008”. Tutti vendevano: investitori ordinari, banche centrali straniere e hedge funds. Quasi nessuno acquistava, così il mercato del debito pubblico degli Stati Uniti, il vero nucleo del sistema finanziario globale, si stava arrestando.

Intervenne la Fed, “facendo cose incredibili”. Ma quanto potrà durare la fiducia quando ripetutamente trilioni di dollari sono creati al computer per rifornire tutte le aree dei mercati finanziari di titoli di stato, debito societario, bond spazzatura, debito degli studenti e carte di credito, carte commerciali e obbligazioni municipali? Nulla è per sempre.

Il NYT punta il dito contro l’amministrazione Trump, non a torto, tuttavia va sottolineato il fatto che i trilioni di sostegno governativo alle società attraverso la legge CARES (della quale ho scritto nel marzo scorso) e gli interventi “incredibili” della Fed nel fornire ulteriori trilioni di dollari per tutte le aree dei mercati finanziari sono stati interamente sostenuti anche dai Democratici al Congresso.

Un’oligarchia divisa in due grandi fazioni lotta per il potere politico. La democrazia e tutti i bei discorsi attorno ad essa non c’entra nulla.

Da un fallimento all’altro


Scrive l’archeologo Andrea Carandini sul Domenicale del 19 luglio scorso, in un articolo dal titolo Memorie dal sottosuolo del Foro e del Palatino:

«Se nell’VIII secolo a.C. esisteva il santuario di Vesta, allora esisteva anche la città di Roma. Roma è stata quindi fondata, non intorno al 600-550 a.C. – come ha sostenuto la vulgata che tra gli storici contemporanei prevale – ma alla metà dell’VIII secolo a.C. come gli storici romani hanno concordemente ritenuto. Le interpretazioni degli storici contemporanei sull’origine di Roma rappresentano pertanto il maggior fallimento storiografico della cultura umanistica occidentale».

Si passa da un fallimento all’altro, non solo per quanto riguarda la cultura umanistica.

lunedì 27 luglio 2020

Come dio, del resto


Sul Domenicale, Vincenzo Barone ha pubblicato un articolo dal titolo La gravità, una vera attrazione. Ripercorre con rapidi cenni i grandi nomi che hanno segnato la teoria della gravitazione nella sua evoluzione storica, dal “Dio della Genesi” ad Aristotele, passando per Galileo e senza dimenticare Newton, ovviamente, giungendo infine e a coronamento dell’impresa al nome di Einstein.

Va bene, si saranno detti in redazione, che lo zoccolo duro del Domenicale è costituito da persone colte e semicolte, tuttavia è d’uopo star leggeri in simili materie.

Ma non credo che sia per questo motivo che non c’è alcun cenno nell’articolo sul rapporto dialettico tra massa ed energia, ossia tra attrazione e repulsione, tra la gravità e il suo opposto. A far tramontare la “visione newtoniana della gravità” fu, scrive Barone, “l’acuta interrogazione sui fondamenti da parte di un altro genio, Einstein”.

Basta la parola, al sapore dolce di prugna.

Barone non lo rievoca, ma per quanto riguarda l’autore dell’acuta interrogazione sui fondamenti, in principio tutto sembrò trovare sostanza nell’osservazione di un fenomeno: la deviazione dei fotoni che passano vicino al Sole confermerebbe non già l’attrazione gravitazionale da parte del Sole, bensì la “curvatura dello spazio-tempo”! E così l’incontestato Einstein divenne al secolo il “genio” per antonomasia.

Barone rileva che, nonostante l’acuta interrogazione sui fondamenti, “Rimangono, tuttavia, alcuni [!!] enigmi irrisolti. Uno di questi “è legato al fatto che la gravità è, nello schema teorico attuale, l’unica interazione che ha che fare con la geometria spazio-temporale”. Benissimo, e dunque? È anche questa, continua Barone, una peculiarità “che non sappiamo spiegare. Ci riusciremo, probabilmente, quando saremo in grado di conciliare la teoria della gravitazione con la teoria quantistica, il grande obiettivo della fisica contemporanea”.

Mi permetto nutrire seri dubbi sulla possibilità che la fisica teorica contemporanea riesca a spiegare qualche cosa di reale. Per quanto riguarda lo specifico cosmologico, dando retta alla teoria dominante (chi ardirebbe contestarla?), a muoversi sarebbe solo lo spazio che si trascinerebbe dietro la materia presente in esso. È lo spazio che si espande, le masse resterebbero ferme e si muoverebbero solo di conseguenza. Come l’uvetta nell’impasto che lievita! Ciò che evolve non è la materia nello spazio e con una durata che chiamiamo tempo, ma è lo spazio-tempo come qualcosa che si stira, ondeggia, rimbalza e si contorce!

Lo spazio e il tempo sono diventate categorie metafisiche, cui celebrare sante messe e Te Deum di equazioni. Se poi qualcosa non torna, si può sempre tirare in ballo la “materia oscura”, così oscura che si sa solo che esiste. Come dio, del resto.

domenica 26 luglio 2020

Nel disinteresse e nell’istupidimento generale



In un discorso di giovedì scorso intriso di bugie, ipocrisia e demagogia, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha ufficialmente capovolto decenni di politica americana nei confronti della Cina, ponendo le basi per un’ulteriore escalation del confronto tra Washington e Pechino.

Pompeo per questo suo attacco ha scelto la Richard Nixon Presidential Library, fatto di per sé significativo. Fu Nixon, insieme all’allora consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger, a progettare un riavvicinamento con la Cina. Nixon volò a Pechino nel 1972 e incontrò il leader del Partito comunista cinese Mao Zedong in una visita che aprì la strada a relazioni diplomatiche complete nel 1979.

Fu una cosa non da poco per la situazione geopolitica e diplomatica di quei tempi, con la guerra nel Vietnam ancora in corso, i bombardamenti sulla Cambogia (solo sul territorio cambogiano furono sganciate dai bombardieri americani quasi tre milioni di tonnellate di bombe, pari a una volta e mezza le bombe sganciate dagli alleati nel II conflitto mondiale, atomiche comprese; sul Laos quasi due milioni di tonnellate).

Pompeo ha dichiarato che “se vogliamo avere un XXI secolo libero, e non un secolo che sogna Xi Jinping, il vecchio paradigma del coinvolgimento a prescindere della Cina negli affari internazionali non può più essere applicato”, dovrebbe essere sostituito da una strategia “che protegga l’economia americana e il nostro stile di vita” e “il mondo libero deve trionfare su questa nuova tirannia”. E ancora: “Se pieghiamo le ginocchia adesso, i nostri nipoti potrebbero essere in balia del Partito comunista cinese, le cui azioni sono oggi la sfida principale nel mondo libero”.

sabato 25 luglio 2020

Una farmacia infestante


L’erba infestante qui nella foto, riconoscibilissima, sarà capitato a molti di estirparla dal proprio giardino o da altri terreni. Invece la portulaca (Portulaca oleracea, P. sativa, della famiglia delle Portulacaceae) possiede molte e straordinarie virtù, tanto che si è affermata come un rimedio universale fin dalle epoche più antiche.

Steli reclinati, striscianti, da 20 a 50 cm di lunghezza, ramificati, carnosi, rossastri quando maturi, con rami opposti, con foglie succose e ovali, lucenti nella parte superiore, produce (fine maggio) piccoli fiori con 5 petali gialli. Cresce nei campi e anche ai margini dei sentieri, ha tanti nomi comuni quanti sono i campanili. La portulaca ha il vantaggio di crescere spontaneamente tutto l’anno nei luoghi in cui c’è un clima più caldo, non ha bisogno di frequenti innaffiature ed è quindi di facile coltivazione. Le piante ricrescono dopo il taglio.

Secondo Ippocrate, con quest’erba si trattava emottisi, calcoli alla vescica ed emorroidi. I musulmani la consideravano come una “verdura benedetta”, ovviamente dal giorno in cui il Profeta fu guarito da una ferita a un piede. Il botanico farmacologo e medico arabo-andaluso Ibn al-Baytar la dichiara sovrana contro il diabete. Apollonio di Tiana, che conduceva una vita ascetica e vegetariana, consumava quest’erba per scacciare i sogni erotici! Pertanto, se in seguito a Versailles la chiamarono “insalata salutare”, non fu propriamente per motivi di sollazzo erotico.

Fu introdotta in Europa nell’VIII secolo dagli arabi, accuratamente descritta da Alberto Magno nel XIII secolo, poi nel 1536 menzionata per la prima volta come pianta coltivata da Jean de La Ruelle. La sua cultura fu presente in Inghilterra dal 1582.

Come alimento è molto nota in Asia, Africa e Sudamerica, si sta riscoprendo in Europa. Pare fosse uno dei cibi preferiti di Gandhi e anche di Henry David Thoreau quando viveva a Walden Pond, dunque prima che il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti la classificasse come un’erbaccia nociva (salutari invece carne e gamberi agli ormoni!).

È riconosciuta per le sue proprietà disintossicanti e come fonte di antiossidanti, ossia omega 3 e omega 6: acido alfa linolenico (ALA) e acido gamma-linolenico (LNA), quindi vitamina C, B ed E, calcio (65 mg / 100 g), magnesio (68mg / 100g) e potassio (494 mg / 100 g).

Gli steli e le foglie più giovani in insalata presentano un leggero sapore agrodolce, croccante e succoso. In cucina si può seguire i metodi usati per i fagiolini, si accompagna con uova in camicia, stufati e carne grigliata condita, con una vinaigrette di senape, o con un po’ di aglio, così come prescrive Desiderius Erasmus in un suo celebre commentarius. Può essere cotta a vapore e passata nel burro, come gli spinaci, usata in una zuppa o con una frittata.

Consumata in quantità può essere un po’ lassativa.

La portulaca grandiflora Hook è coltivata come pianta ornamentale.

venerdì 24 luglio 2020

Vorrebbero l’impossibile


Durante il Regno d’Italia napoleonico (1805-1814), non meno che in altre epoche precedenti e successive, le popolazioni interessate si lamentavano per il peso delle imposte. Il dipartimento con il più alto numero di violazioni annonarie, nel periodo 1807-1811, fu quello del Reno, dunque la grande provincia bolognese, seguito dal Basso Po e poi quello del Serio. Non mancarono insurrezioni popolari, come quelle del 1809, a seguito della nuova tariffa daziaria, ma soprattutto causate dalle “inopportune modalità di esazione” (*). Il carico medio delle imposte per abitante era di circa venti lire annuali per lo Stato, alle quali occorreva aggiungere le gabelle locali, ad esempio per Milano una decina di lire. Un carico fiscale pro capite tutto sommato leggero rispetto a quello che si deplora oggi (soprattutto da parte di chi le imposte le evade), tanto che Napoleone così scriveva al viceré Eugenio nel 1806: «Vorrebbero, in quel paese, l’impossibile: pagare poche tasse, avere poche truppe [di leva], ed essere una grande nazione; tutto questo è chimerico». I milanesi risposero così: la statua di San Bartolomeo scorticato, nel Duomo, si ritrovò ornata della scritta “Regno d’Italia” (**).

(*) Emanuele Pagano, Enti locali e Stato in Italia sotto Napoleone, Carocci, pp. 215 e ss..

(**) Alain Pillepich, Napoleone e gli italiani, il Mulino, p. 86.

giovedì 23 luglio 2020

Il sindaco di Kafka, l'oste di Goethe, il castello di Dürer



Molti anni fa, per evitare le spiagge affollate e vocianti d’agosto, decidemmo per il lago di Caldonazzo, a un colpo di tosse da Pergine (TN). Questo accadeva prima che scoprissimo le suggestioni del Garda, precisamente tra Riva e Torbole, sulla sponda nord con la veduta più bella sul lago, anche rispetto alla vista dalle “Grotte di Catullo” a Sirmione.

Riva è il centro turistico più importante della zona, molto bella e tenuta bene, con incantevole lungolago collegato a Torbole (punto dincontro per gli amanti del windsurf). Alla fine di agosto offre lo spettacolo pirotecnico secondo solo a quello del Redentore a Venezia. C’è anche una libreria antiquaria che merita più di una visita.

All’inizio del secolo scorso Franz Kafka vi soggiorna due volte, ospite del Sanatorium von Hartungen, e nel 1917 vi ambienta un suo racconto (Il cacciatore Gracco), descrivendovi il porto e la piazza, i vicoli del centro storico, il sindaco:

«Subito l’uomo nella barella aprì gli occhi, con un sorriso doloroso volse il capo al signore e disse: Chi sei?. – Il signore, senza grande stupore, si alzò dalla sua posizione in ginocchio e rispose: Il sindaco di Riva».

Tra il 12 e il 13 settembre 1786, Goethe è a Torbole, una tappa di trasferimento del suo Grand Tour italiano. In una piazzetta interna, occupata dai tavolini dei bistrot, una targa ricorda il sito esatto del soggiorno, così come Gothe non dimenticò il pranzo torbolano:

«Con enfasi italiana l’oste mi annunziò che era felice di potermi servire una trota squisitissima. Le pescano vicino a Torbole, dove il torrente [Sarca] scende dalla montagna e i pesci tentano di risalire la corrente. L’imperatore ricava da questa pesca diecimila fiorini di appalto. Non sono come le nostre trote: sono grosse, pesano a volte anche cinquanta libbre e sono punteggiate lungo tutto il corpo fino alla testa; il sapore sta fra la trota e il salmone, ottimo e delicato» (*).

I nordici amano la trota in modo particolare, un pesce che sta sotto la protezione di Schubert.

Non comune il paesaggio sulla ciclabile da Torbole per Arco, località che diede i natali a Giovanni Segantini, non solo grande pittore ma anche eccellente diarista. Qui il Castello tra le rocce non lasciò indifferente nemmeno Albrecht Dürer, che vi dipinse un famosissimo acquerello. Arco fu all’epoca di Franz Joseph un soggiorno di gran fama, vi soggiornò tra gli altri Nietzsche. Il patrimonio ecclesiastico costituito da teorie di ville e villini è ancor oggi degno di nota e, nel caso, di considerazioni d’impronta blasfema.  

Ad ogni modo quell’anno la nostra tribù fu di stanza nei pressi di Caldonazzo, lago considerevole ma assai più modesto di quello del Benaco. Il tempo si mantenne sul bello per tutto il periodo, salvo un paio di giorni che piovve copiosamente. Fu grazie agli esiti di quella pioggia che potemmo raccogliere, lì intorno e senza fatica, alcune centinaia di chiocciole. Comunemente le chiamano lumache, ma in realtà le lumache non presentano il tipico “guscio” delle chiocciole, e soprattutto le lumache non sono edibili, almeno alle nostre longitudini.

Quando le raccolgo in giardino, le faccio spurgare per diverse settimane. In quel caso, invece, trattandosi di molluschi di montagna, adusi ad un pasto particolare, era possibile far giustizia sul momento, accusando le chiocciole di essere troppo belle e grosse, quasi quanto quelle borgognone, e però più gustose di quelle galliche che servono nei ristoranti stellati di Francia.

Pertanto, consiglio a chi non è molto pratico, di acquistare quelle di allevamento, che non hanno bisogno di essere spurgate e troppo lavate. La mia ricetta è semplicissima:

mettere le chiocciole con acqua fredda in una pentola capiente, possibilmente con qualche foglia di ortica, portare ad ebollizione per qualche minuto; sgusciare le chiocciole aiutandovi con uno stecchino o simili, togliendo il ricciolo di coda (amarognolo); lavarle accuratamente sotto acqua corrente; a parte, in una teglia, rosolare appena, in olio e.v., dell’aglio che poi sarà tolto; versare le chiocciole sgusciate, indi cuocere a fuoco lento aggiungendo di volta in volta del buon vino rosso (non si cucina con vino scadente!!), un po’ di burro e un generoso trito di prezzemolo, sale, continuare la lenta cottura per diverse ore, fino a quando le poverette diventano tenerissime. Consumare accompagnandole con polenta (di mais bianco di qualità). Se poi ne avanzano, da provare le chiocciole come sugo per la pasta.

Non è un piatto estivo da consumare in riva al mare, però anche in questa stagione ci sta benissimo se dalla vostra finestra le Alpi vi sembra poterle toccare con mano. Segue ovviamente grappino.

(*) “Con enfasi italiana”, scrive Goethe riferendosi all’oste trentino! Viaggio in Italia, Mondadori, Oscar grandi classici, p. 28.

mercoledì 22 luglio 2020

Non ditelo a Salvini e Meloni



Dopo quasi cinque giorni di negoziati e una girandola di numeri il Consiglio europeo ha annunciato ieri mattina che è stato raggiunto un accordo sul “Piano per la ripresa europea” da 1824 miliardi complessivi (in prezzi 2018), che ridisegna il quadro finanziario pluriennale 2021-27. L’accordo fissa a 1074 miliardi la quota del “vecchio” quadro finanziario pluriennale 2021-27, ritoccando di poco al ribasso la proposta della Commissione del 27 maggio scorso (1100 miliardi). A questi si aggiungono i 750 miliardi del nuovo Recovery Instrument, Next Generation EU.

Ed è su quest’ultimo che si appunta l’attenzione dei media: un programma di incentivi finanziari che incanala un mucchio di miliardi verso gli Stati, quasi universalmente salutato come “storico” e un segno di solidarietà europea. Il presidente francese Emmanuel Macron ha twittato: “Un prestito comune per rispondere alla crisi in solidarietà e per investire nel nostro futuro”. Il primo ministro del Partito socialista spagnolo Pedro Sanchez lo ha definito “un autentico piano Marshall”. Giuseppe Conte è stato più enfatico ancora: “L’Europa è stata all’altezza della sua storia, della sua missione e del suo destino”.

Il tubero canadese che divenne brasiliano


Il signore François di Razilly, con la spedizione di Claude Delaunay, visitò il Brasile nei primi anni del XVII secolo e tornò a Parigi con sei nativi dell’isola di S. Luiz de Maranhao. Erano membri di una tribù guerriera dei Guaranis, nota come Topinambous. Attraversarono Rouen vestiti alla moda francese, poiché secondo l’usanza del loro paese essi andavano nudi, comprese le donne. Le loro danze erano accompagnate dal suono emesso da una zucca, come quelle che i pellegrini usavano per bere, con dentro una specie di chiodo o spillo. L’apparizione degli indigeni a Parigi creò notevole eccitazione tra la popolazione, furono presentati alla regina Maria de’ Medici il 15 aprile 1613. Ovviamente furono battezzati.

Montaigne, alcuni decenni prima, aveva assunto la loro difesa (Saggi, libro I, I cannibali), vedendo nella loro nudità completa, la loro poligamia e la loro antropofagia solo una poetica vicinanza alla natura, mentre denunciava le atrocità compiute dai conquistatori e le complicità della Chiesa.

I nativi esotici di Razilly divennero, come detto, una grande attrazione a Parigi, e ciò coincise con la commercializzazione dell’ultimo raccolto di uno strano tubero di recente introduzione, chiamato dapprima “tartufo canadese”. I venditori ambulanti, per attirare l’attenzione sulla loro offerta esotica, chiamarono quei tuberi (Helianthus tuberosus) con il termine topinambou. Rovesciando la geografia, si venne a credere che questo rizoma canadese provenisse dal Brasile, e fosse coltivato dai Tupinambas.

A questo equivoco contribuì in seguito e suo malgrado anche il naturalista Linneo, che, nella Specie Plantarum (1753), descrisse la sua origine come brasiliana, sebbene nel suo precedente Hortus Cliffortianus (1737) ne denotasse l’origine canadese.

Successivamente la parola topinambou andò a significare qualcosa di grossolano e assurdo. In molte lingue oggi è noto come topinambur, ma in qualche caso anche come topinambas, topinambo, topinamboer, carciofo di Gerusalemme, ecc..

Il suo sapore è delicato, vicino al carciofo e adatto, come la patata, per tutti i tipi di piatti. Va cotto in acqua o a vapore, poi saltato nel burro, gratinato con erbe spontanee, trifolato, ecc.. D’inverno lo preferisco con fegato di vitello e sfumato con Madeira (oppure con Marsala, ma non è la stessa cosa).

martedì 21 luglio 2020

L'ingegnere dimenticato


Mi pare che la data del 21 luglio stia passando sotto silenzio a riguardo del 50º anniversario del completamento dell’Alta Diga, nota come diga di Assuan, nel sud dell’Egitto, la più grande opera del suo genere realizzata nel XX secolo. Com’è noto, la costruzione della diga divenne una questione politica di livello internazionale, nonché una questione di grande rilievo archeologico.

L’idea e il primo progetto della diga di Assuan fu di Adrian Daninos, che Wikipedia chiama “Danios”.

Altra cosa che va chiarita a proposito della prima diga, quella che gli inglesi costruirono tra 1898 e il 1902, cioè ai tempi del khedive Abbas Helmy II, su progetto di William Willcocks, poi sollevata due volte, tra il 1907 e il 1912 e di nuovo nel 1929-1933. Ebbene gli inglesi non la costruirono per gli interessi e lo sviluppo dell’Egitto, ma esclusivamente per aumentare la produzione di cotone esportato nelle loro fabbriche del Lancashire.

Adrian Daninos presentò di nuovo il suo progetto elettrico nel 1937, ma gli inglesi combatterono il progetto e vi si opposero tenacemente. Negli anni Cinquanta, dopo la rivoluzione nasseriana, Daninos ripresenta il suo progetto. Questo personaggio, scomparso negli anni Settanta, fu dimenticato e di lui pare non esista nemmeno una fotografia.

La Banca Mondiale, accertata la solidità del progetto della nuova diga, decise di approvare circa 8 milioni di dollari come parte del finanziamento degli impianti infrastrutturali che circondano l'area della diga. I negoziati continuarono all’epoca tra l’Egitto e diversi paesi per completare le procedure di finanziamento: nel dicembre del 1955, gli Stati Uniti d’America annunciarono che si avrebbe assunti il compito di finanziare con la Gran Bretagna e la Banca mondiale un costo fino a 1,3 miliardi.

Dopo di che gli USA ritirarono il proprio finanziamento sostenendo che l’economia egiziana non poteva permettersi il progetto. Gamal Abdel Nasser, il presidente egiziano nel luglio1956 decise di nazionalizzare la società internazionale del Canale di Suez per finanziare il progetto, trasformandola in una società per azioni egiziana. Di qui la crisi di Suez, l’intervento anglo-francese-israeliano stoppato dagli Usa che in tal modo ribadivano che solo loro erano gli arbitri della situazione mondiale.

Nasser si rivolse all’Unione Sovietica per ottenere aiuti e risorse per costruire la diga. La diga fu progettata da ingegneri sovietici presso l’Istituto Hydroproject, con la collaborazione di ingegneri egiziani guidati da Osman Ahmed Osman, proprietario della più grande impresa appaltatrice araba negli anni ‘60. L’URSS ha anche fornito i macchinari pesanti necessari per spostare le enormi quantità di roccia e argilla utilizzate nella diga.

Quella della costruzione della diga di Assuan è stata un’impresa titanica che richiese dieci anni di lavori, molte sfide progettuali e costruttive con l’impiego di 1200 ingegneri, 34mila lavoratori e tecnici, ma furono infine superate, così come furono risolti i problemi finanziari.

Il 15 gennaio 1971, l’Egitto annunciò l’apertura ufficiale dell’Alta Diga.

lunedì 20 luglio 2020

Il pluslavoro di una testa di legno


Mi viene precisato che quello che nel post chiamo “il signor Ferragni” in realtà è una giovane signora maritata con un cantante, Fedez. Le mie scuse ai lettori e agli interessati per la mia sciatta dabbenaggine.


Mi è stata segnalata una cosetta scritta da Christian Raimo, “insegnante, giornalista e scrittore italiano”. Se come insegnante a scuola dovesse parlare della teoria marxiana del plusvalore, speriamo non ripeta le stesse cazzate che scrive sui social, sull’esempio di questa perla:

«La questione Ferragni-Uffizi si può leggere in tanti modi diversi. A me interessa leggerla in senso socialista e cavarci qualche riflessione in più.
Ferragni e il management degli Uffizi da una parte semplicemente si prendono un plusvalore che estratto dal pluslavoro di altre persone, e dall’altra non hanno idea di come dare valore al loro bene se non pensando che sia una rendita. Comodo, il capitalismo dell’arte».

Ferragni ho dovuto farmi spiegare chi è, ma questa è una mia lacuna. Lascio perdere il “senso socialista” cui allude il signor Raimo, e soprassiedo anche sulla sintassi del professore (i tempi sono quello che sono). Vengo al dunque:

“il management degli Uffizi” non si “prende un plusvalore che estratto dal pluslavoro di altre persone”, per il semplice motivo che i lavoratori dei servizi, per quanto utili e indefessamente laboriosi, non producono una stilla di pluslavoro produttivo di valore (anche quando i musei registrano un aumento degli utili), dunque nemmeno un atomo di plusvalore. Per quale motivo?

Per un semplice motivo: solo il lavoro che si scambia con capitale può diventare produttivo e perciò trasformarsi in nuovo valore. Perciò in Marx è fondamentale la distinzione dei concetti di “lavoro” e “forza-lavoro”, così come quella tra lavoro produttivo e improduttivo. Il progettista di una casa compie un lavoro produttivo, per quanto non si sporchi di malta e sulle sue mani non compaiano calli da muratore. Il lavoro di un chirurgo, per quanto possa risultare utile se non combina cazzate, scambiandosi con reddito e non con capitale, non produce alcun valore. Scrive al riguardo Marx:

«Smith aveva sostanzialmente ragione col suo lavoro produttivo e improduttivo, ragione dal punto di vista dell’economia borghese. Ciò che gli viene contrapposto dagli altri economisti è o sproloquio (per esmpio Storch, Senior ancor più pidocchiosamente), e cioè che ogni azione produce comunque degli effetti, per cui essi fanno confusione tra il prodotto nel suo senso naturale e in quello economico; secondo questo criterio anche un briccone è un lavoratore produttivo poiché, mediatamente produce libri di diritto criminale; (per lo meno questo ragionamento è altrettanto giusto per cui un giudice viene chiamato lavoratore produttivo perché protegge dal furto). Oppure gli economisti moderni si sono trasformati a tal punto in sicofanti del borghese da volerlo convincere che è lavoro produttivo se uno gli cerca i pidocchi in testa o gli sfrega l’uccello, giacché quest’ultimo movimento gli terrà più chiaro il testone — testa di legno — il giorno dopo in ufficio» (Grundrisse, MEOC, XXIX, p. 203).

Il semplice passaggio di denaro da una persona ad un’altra, non implica che l’una diventi ipso facto un capitalista e l’altra un salariato. Il semplice trasferimento di denaro, di ricchezza, non dà luogo ad un incremento della massa di nuovo valore. Neanche nel caso il signor Ferragni diventasse multimiliardario.

Comodo tirare in ballo il “plusvalore” alla cazzo di cane come fa Christian Raimo.

Per chi volesse sapere che cos’è esattamente il “plusvalore” (quello che impropriamente la coglionaggine borghese chiama “valore aggiunto”) e non volesse prendersi la briga di leggere tutta la Bibbia ma solo un paio di versetti, può leggere queste mie ormai antiche volgarizzazioni: qui e qui.

domenica 19 luglio 2020

Il peggior inquinamento atmosferico nella storia europea



Il 5 dicembre calava sulla città una fitta coltre di nebbia, nell’indifferenza degli abitanti, abituati a nebbioni e muri di smog che potevano durare anche per settimane. Nei giorni successivi, però, le condizioni peggiorarono rapidamente: la visibilità si ridusse a pochi metri in molte parti della città costringendo le autorità a chiudere scuole, teatri e cinema, e spinse la cittadinanza a rinchiudersi in casa. Il servizio degli autobus fu sospeso e i voli soppressi, aumentarono gli incidenti stradali e anche i crimini.

La densa nebbia e lo smog (fog and smoke) favorirono il formarsi del cosiddetto particolato, l’insieme di sostanze inquinanti organiche e inorganiche sospese nell’aria in grado di penetrare i tessuti polmonari, causando gravi danni alle vie respiratorie. Nella fattispecie si trattò dell’anidride solforosa (biossido di zolfo, SO2), un gas derivante dalla combustione di carbone fossile o petrolio greggio, che di per sé determina effetti a carico dell’apparato respiratorio come tracheiti, bronchiti, polmoniti. L’anidride solforosa è anche un gas fortemente igroscopico, cioè si ossida reagendo con l’aria umida, dunque con l’acqua, ed infatti produce SO3, cioè acido solforico, principale responsabile delle piogge acide.

La combinazione di queste sostanze con la forte presenza di nebbia provocò il peggior evento d’inquinamento atmosferico nella storia europea, con più di 12mila morti di tutte le età, 150mila ricoverati in ospedale, cui vanno aggiunti oltre 100mila malati cronici.

Tutto ciò accadde a Londra, nel 1952.

*

sabato 18 luglio 2020

Come gli Stati Uniti oggi



La guerra europea e poi mondiale del 1914-18 fu uno spartiacque nella storia europea. Interrompendo un lungo periodo di pace, gettò le basi per la costituzione di nuovi equilibri tra gli Stati e chiuse definitivamente l’antico regime. Tuttavia, senza di essa i fascismi non sarebbero nati.

Anche per quanto riguarda l’Italia, dalla necessità di affrontare l’emergenza del conflitto con leggi speciali e con il conferimento di poteri eccezionali al Governo, vennero a prodursi profonde e durature trasformazioni nell’ordinamento giuridico e nella società italiana. Tali deroghe ed eccezionalità assunsero poi carattere stabile e mutarono l’assetto ordinario dei poteri e degli equilibri, ridisegnando il volto del sistema (*).

In occasione di questa pandemia virale, con le misure di carattere emergenziale che sono state adottate e imposte, si è creata una situazione per certi aspetti analoga a quella che caratterizzò quel periodo bellico, laddove vennero per la prima volta rese indisponibili alcune libertà garantite costituzionalmente, compresa quella di circolazione delle persone nelle zone interessate direttamente dal conflitto e alle sue retrovie.

venerdì 17 luglio 2020

Nessuno sarà risparmiato



Risposta esatta!

Il secondo trimestre 2020 sarà ricordato tra i più strani della storia finanziaria.

Con l’economia americana in recessione profonda, dopo aver subito una contrazione ancora più rapida rispetto alla crisi degli anni 1930, Wall Street ha registrato il suo miglior trimestre da più di 20 anni.

L’indice S&P 500 ha chiuso con più 20 per cento, il suo miglior risultato trimestrale dal 1998. Il Dow è salito del 18 per cento, il suo più marcato aumento dal 1987. L’indice Nasdaq ha registrato un’impennata anche maggiore, in aumento del 31 per cento per il trimestre e il 12 per cento dall’inizio dell’anno.

L’inversione di tendenza è arrivata dopo che i mercati finanziari avevano toccato il minimo a metà marzo. Secondo alcune stime la capitalizzazione di mercato che era di 21,8 trilioni il 23 marzo, è balzata a 28,9 trilioni il 4 giugno. Com’è potuto succedere a fronte di milioni di disoccupati e di un’economica in picchiata? Semplice, la Fed è intervenuta massicciamente annunciando una serie di misure, in parte inedite, a sostegno di Wall Street e dell’intero sistema finanziario.

In meno di tre mesi, la Fed è intervenuta in tutti gli ambiti finanziari con la sua riduzione dei tassi d’interesse a zero e acquisti di debito su tutta la linea, compresi anche i junk bond, ha messo più di settemila miliardi di dollari nelle mani di investitori e speculatori.

Tra il 18 marzo e il 4 giugno, la ricchezza dei miliardari statunitensi è aumentata di 565 miliardi, raggiungendo i 3,5 trilioni in totale, con un aumento del 19 per cento. Il proprietario di Amazon, Jeff Bezos, ha aumentato la sua ricchezza di 34,6 miliardi, in crescita del 19 per cento, mentre il boss di Facebook, Mark Zuckerberg, ha guadagnato altri 25 miliardi.

giovedì 16 luglio 2020

L'inquilino della lampadina accanto



La Rivoluzione d’ottobre nel suo cammino rovesciò completamente tanto i modi di pensiero quanto i livelli della vita quotidiana del cittadino sovietico, le sue abitudini, soprattutto quelle più intime e domestiche. Con ciò svaniva la sua personalità e con essa quelle che fino a poco tempo prima erano state le sue idee e profonde convinzioni.

«Finché l’ordine delle cose aveva permesso ai privilegiati di fare stranezze e capricci a spese dei non privilegiati, come era stato facile prendere per originalità e per segno di carattere la stravaganza e il diritto all’ozio di cui la minoranza godeva, sicura della pazienza della maggioranza!
Ma, appena la massa degli umili si era sollevata e i privilegi erano stati soppressi, come tutti erano rapidamente sbiaditi, come avevano rinunciato senza rimpianto a idee proprie e originali che evidentemente non avevano mai avuto!».

Il brano è tratto dalla prima parte de Il dottor Živago, nel capitolo intitolato L’accampamento di Mosca. Fu naturale che la letteratura si facesse interprete e testimone del particolare momento storico. Che la città di Mosca durante la guerra civile fosse diventata un grande accampamento, dove la coabitazione nello stesso alloggio di persone non legate da legami familiari, fosse diventata la regola, molti di noi possono rammentarlo proprio per la scena del film ispirato al romanzo omonimo, in cui l’ampia dimora signorile della famiglia Živago viene destinata ad abitazione di numerose famiglie.

Non è un caso che il senso comune ci presenti la coabitazione in Russia come uno dei realia più riconoscibili della società sovietica.