venerdì 19 luglio 2019

20 luglio 1969: un'impresa incredibile


È noto che non fu una questione di sovranità, vuota, esercitata dall’Inghilterra sugli ampi territori americani il motivo che portò allo scontro con i propri coloni. Finché si trattò di coloni che trovavano un vantaggio evidente nella coltivazione della terra, essi accettarono di sottostare alla madrepatria, ma quando con il normale progresso della società una parte consistente del capitale fu impiegato nella manifattura, il monopolio inglese diventò insostenibile.

Ci volle la miopia del ministro delle finanze inglese George Grenville (1712-1770) per provocare il casus belli che portò alla guerra e alla dichiarazione d’indipendenza: l’Inghilterra non si accontentò di ottenere i normali vantaggi che le derivavano dal commercio in esclusiva, ma volle anche il ricavato delle entrate delle pubbliche imposte nordamericane.

Uno dei principi supremi della Costituzione inglese, alias l'insieme delle leggi e dei principi attraverso cui il Regno Unito era governato, prescriveva che nessun inglese poteva essere obbligato a pagare delle tasse imposte da persone che non fossero i suoi personali rappresentanti. Che gli abitanti delle colonie fossero inglesi, non lo metteva in dubbio nessuno, ma essi non avevano alcun rappresentante nel Parlamento di Londra, dunque Londra non aveva alcun titolo per esercitare il diritto di tassazione sui coloni. Principio discutibile quanto si vuole, ma anche il diritto di sovranità su una colonia è contraddistinto da una natura assai originale che è pericoloso indagare.

Ciò che poi ed infine fece vincere la guerra agli indipendentisti americani fu il tempestivo arrivo della flotta francese al largo di Yorktown, fatto che costrinse i britannici alla capitolazione. Dopodiché gli yankee abbandonarono il loro alleato per negoziare un accordo con gli emissari del nemico, estendendo i confini a ovest del fiume Mississipi [1].

I francesi avevano sostenuto la rivoluzione americana dissanguandosi finanziariamente, tanto che Friedrich von Genz, segretario generale del Congresso di Vienna e alter ego di Metternich, ebbe a scrivere che “le circostanze in cui si trovò la Francia allo scoppio della rivoluzione erano state causate in buona parte, se non completamente, dal ruolo che essa aveva giocato nella rivoluzione americana” [2].

Nel 1811, John Quincy Adams scrisse a sua madre che gli Stati Uniti dovevano diventare una nazione, coincidente col continente nordamericano, “destined by God and nature [!!] to be the most populous and most powerful people ever combined under one social compact” [3].

Come riuscirono i discendenti dei leggendari Pilgrim Fathers o Founding Fathers a diventare da colonia a impero mondiale? I due presupposti della prosperità americana furono dapprima il furto delle terre e delle risorse dei nativi, e il lavoro dei nuovi immigrati, anzitutto quello gratuito degli africani acquistati come schiavi. In tal modo costituirono quello che si chiama “capitale originario”.

Il presidente Hayes, nel suo discorso annuale del 1877 ebbe a riconoscere:

Gli Indiani erano gli originali occupanti della terra ora in nostro possesso. Sono stati da noi cacciati di luogo in luogo. Il prezzo d’acquisto pagato in qualche caso per ciò che essi reputavano la loro proprietà li ha lasciati comunque poveri. Molte volte, quando s’errano sistemati sui terreni loro assegnati di mutuo accordo e avevano cominciato a sostenersi con loro lavoro, ne furono brutalmente espulsi e di nuovo gettati allo sbaraglio. Molte, se non la maggior parte, delle nostre guerre con gli Indiani hanno avuto origine dalla rottura dei patti e da atti ingiusti di cui siamo responsabili.

Morrinson e Commager, forse con involontario sarcasmo, aggiungono  che:

Il problema indiano sta del resto rapidamente scomparendo con l’approssimarsi dell’estinzione degli indiani purisangue. I fieri selvaggi, che una volta dominavano incontrastati il continente americano, sono ormai sistemati entro circa 200 riserve governative, dove vivono alla meglio di sussidi governativi, esclusi dalla libera vita dei vecchi tempi, avendo perduta la capacità di provvedere a sé stessi, in piena disintegrazione economica e fisica, pietosi e tragici rappresentanti, ormai, della razza che aiutò l’uomo bianco a adattarsi all’ambiente americano [4].

Con il Dawes Act del 1887 il singolo indiano poteva diventare proprietario della terra che lavorava, ma solo dopo 25 anni poteva avere diritto di disporne e di avere la cittadinanza. Ridotti ad infima minoranza, solo nel 1924 il Congresso “largiva la cittadinanza a tutti gli Indiani residenti”.

Non solo furti di terre, per esempio la Louisiana fu acquistata della Francia a un prezzo stracciato, in tal modo raddoppiando nuovamente l’estensione dell’Unione (la Louisiana era allora territorialmente ben più estesa dell’attuale omonimo Stato). Sarebbe davvero interessante conoscere come l’Arizona, lo Utah, l’Oregon, lo Stato di Washington e l’Idaho diventarono altrettante stelline nella bandiera americana. Nel 1821 gli spagnoli avevano abbandonato la Florida in cambio di una presa in carico americana delle rivendicazioni (americane!) locali. L’accordo comportava l’esclusione del Texas dagli Stati Uniti. Per quanto riguarda la California [5], cioè l’Alta California, divenne statunitense solo nel 1850, dopo che nel 1847 gli Usa avevano invaso il Messico, al quale sottrassero anche il Texas. Allora tale strategia espansionistica si chiamava “Manifest destiny” (poi si chiamerà, di volta in volta, in altro modo).

Il resto è abbastanza noto: la produzione manifatturiera statunitense, nel 1914, superava quella della Gran Bretagna e della Germania messe insieme. La produzione di acciaio era quasi doppia rispetto a quella tedesca, la quale a sua volta era il doppio di quella della Gran Bretagna, della Francia e della Russia; possedevano una bilancia commerciale in forte attivo che gli assicurava un terzo delle riserve d’oro mondiali. In quello stesso anno nel quale l’Europa si prende cura di distruggere la propria civiltà, si inaugurava il canale di Panama che consente il transito tra i due grandi oceani. Gli Stati Uniti sebbene non facessero ancora parte del sistema delle grandi potenze, erano già la più grande potenza economica mondiale e rappresentavano il più grande trionfo del capitalismo.

Alla fine del conflitto gli Stati Uniti si ritrovarono, come disse Edward M. House, a “rifare la mappa del mondo, secondo il nostro desiderio”. Il resto della favola è noto presso il grande pubblico più per opera di Hollywood che per buon foraggio degli storici.

Arriviamo così alla guerra fredda, all’aspro confronto con l’Unione Sovietica, in cui la sfida americana per la conquista dello spazio extraterrestre non fu meno importante di quella sugli armamenti. E che si trattasse anzitutto di una sfida per la supremazia mondiale si deduce chiaramente dalle parole pronunciate dal presidente John F. Kennedy, quando, preoccupato dai costi del programma lunare che gli avrebbero fatto perdere popolarità, in una registrazione audio del 21 novembre 1962 ebbe a dire:

“Qui parliamo di costi folli che prendono quasi tutto il budget, riducendo quasi tutti gli altri programmi nazionali alla fame. L’Unione Sovietica ha fatto della corsa allo spazio una sfida, ed è solo per questo che lo facciamo. Altrimenti non permetterei una simile spesa. A me lo spazio non interessa”. In un’altra conversazione privata registrata alla Casa Bianca il 18 settembre 1963 disse: “Credete che portare l’uomo sulla Luna sia una buona idea? A me sembra un’esagerazione, si potrebbe studiare lo spazio attraverso la tecnologia. Mandare un uomo lassù è solo un’acrobazia e non vale i miliardi che spendiamo”.

Agli Usa bastava in realtà stampare dollari per realizzare un programma così ambizioso e non privo di grandi rischi come quello di portare dei bipedi sulla Luna. Riuscirono in pochi anni in un’impresa che ha quasi dell’incredibile, tanto che ancor oggi vi sono non pochi simpatici alieni che non credono sia stata realizzata (gli allunaggi sono stati ben sei !!).

[1] John Lewis Gaddis, On grand strategy, Penguin Books, 2019, p. 166.

[2] L’origine e i principi della rivoluzione americana a confronto con l’origine e i principi della rivoluzione francese, Sugarco, 2011, p. 49.

[3] Gaddis, ibidem, p. 178.

[4] Morrinson e Commager, St. degli Stati Uniti d’A., La Nuova Italia, 1961, II, pp. 113 e 117.

[5] Il nome California fu tratto dalle Sergas de Espladián, un romanzo del XVI secolo di Garcia Rodríguez de Montalvo, in cui si parla della regina Calafia che governava un’isola paradisiaca chiamata California (Sergas significa “gesta”, ed Espladián era il figlio di Amadis de Gaula, il grande eroe dei romanzi cavallereschi). La scelta del nome viene comunemente attribuita a Cortés, ma non appare in nessuno dei suoi documenti. Il primo a farne menzione fu infatti Gomara, seguito da Bernal Diaz. Va precisato che non si riferiva a tutto il territorio, ma solo a una baia.

Secondo Wikipedia i primi europei ad esplorare la costa californiana furono Juan Rodriguez Cabrillo nel 1542 e in seguito da Francis Drake nel 1579. Tuttavia nel 1539 Francisco de Ulloa aveva esplorato la costa del golfo di California (mare di Cortés) fino a trovarne la fine, alla foce del fiume Colorado, e dall’insenatura di San Andrés, seguendo l’altra costa giunse in California.


6 commenti:

  1. Prendo nota. Aggiungo, perché di piacevole lettura:
    André Maurois, Storia degli Stati Uniti, Mondadori
    E la straordinaria autobiografia di Benjamin Franklin, specialmente il primo dei due volumi.

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  2. L'Apartheid era legale, il Colonianilismo era legale, la Schiavitù era legale. La legalità è una questione di Potere, non di Giustizia

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    1. le leggi sono una questione di rapporti di forza tra le classi sociali, cosa notissima

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  3. A proposito di..

    A mio avviso altro interessante testo è quello di Raimondo Luraghi : "Storia della guerra civile americana"
    Interessanti le considerazioni del deputato Lincoln sul problema della segregazione razziale e poi più tardi sulle terre dell'ovest..(sic!)

    caino

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    1. https://diciottobrumaio.blogspot.com/2016/06/sulla-schiavitu-degli-afroamericani-1.html

      https://diciottobrumaio.blogspot.com/2016/06/il-mito-dei-founding-fathers.html

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