In
una nota alla fine del primo capitolo del Capitale, l'autore osserva:
«Colgo
l'occasione per confutare brevemente l'obiezione che mi è stata fatta da un
foglio tedesco-americano quando è apparso il mio scritto Zur Kritik der politischen Oekonomie, 1859. Essa diceva che la mia
opinione che un modo di produzione determinato, e i rapporti di produzione che
ogni volta gli corrispondono, in breve "che la struttura economica della
società è la base reale su cui si eleva una sovrastruttura giuridica e
politica, alla quale corrispondono forme di coscienza sociale
determinate", che "il modo di produzione della vita materiale
[materiell] sia in genere condizione del processo politico e spirituale della
vita" – che tutto questo sia certamente esatto per il mondo d'oggi dove
dominano gli interessi materiali, ma che non lo sia né per il medioevo, dove
domina il cattolicesimo, né per Atene e Roma, dove domina la politica. In primo
luogo ci si stupisce che a qualcuno piaccia presupporre che siano ancora
persone all'oscuro di questi luoghi comuni, a tutti ben noti, sul medioevo e
sul mondo antico. Chiaro è che né il medioevo poteva vivere del cattolicesimo né il mondo antico della politica. Le
modalità in cui essi si procuravano da vivere spiegano viceversa perché era lì
la politica, qui il cattolicesimo, a giocare il ruolo principale. Basta del resto anche poca dimestichezza per
esempio con la storia della Roma repubblicana per sapere che la storia della
proprietà fondiaria ne costituisce la storia arcana. D'altra parte già Don
Chisciotte ha scontato l'errore di ritenere la cavalleria errante egualmente
compatibile con tutte le forme economiche della società» (MEOC, XXXI, p. 93).
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