Spesso si tende a dimenticare che gli uomini
d’inflessibile energia cerebrale, di ambizione incoercibile, sono soggetti alla
stessa legge degli altri uomini, e che dopo aver raggiunto il successo e i
relativi vantaggi tendono a perdere inevitabilmente energia e volontà d’azione,
sospirando altro che le gioie del compiacimento e del riposo.
*
Subito dopo la campagna di Russia (*), Napoleone
poteva contare ancora su 110.000 soldati e 30.000 cavalleggeri. Da Mosca aveva
ordinato lui stesso la leva di nuove “coorti” che gli avevano già reso 80.000
uomini. Aveva ordinato la leva straordinaria di 137.000 uomini e stava
progettando una leva finale che gli avrebbe fornito sulla carta un nuovo
esercito di 650.000. Aveva ancora copiose guarnigioni nelle fortezze della
Vistola, dell’Elba e dell’Oder, la cui forza era intatta. Ma le sue truppe
erano inesperte o esauste, i quadri intermedi dissolti, i suoi generali satolli
di titoli e onorificenze, insomma riluttanti, l’equipaggiamento difettoso. Del
resto non si era mai preso cura di migliorare l’armamento: il fucile in
dotazione era ancora quello del 1777, l’artiglieria non la più moderna.
Delle centinaia di biografie dedicate a Bonaparte,
quasi nessuna racconta il rocambolesco rientro dell’Imperatore da Mosca a Parigi
(**). I dettagli di questo viaggio segreto sono stati conservati nelle memorie
di Caulaincourt, duca di Vicenza (***). Questi, essendo stato ambasciatore in
Russia e avendo goduto dell’intimità dello zar Alessandro, conosceva bene sia
l’animo russo che le minacce del clima locale. Più di una volta aveva messo in
guardia Napoleone contro questo pericolo durante la campagna di Russia. È noto
che Napoleone si fecce beffe di tali raccomandazioni e arrivato al Cremlino nel
settembre del 1812, trovando che gli orologi ticchettavano ancora
tranquillamente e il clima mite, si volse a Caulaincourt in tono canzonatorio:
“Ebbene, signor duca, che ne è del vostro clima russo? È mite come un giorno di
settembre a Fontainebleau”.
Contrariamente a quanto si crede, la strategia di ripiegamento dell'esercito zarista non fu un'idea del feldmaresciallo Kutuzov, bensì Barclay de Tolly, feldmaresciallo e ministro della guerra russo (di origini tedesco-baltiche), che venne destituito proprio perché si operasse con una strategia opposta. L'dea di de Tolly era brillante: aveva intuito che la geografia poteva diventare la sua migliore alleata. Ad un certo punto le élite di Pietroburgo ne avevano abbastanza di indietreggiare continuamente e volevano lo scontro con l'armata di Napoleone. Per tale motivo venne nominato Kutuzov a capo dell'esercito il 18 agosto 1812. Fu lui a scegliere il luogo dello scontro: Borodino.
Dopo quella battaglia e aver raggiunto Mosca e sperato invano in un armistizio, per la Grande Armata seguirono gli orrori della ritirata. Napoleone non volle ripercorrere la strada dell’andata; uscendo da Mosca puntò verso sud, cioè su Kaluga, a meno di 200 km a sud di Mosca. Sennonché il generale Dokhturov, contravvenendo alle direttive di Kutuzov, diede battaglia nei pressi di Malojaroslavec. La mattina del 25 ottobre, poco prima della battaglia, quand’era ancora buio, Napoleone, accompagnato da alcuni ufficiali e un picchetto di cacciatori, si era diretto in perlustrazione verso le posizioni russe. Senza accorgersene superò il limite del campo nemico e giunse ad un bivacco di cosacchi. I cacciatori francesi tennero a bada il nemico fino all’arrivo dei rinforzi. Tempo dopo, Caulaincourt scrisse: “L’Imperatore era solo con il principe di Neuchâtel e con me; tutti e tre avevamo la sciabola in pugno […]. Se i cosacchi, che si avvicinarono e per un momento giunsero ad accerchiarci, fossero stati più decisi, se fossero avanzati in silenzio sulla strada invece di restare sul ciglio a urlare e ad agitare le armi […], l’Imperatore sarebbe stato ucciso o catturato”.
Dopo quella battaglia e aver raggiunto Mosca e sperato invano in un armistizio, per la Grande Armata seguirono gli orrori della ritirata. Napoleone non volle ripercorrere la strada dell’andata; uscendo da Mosca puntò verso sud, cioè su Kaluga, a meno di 200 km a sud di Mosca. Sennonché il generale Dokhturov, contravvenendo alle direttive di Kutuzov, diede battaglia nei pressi di Malojaroslavec. La mattina del 25 ottobre, poco prima della battaglia, quand’era ancora buio, Napoleone, accompagnato da alcuni ufficiali e un picchetto di cacciatori, si era diretto in perlustrazione verso le posizioni russe. Senza accorgersene superò il limite del campo nemico e giunse ad un bivacco di cosacchi. I cacciatori francesi tennero a bada il nemico fino all’arrivo dei rinforzi. Tempo dopo, Caulaincourt scrisse: “L’Imperatore era solo con il principe di Neuchâtel e con me; tutti e tre avevamo la sciabola in pugno […]. Se i cosacchi, che si avvicinarono e per un momento giunsero ad accerchiarci, fossero stati più decisi, se fossero avanzati in silenzio sulla strada invece di restare sul ciglio a urlare e ad agitare le armi […], l’Imperatore sarebbe stato ucciso o catturato”.
Dopo
quella battaglia, Napoleone fu costretto a tornare indietro e riprendere la
strada per Smolensk. Napoleone e Caulaincourt rividero i
cadaveri insepolti di coloro che erano caduti a Borodino e ancor prima nella mattanza nei
pressi di Smolensk. Seguì il miracolo della Beresina, dove i genieri francesi immersi nell’acqua gelida costruirono un ponte che salvo ciò che restava della Grande Armata.
Caulaincourt viaggiava con il suo nome di duca di Vicenza,
mentre Napoleone appariva nei passaporti come suo segretario sotto il nome di
de Rayneval. La carrozza si
dimostrò troppo pesante per i cavalli che dovevano procedere su quel ghiaccio. Arrivati poco dopo Kaunas, Caulaincourt rinvenne una vecchia slitta coperta, un vero cassone su
pattini, che era stata dipinta una volta di rosso. Abbandonati i bagagli, il
fedele mamelucco Rustam e ogni altra cosa, i due proseguirono il loro viaggio, giorno
e notte, nel ghiaccio e sotto la neve.
A Tilsit entrarono in territorio prussiano e l’imperatore cominciò a temere d’essere riconosciuto e fermato; si rintanò nel fondo della
slitta, abbassandosi il berretto di pelliccia sugli occhi, ravvoltolandosi nel
gran mantello di velluto verde e pelle d’orso che indossava. Senza potersi
lavare e radersi, tagliarono attraverso la Prussia orientale verso la Polonia e
il 10 dicembre raggiunsero l’hotel d’Angleterre a Varsavia. L’Abbé de Pradt,
ambasciatore francese, fu convocato nella sala dell’albergo e l’imperatore
scaricò su di lui per qualche ora l’ira accumulata. L’Abbé de Pradt si
vendicherà cospirando con Talleyrand.
Sempre nella dura e lurida slitta i due si diressero
verso la Germania e il Reno. Durante quei quattordici giorni e notti sulla slitta, Napoleone
non fece che discorrere. Parlava febbrilmente delle sue glorie passate e dei
suoi piani futuri. A mezzanotte del 13 dicembre 1812 raggiunsero Dresda. Poco
più di sei mesi prima, proprio lì, Napoleone aveva celebrato con ogni sfarzo
l’apogeo della sua gloria ed era comparso come Carlo Magno fra i principi
vassalli dell’Europa centrale. Invece quella notte di dicembre non riuscivano a
trovare la via della casa del ministro di Francia e non vi era nessuno al quale
domandare indicazioni. Ha luogo un episodio comico: vedono una finestra
illuminata, chiamano. La finestra si apre e un uomo con berretto da notte si
affaccia. “È la casa del ministro di Francia, la casa del conte de Serra?”,
chiedono. La testa rientrò dentro e la finestra si chiuse. Ci volle un’ora
perché trovassero ciò che cercavano.
Il mattino dopo continuarono il viaggio, lasciando la
slitta rossa a Dresda, dove sarà acquistata da un intraprendente inglese come
oggetto di curiosità. Proseguirono in una carrozza messa a loro disposizione
dal re di Sassonia, ma dopo varie peripezie ripartirono su un landò che il signore di Saint-Aignan aveva fatto modificare in modo che Napoleone potesse restarvi disteso. Le avventure di viaggio non finirono qui, e a Saint-Jean-les_deux-Jumeaux salirono su un piccolo cabriolet aperto e ripartirono a "velocità folle". Infine a Meaux furono costretti, a causa della rottura di un asse, a spostarsi su una decrepita vettura postale col quale la notte del 18 dicembre
arrivarono finalmente nel cortile delle Tuileries. L’orologio suonava un quarto
a mezzanotte. Il portiere comparve in camicia da notte con una candela. “Sono
io”, disse Caulaincourt, “il duca di Vicenza”. Napoleone, zoppicando
penosamente, con le giunture gonfie, strizzando gli occhi indolenziti allo
splendore dei lumi che erano stati portati in fretta dalle stanze interne,
entrò nel suo palazzo.
*
Contrariamente a quanto si crede comunemente, il
disastro degli eserciti di Napoleone in Russia riempì Metternich di
costernazione, poiché invece di una situazione ben equilibrata su cui aveva
contatto, doveva far fronte a un grave squilibrio. L’equilibrio, infatti, era
la sua dottrina. Temeva una pace tra la Russia e la Francia che avrebbe
lasciato fuori l’Austria, ancora formalmente alleata di Napoleone. Anche in
seguito alla sconfitta di Lipsia, Metternich avrebbe voluto un Napoleone
ridimensionato, costretto entro gli antichi confini, ma non totalmente
sconfitto.
Metternich non era l'unico a non volere una completa sconfitta di Napoleone. Kutuzov, voleva fermare l'avanzata verso occidente del suo esercito nel 1812, dopo che la Grande Armata era stata cacciata dalla Russia. Dubitava della saggezza di distruggere totalmente Napoleone, poiché "la sua successione non sarebbe toccata alla Russia né ad alcun'altra potenza continentale, ma alla potenza che ha già il controllo del mare, e il cui dominio sarebbe intollerabile" (cfr. Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, 1999, p. 211).
Metternich non era l'unico a non volere una completa sconfitta di Napoleone. Kutuzov, voleva fermare l'avanzata verso occidente del suo esercito nel 1812, dopo che la Grande Armata era stata cacciata dalla Russia. Dubitava della saggezza di distruggere totalmente Napoleone, poiché "la sua successione non sarebbe toccata alla Russia né ad alcun'altra potenza continentale, ma alla potenza che ha già il controllo del mare, e il cui dominio sarebbe intollerabile" (cfr. Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, 1999, p. 211).
Prima di Lipsia, Napoleone sconfisse russi e prussiani nelle battaglie di Lützen e Bautzen. A questo punto Napoleone accetta
l’armistizio di Pläswitz, che considererà poi nelle sue memorie come il più grave
errore della sua vita. Nelle successive dieci settimane gli eserciti russo e
prussiano si ricompattarono, e quello austriaco voltò le spalle a Napoleone
alleandosi con i suoi nemici, ai quali si aggiunsero gli svedesi e i meclemburghesi,
in tutto 860.000 uomini.
Fu così che nella prima settimana di ottobre Napoleone
fu costretto a ritirarsi in prossimità di Lipsia, dove era riuscito a
concentrare una forza di 190.000 uomini con 734 cannoni; gli eserciti alleati,
che convergevano da nord e da sud sulla città, ammontavano a circa 300.000
uomini con 1.335 cannoni. La battaglia di Lipsia cominciò il 16 ottobre: la sera
di quel giorno, la Francia, nonostante gravi perdite, era in vantaggio. La
mattina del 17 ottobre Napoleone era scoraggiato e indeciso. Mandò un messaggio
per mezzo del generale conte Marveldt all’imperatore d’Austria chiedendo un
armistizio e suggerendo negoziati di pace.
Non ricevendo risposta, Napoleone decise di riprendere
la battaglia il giorno seguente. La sera Napoleone ordinò una ritirata
generale. Vi era soltanto un ponte sul Pleisse e divenne orribilmente
congestionato durante la notte. All’alba del 19 ottobre gli alleati irruppero
nella città e il ponte fu fatto saltare. Le truppe italiane e tedesche che
erano al comando di Napoleone passarono immediatamente al nemico.
Nonostante la sconfitta, Napoleone non accettò di
rientrare negli antichi confini (più il Belgio). Come diplomatico non fu
nemmeno l’ombra di ciò che fu come generale.
(*) La campagna di Russia (1812): 24 giugno,
Napoleone passa il Niemen a sud di Kaunas; 28 giugno, presa di Vilna; 17
agosto, presa di Smolensk; 7 settembre, battaglia di Borodino; 14 settembre,
ingresso a Mosca; 14-16 settembre, incendio della città; Napoleone si ritira
nel palazzo Petrovskij, nei sobborghi; 18 settembre, ritorna al Cremlino; 5
ottobre, invia Lauriston nella speranza di concludere un armistizio con lo zar;
18 ottobre, Napoleone parte da Mosca, comincia la ritirata; 9 novembre, arriva
a Smolensk; 28-29 novembre, passa la Beresina; 3 dicembre, esce a Parigi il 29°
bollettino che ufficializza la disfatta; 5 dicembre, abbandona l’esercito a
Smogorni; 18 dicembre, rientra a Parigi.
(**) Nell’edizione Plon, 1933, il racconto della Retraite è dato da Calouncurt nei
capitoli V e VI della Mémoire, mentre
nei capitoli (VII-IX) quello del viaggio di ritorno da Mosca, con il titolo En traîneau avec l'empereur, e nell’ultimo
capitolo, il X, L’arrivée a Paris. Per i tipi della Laterza, nel 1939, fu pubblicato In slitta con l'imperatore, di Caulaincourt con introduzione di Adolfo Omodeo. Il libro è introvabile se non a caro prezzo. Non si capisce perché non venga ristampato. Segnalo questo libro curioso e ben scritto: Sylvain Tesson, "Beresina. In sidecar con Napoleone",
Sellerio, 2016.
(***) Armand Augustin Luis de Caulaincourt, duca di
Vicenza (1773 - 1827). Suo padre aveva conosciuto Giuseppina quando era ragazza
e lui deve a ciò di essere nominato nel 1802 fra gli aiutanti del primo
console. Va anche detto che suo padre, Gabriel Louis, nel 1800 fu promosso
generale da Napoleone. Sempre da questi venne nominato senatore del Sénat conservateur il 1º febbraio 1805 e
conte dell'Impero il 24 aprile 1808.
All’età di 31 anni Armand de Caulaincourt fu fatto
ufficiale personale di Napoleone. Tra il 1807 e il 1811 ambasciatore in
Russia, e nominato duca di Vicenza. Accompagnò Napoleone nella campagna del
1812. Fu suo rappresentante a Pläswitz (maggio 1813). Il 20 novembre 1813 fu
nominato ministro degli Esteri. Nel gennaio 1814 rappresentante di Napoleone al
congresso di Châtillon. Condusse i negoziati per l’abdicazione di Napoleone e
il trattato di Fontainebleau (aprile 1814). Con il ritorno dei Borbone si
ritirò a vita privata. Durante i cento giorni fu insieme a Napoleone e lo seguì
quando rientrò alle Tuileries. Il 21 marzo 1815 di nuovo nominato ministro
degli Esteri. Rimase a Parigi quando entrarono gli alleati e gli fu permesso di
ritirarsi a vita privata. Nel febbraio 1827 morì nella sua casa in rue Saint
Lazare a Parigi. Il castello de Caulaincourt, che lui fece abbellire durante i
suoi ultimi anni, fu distrutto completamente dalle truppe tedesche nel 1917.
Napoleone impedì per dieci anni a de Caulaincourt di
sposare madame Adrienne de Canisy; soltanto a Fontainebleau, nel 1814, quando
aveva ormai firmato la sua abdicazione, accordò il consenso che non era più in
grado di rifiutare. Caulaincourt baciò la mano del suo signore pieno di
gratitudine per tale vano dono. Adrienne de Canisy (1785 – 1876) era figlia di François
René Hervé de Carbonnel di Canisy e di Anne Marie Charlotte de Loménie,
ghigliottinata nel 1794. Adrienne fu data in sposa, a tredici anni, a uno dei
suoi zii, Louis Emmanuel de Carbonnel de Canisy (1768-1834), dal quale ebbe due
figli. Dal matrimonio con Caulaincourt nacquero Adrien e Hervé Olivier de
Caulaincourt.
[Consequently, when Caulaincourt fell in love with
Adrienne de Canisy, one of Josephine's ladies-in-waiting, a married woman whose
husband has left her, he discovered thet the affair was hopeless. The Emperor
would not hear of Madame de Canisy's divorcing a husband who was her own uncle,
with whom she had been forced into marriage at thirteen in order to keep the
family properties inited].
Sembra che Armand de Caulaincourt abbia avuto una
relazione con Praskovia Andreevna Golitsyna, contessa Shuvalova (1767-1828),
dalla quale nel 1803 ebbe una figlia. Praskovia Andreevna, figlia del conte
Andrei Petrovich Shuvalov (1744-1789), era moglie del principe Mikhail
Andreyevich Golitsyn. Andrei Petrovich Shuvalov trascorse la maggior parte
della sua vita all'estero, in stretto contatto con Voltaire e scrivendo versi
libertari in francese; l’Enciclopedia Britannica del 1911 lo indica come il
vero autore delle celebri lettere di Caterina II agli enciclopedisti francesi.
Un vero refrigerio..
RispondiEliminaIn questa estate queste piccole storie di una grande storia sono di refrigerio.
Dimostrano come le grande individualità, fanno sì parte della storia ,ma sono soggette anch'esse ai bisogni dei comuni mortali che per'altro sono ben poca cosa se non diventano masse consapevoli,diversamente solo pecore adoranti i loro carnefici.
caino
refrigerio? con tutto quel gelo russo credo bene. grazie
EliminaSe occorre una metafora a base di ghiaccio, direi che questi post sono la punta dell'iceberg rivelatrice di una cultura profonda e vasta. Non cesserò di esserti grato per un paio di indicazioni bibliografiche fra le molte:quella di Luraghi (Storia della guerra civile americana) e quella di Catherine Nixey (The darkening age).
RispondiEliminagrazie. non ti perdere il prossimo sull'apollo 11 : Un'impresa incredibile
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