La
massa dei proletari può sopravvivere e riprodursi solo lavorando in cambio di un
salario, oppure non lavorando e mantenendosi con sussidi statali o con
espedienti illegali di vario genere.
L’avvento
delle nuove tecnologie e il perfezionamento delle tecniche di produzione, ossia
l’aumentata produttività del lavoro, comporta una riduzione massiccia della
domanda di forza-lavoro in quasi tutti i settori della produzione e in seguito
anche nei più diversi settori dei servizi. Non si assiste solo a un incremento
del tradizionale esercito industriale di riserva, ma il fenomeno riguarda una
disoccupazione cronica di massa che solo certe misure, quali la riduzione
dell’orario di lavoro, riescono a mitigare temporaneamente.
Per
quanto riguarda i sussidi statali e altre forme di welfare, essi vanno a
gravare sempre più sul debito pubblico statale e tendono a erodere, attraverso
l’imposizione fiscale, quote sempre maggiori di plusvalore, a danno soprattutto
degli operatori economici più piccoli e che meno si possono difendere da tali
“attacchi” trasferendo le proprie sedi fiscali nei “paradisi”, oppure
rincarando il prezzo delle proprie merci e servizi.
Si
potrebbe ipotizzare una più equa distribuzione della ricchezza prodotta socialmente,
ma ciò è fuori discussione in un sistema capitalista laddove la grande
borghesia detiene le leve del potere economico e politico (*).
Pertanto
aumenta la povertà e la precarietà, vale a dire che le persone meno lavorano e
peggio vivono. Diversamente dal passato, in questa fase storica dello sviluppo
economico, specie nei paesi nelle aree di più antica tradizione industriale, povertà
e precarietà non si traducono in un aumento assoluto della popolazione autoctona, ma anzi
in un netto e progressivo regresso dettato dalle mutate condizioni e aspettative di vita.
Avviene
ciò che del resto era già accaduto in altre epoche, per esempio nel tardo
antico, laddove la crisi di sistema tendeva a produrre un persistente calo
demografico della popolazione autoctona, sostituita man mano da immigrati. Se nel
periodo dell’anarchia militare (III sec.) si assiste a una depressione
demografica nella Roma imperiale, nel IV secolo l’indice di urbanesimo torna a
livelli augustei (mentre una nuova depressione della popolazione si registra
nel V sec. dopo il sacco di Alarico: 44% circa della precedente). Ciò dà la
misura del fatto che la popolazione diminuisce a causa della crisi del III
secolo e aumenta in seguito in forza di massicce immigrazioni.
Anche
se gli schiavi – ma solo una parte degli immigrati erano schiavi – e i cosiddetti
“peregrini” erano esclusi dalle distribuzioni gratuite di frumentum (e dunque dalle succedanee tardo-imperiali di panis) e dell’ancora più onerosa
distribuzione di caro porcina (carne
di maiale), resta che queste masse enormi di popolazione dell’impero dovevano pur essere in qualche modo nutrite (**).
L’immigrazione
di genti provenienti dal nord e dall’est Europa, dal nord Africa e dal Vicino
Oriente, portarono nuove braccia all’impero, ma anche altre bocche da sfamare
nel momento in cui lo Stato romano entrava in una crisi fiscale irreversibile e
perdeva potere “contrattuale” con le province, e in cui le curie venivano colpite da gravi difficoltà economiche e le
corporazioni dal peso del loro munus
(il dovere a “provvedere”).
(*) In
un sistema a capitalismo di stato, come si è visto nel corso del Novecento, e
cioè in un sistema economico nel quale la produttività del lavoro fosse scarsamente
sviluppata, ciò favorirebbe da un lato la classe di burocrati, con un reddito
in base alla posizione occupata nella gerarchia di potere, e dall’altro
spalmerebbe la povertà sul resto della popolazione.
(**)
Basta leggere Ammiano e Symmacho, per accorgersi di quanto grande doveva essere
il loro numero; per questo motivo, ogni giorno nei teatri la plebe insisteva
per la loro espulsione; e per questo essi spesso venivano espulsi. Ciò ci fa
intendere come si temesse che le derrate in commercio a Roma non fossero
sufficienti ai rifornimenti, e che la presenza di questi peregrini, facendo
salire la domanda, facesse anche salire corrispondentemente i prezzi.
Acc!!dunque nulla di nuovo sotto il cielo di Roma.
RispondiEliminaPrima gli ittaliani .
caino
a parte la monnezza
EliminaMa dai governi Berlusconi in poi..passando per Monti etc..quanto tempo abbiamo perduto e sprecato in Italia?
RispondiEliminaE nel presente in cui stiamo vivendo un'ininterrotta campagna elettorale a colpi di inutili rilanci ad effetto su Facebook quanto altro tempo ancora possiamo permetterci di perdere?
Ma chi lo ha inventato questo gioco al massacro?
Oggi mi sento sfiduciato...molto..non so lei...
Un caro saluto
Roberto
“L’avvento delle nuove tecnologie e il perfezionamento delle tecniche di produzione, ossia l’aumentata produttività del lavoro, comporta una riduzione massiccia della domanda di forza-lavoro in quasi tutti i settori della produzione e in seguito anche nei più diversi settori dei servizi. Non si assiste solo a un incremento del tradizionale esercito industriale di riserva, ma il fenomeno riguarda una disoccupazione cronica di massa che solo certe misure, quali la riduzione dell’orario di lavoro, riescono a mitigare temporaneamente”.
RispondiEliminaUn popolo di…. Rivoluzionari! Avveleniamo i pozzi, evitando di proletare.