giovedì 23 gennaio 2014

Il monarca repubblicano


Chiamiamo auree quelle età che di oro non ne avevano affatto.

*

C’è un solo aspetto palesemente diverso tra il potere attuale e quello dei secoli passati. Oggi è anonimo, non si espone quasi mai in prima persona e lascia esibire sulla scena delle mediocrità assolute nel ruolo fittizio di potenti.

Che cosa sappiamo noi, anime comuni, di chi è a capo di quelle 140 società che controllano quasi la metà dell’economia mondiale, e dell’ancor più sparuta schiera dei più grandi attori multinazionali che esercitano un controllo effettivo dieci volte maggiore di quello che ci dice la loro patrimonializzazione?

I politici vengono e vanno, come nuvole estuose al vento, ma i grandi e autentici proprietari del mondo, senior o junior, non li smuove niente e nessuno. È la nuova aristocrazia, quella del denaro. Che poi tanto nuova non è affatto. E che cosa c’è di più democratico e universale del denaro?

*



Ci doliamo e giustamente scandalizziamo per gli stipendi e soprattutto per i rimborsi di spese pazze di politici e del loro entourage, e tuttavia se confrontiamo, per celia, questa situazione con lo sfarzo delle corti rinascimentali, qualche differenza c’è. Poca o tanta decidetelo voi.

Si pensi, per esempio, alla corte dei Gonzaga, nei secoli XV-XVII, la quale poteva contare su un territorio esiguo, prevalentemente con economia agricola, come quello mantovano. Eppure non si facevano mancare nulla e lo sfarzo raggiungeva vertici inauditi. Una cronaca coeva, di certo Carnevali, offre alla nostra considerazione questa notizia:

“Tra gentiluomini, dame, paggi, segretari, servi, soldati, eravi alla fine del ‘500 e tutto il ‘600, un 350 o 400 persone. La più alta carica era quella del maggiordomo maggiore, poi veniva il maestro di casa, il cavallerizzo maggiore, i segretari di stato, i gentiluomini di tavola, i camerieri, i coppieri, gli scudieri, i capitani, gli scalchi, gli aiutanti di camera, i servitori, i medici, i religiosi, i cantori, i drappieri, i guardarobieri, i credenzieri, i bottiglieri, gli spenditori, i legnaioli, i canovari (addetti alle cantine), i sorveglianti del fieno, i cuochi, gli artefici, i cacciatori, i giardinieri, gli staffieri, le dame e gentildonne della duchessa, gli ufficiali, i paggi, gli staffieri della stessa, come pure dei principi e delle principesse del sangue”.

In dettaglio, il duca Vincenzo I poteva enumerare 12 persone tra segretari e consiglieri, 6 gentiluomini di tavola, 31 paggi, 10 camerieri, 17 aiutanti di camera, 5 scalchi (alcuni con incarichi molto rilevanti), 4 medici personali, 6 religiosi, 12 cantori, ben 11 bottiglieri, 14 cuochi, e oltre 23 guardiacani con 83 cani che ogni giorno dovevano essere adeguatamente nutriti. Più che una corte, una cagnara. Sua moglie, Eleonora de’ Medici (*), la quale ovviamente usufruiva in parte degli stessi domestici di cucina e di altri servizi, poteva annoverare 25 dame,  7 ufficiali e solo 3 camerieri personali.

E si doveva provvedere di tutto a questa gente, non ultimo il cibo, secondo il rango di ciascuno, e dunque secondo la gerarchia delle bocche e delle relative tavole. Chiaro che l’approvvigionamento di viveri e la loro somministrazione, in una simile confusione, comportava ampio spazio per sottrazioni e ruberie. Ecco all’opera una burocrazia minuziosissima di norme severe e di dettaglio perfino comiche (lo scarto della carne era calcolato, per il macellaio, nel sei per cento, tanto che la carne prima di finire nel piatto era pesata varie volte). Né si poteva portare nulla fuori del palazzo, tutto doveva essere consumato sul posto e gli scarti riciclati per le bocche degli “inferiori”. Se si considera che nelle campagne si moriva letteralmente di fame ....

A ciò deve aggiungersi il peso dei numerosissimi ecclesiastici e religiosi mantenuti spesso con larghezza e presenti cospicuamente in ogni luogo. A Firenze, nel ‘600, si potevano contare non meno di 4.000 monache. I preti, specie i gesuiti, comandavano su tutti con insolenza e prepotenza, come ebbe a osservare un pio scrittore del primo Novecento.

*

Non dissimile la situazione al Quirinale, ieri e oggi. Il primo presidente, provvisorio, era un galantuomo [**] che non volle mai mettere piede al Quirinale, vivendo in un modesto appartamento.

Il secondo presidente, un economista borghese, sempre defilato durante il fascismo e che “non aveva mai partecipato in vita sua ad alcuna lotta veramente politica, se non come uomo della Monarchia” – secondo le parole di un suo autorevolissimo compagno di partito e vicino di seggio in Parlamento – era divenuto famoso per la sua parsimonia. Come ministro delle finanze minacciò tagli a destra e a manca, tagliando però sempre dalla stessa parte (serve specificare quale?). Nel 1948 la sua conversione fu istantanea, da “italiano più monarchico” a più alto rappresentante della repubblica. Ed essendo monarchico il distacco dalla monarchia gli riuscì bene, ma non quello dai fasti e dalle spese tipiche di quei regimi. Ed infatti, eletto presidente della repubblica, andò ad abitare al Quirinale, succedendo alla monarchia anche nello sfarzo dei riti e dei costumi, senza tema del ridicolo.

Nonostante le distruzioni del conflitto bellico e la miseria vera in cui versava il “popolo sovrano” di allora, la dotazione presidenziale fu la folle somma di 180 milioni l’anno (escluse le spese del segretario generale della presidenza che rimanevano a carico del bilancio dello Stato), più un milione al mese quale assegno personale (il coefficiente ufficiale Istat di rivalutazione attuale è 36, perciò fate il calcolo). Lo stipendio medio mensile di un operaio non superava le 20-25mila lire. Insomma si trattava di un appannaggio enorme “e senza alcun paragone coi maggiori assegni dei presidenti della repubblica di paesi meno poveri o assai più ricchi di noi”, ebbe a scrivere allora un ex presidente del consiglio.

Al Quirinale il presidente parsimonioso si ritrovò tra decine di corazzieri e staffieri, ereditati dal precedente regime, e tra uno stuolo di servitori in livrea rossa e blu (le stesse uniformi dei Savoia), impiegati, funzionari e faccendieri. Una vanità burlesca e dispendiosa che superava quella del precedente monarca. Nel tempo le cose sono andate peggiorando, il numero degli “addetti” è aumentato e le spese sono cresciute senza eguali nel mondo, cioè centinaia di miliardi di lire che solo l’escamotage dell’euro riduce, in milioni, a tre cifre (il Quirinale oggi ha un appannaggio di circa 228mln di euro, vale a dire 450 miliardi di vecchie lire l’anno!!).

L’apposita commissione parlamentare, ai tempi di Luigi Einaudi, ebbe a scrivere: «Il Presidente di una repubblica democratica fondata sul lavoro non ha bisogno di attingere il suo prestigio al fasto che si accompagna alle corti». Ma è giustappunto perché si tratta di una repubblica fondata sul lavoro (altrui) che gli attuali monarchi e le relative corti possono vivere alla grande e a sbaffo.



(*) Pure sua nonna si chiamava Eleonora de’ Medici, ma nata Toledo in quanto figlia di Pedro, viceré di Napoli, quindi moglie del primo granduca Cosimo, ritratta in un celeberrimo dipinto del Bronzino. Non fu granduchessa di Toscana (d’Etruria, per chi ami la precisione) per il semplice fatto ch’ella morì prima che il marito ricevesse la nuova dignità dal papa (vedi qui).


[**] Ebbe però a collaborare col fascismo, per esempio fece parte delle Commissioni preparatorie del Codice Rocco (R. Zangrandi, Il lungo viaggio attraverso il fascismo, p. 351).

2 commenti:

  1. Curiosità, dovuta a ignoranza (dovuta al fatto che ignoravo certe note biografiche del sior Luigi): Giulio, il figliolo del secondo presidente, non gli disse mai nulla a quel pidocchioso di suo padre?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. INTANTO AUGURI DI BUON COMPLEANNO!

      anche giulio era un aristocratico, se ricordo bene ne parla Ernesto ferrero in un suo libro di qualche anno fa, ma non ricordo il titolo e non è importante averlo letto anche se in un letto d'ospedale aiuta a trascorrere il tempo.

      Elimina