A giudicare dalla foto, i suoi quasi 69 anni Nicoletta Spagnoli li porta magnificamente (vorrei chiederle quale beauty-care usa, se non è Adobe photoshop). È presidente, amministratore delegato e direttore creativo della casa di moda Luisa Spagnoli, cavaliere del lavoro e di gran croce, membro del comitato esecutivo di The Aspen Institute, l’associazione internazionale no profit che “incoraggia ogni forma di leadership illuminata” (*).
Nicoletta vanta che “il 90% delle risorse dell’azienda sono femminili”. Insomma, capitale umano, come usa dire tra gli schiavisti liberal democratici. Però lei “non sostiene le quote rosa”. Timbra: “Per me vale solo il merito”.
Di quali meriti personali può accreditarsi la nostra eroina per essere a capo dell’azienda? Tiro a indovinare: innanzitutto quello del cognome e perciò l’aver ereditato l’azienda stessa. Aver frequentato buone scuole private, aver conseguito il Ph. D. alla University of San Diego (che in Italia non siamo all’altezza), aver conosciuto le persone giuste, quindi aver sposato bene (Ferdinando Barbarani)? Anche questi sono meriti, bisogna riconoscerlo. Ah, dimenticavo: ha una passione, fin da piccola, per il disegno (quando disegnava “bamboline”).
Leggo ancora: «Nicoletta Spagnoli era una ragazza impegnata in tutt’altro quando alla fine degli anni 70 le “Donne organizzate per il comunismo” manifestavano per le vie di Roma e tiravano molotov contro le boutique del marchio di famiglia».
La borghesia atlantica faceva mettere le bombe nei treni, nelle banche e nelle piazze, e quelle sciagurate danneggiavano le vetrine dei negozi!
Ci racconta Nicoletta: «E pensare che oggi Luisa Spagnoli è apprezzata perché aiuta le donne a costruire il proprio stile, in modo molto democratico. Peraltro noi abbiamo sempre dato un valore concreto e autentico a quella che oggi viene detta “body positivity”, perché in negozio le taglie arrivano alla 50. La mia bisnonna sognava qualcosa alla portata di tutti».
Evidentemente quelle donne brutte e trasandate, violente e feroci, con taglie sovietiche, magna spaghetti, tendenzialmente lesbiche, non volevano essere aiutate a costruire il proprio stile e non gradivano la body positivity. Quanto ai prezzi, beh, sono alla portata di tutte le donne con reddito democratico adeguato: operaie, infermiere, insegnanti, cassiere e casalinghe, insomma a misura delle “risorse aziendali” di Nicoletta Spagnoli.
Quanto al motto, “Correre verso il futuro senza dimenticare passato e radici”, è appena diverso da quello del suo figliolo, Nicola Barbarani, che suona così: “Bisogna saper guardare indietro per guardare avanti”. Si mettessero un po’ d’accordo in famiglia se verso il futuro, questo cazzo di futuro fino alla nausea, bisogna correre oppure solo guardare.
Nicola, già a 29 anni era responsabile dell’e-commerce e membro del Cda della celebre Casa di moda (confesso che non aver mai fatto parte di un Cda mi provoca una irrefrenabile invidia sociale). Ne descriveva il ritratto Daniela Fedi su Il Giornale: «Nicola è geneticamente predisposto ad andare d’accordo con le donne specie se forti e intelligenti». Che ci volete fare, c’è chi preferisce quelle deboli e stupide e chi no.
(*) L’azienda che dirige fattura 115 milioni di euro, ha 200 negozi in Italia e all’estero, l'80% del fatturato arriva dai 130 negozi italiani, collocati “nei centri delle città italiane sono diffusi come le statue di Garibaldi”. Quello di Venezia, collocato vicinissimo al Ponte del Lovo, si è trasferito poco distante, in Campo S. Bortolomio, ma io preferisco, per predisposizione genetica, servirmi del negozio in San Marco perché mi fanno credito.
Stupendo!!!
RispondiEliminaZappare la terra sarebbe più costruttivo per questa gente. Purtroppo per posizionamento di classe sociale non lo faranno mai.
RispondiEliminahttp://tinyurl.com/vh6j7re8
RispondiEliminaUn mio carissimo amico, compagno di scuola, scomparso qualche anno fa si trovò giovanissimo erede di una clinica privata. Ereditata dal padre, senatore, a sua volta erede del fondatore, emerito clinico. Ora i figli del mio compagno di scuola gestiscono con successo l'impresa.
RispondiEliminaUn altra persona, che ho conosciuto ma non frequentato, si trovò, anche lui giovanissimo, a gestire un patrimonio immenso. Anche lui è scomparso ma in tutta la sua vita cercò di dilapidarlo, pur senza portare a compimento l'impresa (e ci scrisse un libro).
Mi chiedo: conservare o dilapidare costituisce un metamerito? E soprattutto: come mi sarei comportato io? Purtroppo non lo so.
La donna con taglie sovietiche magna spaghetti mi ha troncato dal ridere. La stima e l' apprezzamento nei tuoi confronti tracimano.
RispondiEliminaEsondazione imminente.
Spero di non bagnarmi troppo 😅
EliminaMe mama ea diseva che i gera vestii par vece. Ea ea xe morta a 93 ani, parò no ea ga mai voesto vestirse da vecia.
RispondiEliminaMe nona diseva lo stesso
EliminaHo in lista di lettura "Capitalismo Woke" di Carl Rhodes che tocca il tema del rapporto tra Aziende e Società. E' passato il concetto che se un'azienda va bene (fa mero profitto) ne beneficia anche la comunità cittadina. In altri termini è l'elogio dell'economia a cascata.
RispondiEliminaIn molti ci hanno creduto aiutati dalla solita schiera di giornalisti/intellettuali/economisti/influencer/sciamani che hanno fatto in modo che passasse questo concetto che, analizzato nel nostro nefasto tempo economico, non trova riscontro nella realtà.