mercoledì 21 febbraio 2024

Quale altro mezzo se non la guerra?


Il 9 febbraio Tucker Carlson, giornalista e figura di spicco dell’estrema destra americana, ha intervistato per oltre due ore il presidente russo Vladimir Putin. L’intervista ha riscontrato un notevole interesse, con oltre 18 milioni di visualizzazioni solo su YouTube.

Le posizioni di Putin riflettono necessariamente gli interessi e la psicologia sociale dell’attuale classe dominante russa, di cui il presidente è espressione (a un certo punto dell’intervista si è vantato del carattere “borghese” dell’élite al potere!).

Putin ha iniziato l’intervista con un discorso di mezz’ora sulla storia della Russia e sulle origini dell’Ucraina, rivelandosi un autodidatta piuttosto approssimativo: dal principe Rurik, il suo successore Oleg e il pronipote Vladimir fino a Gengis Khan, Caterina e, infine, la Russia attuale. Una raccolta raffazzonata di fiabe slavofile che non ha nulla a che fare con la storia seria, e ciò rivela che il presidente non è né un formidabile stratega come qualcuno pensa né il “genio del male” così come raffigurato dai media occidentali.

La sua narrazione parte nell’anno 862, riecheggiando il mito zarista della “storia millenaria della Russia” e glorificando l’impero russo sotto gli zar. Descrivere la Rus' di Kiev come “Russia”, è una forzatura. La Rus’ di Kiev non era uno stato-nazione, così come non esistevano popoli o nazioni nel senso moderno del termine nell’Europa del IX o X secolo.

La realtà è che la nazione russa esiste da meno della metà di questo periodo ed è costantemente rimasta indietro rispetto alle nazioni capitaliste più avanzate di Europa e Stati Uniti.

Putin aderisce al mito secondo cui nazione e popolo sono un tutto eterno che è sempre esistito (è una tipica posizione di “destra”). Sembra ignorare i processi socioeconomici che hanno dato origine agli Stati moderni. Non spiega perché la Russia non si è evoluta come un unico stato-nazione, che invece si è sviluppata come uno Stato che comprendeva molte nazionalità diverse, di cui rimangono ampie tracce ancor oggi, la maggior parte delle quali erano oppresse dallo zarismo e dallo sciovinismo grande russo.

La Russia zarista aveva la reputazione di essere la “prigione delle nazioni”: nell’impero zarista, i russi costituivano solo il 43% della popolazione e gli ucraini circa il 17%. Il gran numero di queste nazionalità, private di autonomia e diritti, diedero al problema nazionale nella Russia zarista una forza esplosiva gigantesca: nazionalismo di armeni, georgiani ed ucraini, sciovinismo in Polonia, panislamismo tra i tartari, sionismo tra gli ebrei, eccetera.

Putin si chiede: per qualche ragione inspiegabile, Lenin, il fondatore dello Stato sovietico, insisteva sul fatto che [le varie nazionalità] avevano il diritto di ritirarsi dall’URSS? E, sempre per qualche motivo sconosciuto, trasferì alla neonata Repubblica Sovietica dell’Ucraina alcune delle terre con le persone che vivevano lì, sebbene quelle terre non fossero mai state chiamate Ucraina?

I bolscevichi, molti dei quali provenivano essi stessi da minoranze nazionali (casi emblematici quelli di Trotzkij e Stalin), sostenevano il “diritto delle nazioni all’autodeterminazione”. Lenin capì che solo sostenendo questa richiesta i bolscevichi avrebbero potuto ottenere il sostegno delle masse delle nazionalità oppresse e raggiungere l’unificazione internazionale dei lavoratori di tutte le nazionalità.

Poi, come sappiamo, le cose non andarono esattamente così e sarebbe lungo esaminarle. Con la fine dell’Unione sovietica il riemergere degli interessi e dei sentimenti nazionalistici è stato una conseguenza inevitabile. Ed è su queste ferite storiche che l’azione degli Stati Uniti e della Nato hanno fatto breccia portando, nel caso dell’Ucraina, a una guerra fratricida che provoca la morte di centinaia di migliaia di ucraini e russi e immani distruzioni.

L’aspetto più sorprendente delle osservazioni di Putin è stato il suo sforzo di evitare qualsiasi insinuazione che le politiche statunitensi siano radicate in precisi interessi economici e geopolitici, banalizzandole come niente altro che deplorevoli errori quasi inspiegabili, che potrebbero essere facilmente corretti se solo uno o due leader “vedessero la luce”.

Putin ha raccontato come, dal 1991, la Russia abbia tentato ripetutamente di riconciliarsi con la classe dirigente americana. La Russia si aspettava di essere accolta dalle “nazioni civilizzate”, ma non fu accolta. Ha raccontato come, anche dopo il bombardamento della Jugoslavia da parte della Nato, abbia chiesto che la Russia fosse accettata nell’alleanza, ma la richiesta fu respinta ancora una volta dagli Stati Uniti.

Spero per la Russia più che per Putin, che questo tipo d’approccio del presidente russo, del tutto soggettivo verso la storia e l’attualità, sia dovuto al fatto che egli, rivolgendosi a un pubblico prevalentemente analfabeta su simili questioni (un pubblico nutrito di miti televisivi e cinematografici), abbia puntato consapevolmente sul fattore soggettivo degli “errori” e delle “incomprensioni”.

Altrimenti sarebbe assai grave in un leader di una grande potenza pensare seriamente che il contenuto essenziale dei rapporti internazionali tra potenze rivali sia determinato dagli atteggiamenti soggettivi dei leader politici.

Putin si aggrappa ancora alla speranza di un “accordo equo” con l’imperialismo occidentale. Se è un atteggiamento pubblico di natura tattica ci può stare, ma deve altresì essere chiara la natura dell’imperialismo americano, ossia il motivo per cui i rapporti economici e politici tra Europa e Russia erano visti come fumo negli occhi a Washington. Come può pensare di gettare le basi per l’avvio dei negoziati per un simile accordo facendo appello a segmenti della classe dirigente statunitense affinché finalmente “tornino in sé”?

Si tratta di una faccenda d’interessi strategici vitali, non di un eventuale e chimerico ravvedimento di tipo “morale”.

Su un punto il presidente russo sembra lucido, quando sostiene che “l’Occidente ha paura di una Cina forte più di quanto tema una Russia forte”. Possibile che non colga che le due cose si tengono insieme, che per affrontare il conflitto aperto con la Cina è necessario per Washington (e le sue “agenzie”) mettere preventivamente la Russia in condizioni di non nuocere su alcun scacchiere strategico?

Putin è sempre ansioso di sottolineare che il regime capitalista in Russia ha totalmente ripudiato non solo i legami economici ma anche politici e teorici con il passato sovietico. Se questo è un suo motivo tattico (che gli consenta di salvaguardare i suoi vitali interessi “nazionali” e la pace sociale interna) ci può stare, ed anzi va incontro alla massima preoccupazione: lo scontro diretto con l’imperialismo o lo smembramento del paese da parte delle potenze imperialiste.

Ed era appunto questo l’approccio leniniano e poi sovietico all’imperialismo, che fu meno ideologico e molto più pragmatico di quanto si possa pensare.

«La domanda è: quali altri mezzi potrebbero esserci nel capitalismo per superare la disparità tra lo sviluppo delle forze produttive e l’accumulazione di capitale da un lato, e la divisione delle colonie e delle sfere di influenza, oltre alla guerra?» (Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, 1916, capitolo 7). 

7 commenti:

  1. Io mi chiedo: come mai con tutta la scienza di Marx e dei suoi epigoni (compreso il Lenin), l'umanità intera è ancora ancorata al barbaro e violento modo di produzione capitalistico?

    Saluti!

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    1. Francamente, non capisco queste sue risposte ciniche e beffarde.
      Comunque, sbaglio io ad affacciarmi di tanto in tanto su questo blog.

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    2. Mi fai delle domande che non basterebbe un volume per rispondere, dunque porta pazienza così come la porto io. Ciao

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  2. Una conseguenza della guerra russo/ucraina: https://www.qualenergia.it/articoli/boom-profitti-major-fossile-guerra-ucraina/

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  3. "anzi va incontro alla massima preoccupazione; lo scontro diretto con l'imperialismo e lo smembramento del paese" se ho capito bene Putin ha un approccio leniniano . di questi tempi non e' poco se poi sul piano storico e' un autodidatta, pazienza. Io comunque mi affaccio sempre su questo blog e non per sbaglio.

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