venerdì 12 marzo 2021

Per non rassegnarsi all’esistente

 


In un sistema economico razionale queste notizie non dovrebbero esistere. Non perché le aziende non possano chiudere, ma perché il sistema economico, reddituale e la divisione sociale del lavoro nelle sue forme e nella sua organizzazione, possono essere diversi da come sono.

Così si uccide la libera iniziativa economica, la sana competizione, ci sarà inefficienza e stagnazione!

Pagliacci che travestono d’ideologia i propri meschini interessi personali, che hanno già deciso, in un miscuglio di cinismo ed egoismo, la soluzione finale del problema umano. A costoro interessa solo la crescita del capitale inerte, dimostrando che la sua gestione razionale giustifica la riduzione dei posti di lavoro, salvo prevedere la carità dell’aiuto pubblico per gli esclusi.

Siamo ancora in una società di costruttori di piramidi, soggetti al dispotismo della curva variabile dei mercati che decide delle nostre vite, quando invece si potrebbero impiegare diversamente le enormi risorse rese oggi disponibili dalla elevata produttività del lavoro, valorizzando effettivamente la creatività propria di ognuno e dei gruppi associati.

Un esempio concreto: il tipo di urbanizzazione, e con essa le forme dell’architettura e della vita associata, dipendono dal modo in cui avviene la produzione e la distribuzione della ricchezza, per com’è concepita e organizzata per esempio la famiglia, i trasporti, l’istruzione, la sanità e più in generale per come sono dati i rapporti sociali e il tempo di vita.

Oggi possiamo intravedere un modo diverso e concreto di concepire, organizzare e dispiegare il lavoro sociale, compresa l’attività amministrativa e quella politica, superando molte delle odierne forme sociali di subordinazione alle esigenze di un’economia sprovvista di una visione e pianificazione globale, che sostituisce disinvoltamente gli esseri umani con dei numeri, senza riguardo per le loro sofferenze e per l’equilibrio tra uomo e natura.

Tutti obiettivi di cambiamento che non si realizzano in sei mesi, in un decennio o due, in modo semplice, lineare e pacifico. Non si tratta di un’utopia, ma di una reale possibilità di intraprendere la più grande rivoluzione e ricostruzione sociale della storia, che non può essere ricondotta e riassunta nei tentativi non riusciti di un singolo periodo storico.

Ecco perché un simile cambiamento epocale non può avvenire con politiche riformistiche collocate entro un sistema economico che procede sulla base di leggi sue proprie e irriducibili, ossia con la netta separazione tra l’economia e la vita. Perciò la parola d’ordine “espropriare gli espropriatori”, è ancora attuale. Per cominciare, per provarci, per non rassegnarsi all’esistente.

2 commenti:

  1. Il grande problema secondo me sta nel fatto che chi potrebbe dare i inizio ad un processo rivoluzionario non ha voce e spazio per farsi sentire dalle masse che già di per sé sono poco propense all'ascolto, paradossalmente....

    RispondiElimina