Il socialismo e il comunismo sono utopia. È un fatto assodato su cui non c’è da perdere tempo a discutere, del resto dove storicamente si è tentato quei regimi sono falliti miseramente. Perfino la Cina si è ravveduta e ha abbracciato, dapprima obtorto collo e poi entusiasticamente (“arricchitevi!”), il capitalismo nella sua forma privatistica di più deciso sfruttamento della forza-lavoro, pur mantenendo formalmente la vecchia ragione sociale listata di rosso quale paravento ideologico.
Per gli innumerevoli apostati della sinistra piccolo-borghese, quelli che un tempo stigmatizzavano chi avesse “gettato la bandiera rossa nel fosso”, il crollo di quei regimi è giunto come una conferma e sospirata liberazione: avevano ragione loro, in prospettiva non ci resta che riformare il capitalismo, in una cornice progressista e europea.
I risultati di questa fantastica narrazione sono sotto gli occhi di tutti coloro che non si sentono attratti dall’eco di chi proietta queste ombre nella caverna.
Per chi invece quei regimi li aveva sempre visti per ciò che in realtà essi erano realmente, ossia delle burocrazie reazionarie, il loro crollo non è stata una sorpresa. Senza per questo voler minimizzare l’immenso danno arrecato alla coscienza politica di milioni di persone che per decenni avevano riposto le proprie speranze e illusioni in quei sistemi sociali.
Decenni di crimini e tradimenti dello stalinismo, nelle sue varie versioni, della socialdemocrazia, del maoismo e della burocrazia sindacale corporativa, erano fatti innegabili che hanno profondamente minato e screditato l’idea di socialismo e di comunismo tra ampi settori delle classi subalterne e anche presso gli elementi borghesi progressisti.
Dall’altro lato, però, non può essere declinata come una novità la putrefazione delle organizzazioni politiche nazionali riformiste, né l’inasprirsi delle contraddizioni del sistema capitalista. Tutte cose già viste per chi non ha la memoria storica corta, e sappiamo bene a quali esiti può condurre la strada verso la quale si è avviati.
Pertanto la catastrofe politica e storica della sinistra parlamentare, non solo italiana, che si sta consumando definitivamente nei suoi infiniti compromessi, è anzitutto un portato della sua capitolazione ideologica: per non aver saputo fare i conti con il proprio passato senza rinnegarlo; per essere diventata protagonista di un riformismo cieco e fine a se stesso; per aver imbarcato nei posti di preminenza elementi marcatamente reazionari e con ambizioni autoritarie (Blair, Renzi e Macron per citare i più noti).
Nell’aderire all’ideologia liberista la sinistra ha fatto sue le espressioni gergali padronali, per esempio chiamando “mercato” il capitalismo e “opportunità” lo sfruttamento, nel timore di non dimostrarsi abbastanza radicale nell’abiura del suo passato, che ha semplicemente seppellito sotto metri di reticenze e menzogne.
Una sinistra senza popolo perché non è più nemmeno il simulacro di una sinistra, non essendo più nulla che già non sia la destra. E tocca sentircelo dire perfino da chi per lunga pezza è stata presidente di quel Partito democratico che, per sua natura, non può rinvenire alcun orientamento ideale e, ipso facto, ruolo politico a cui possa guardare chi le “disarmonie” del capitalismo le patisce ogni giorno sulla propria pelle.
Il Pd e gli altri partitini attigui sopravviveranno a se stessi, “lavorando per il paese”, come ormai si suole dire, litigando per le poltroncine e infine aggrappandosi pure alle maniglie delle porte.
Ci vorrà molto tempo, la pressione di eventi e circostanze oggettive, per guarire dalle profonde ferite del passato e del miserabile presente, per far emergere nuove generazioni che sappiano distinguere e cogliere criticamente tra ciò che era valido da ciò che non lo era e non poteva esserlo, recuperando un alto livello di coscienza politica con la consapevole assimilazione della critica marxiana e la vasta esperienza storica della lotta di classe.
Un nuovo movimento antagonista di massa non può svilupparsi spontaneamente, come se si trattasse di acchiappare nella rete elettorale delle sardine, ed è per tale motivo che la lotta ideologica e la formazione di una coscienza storica adeguata, di pari passo con la conoscenza scientifica, assume un rilievo persistente e fondamentale.
E' sempre un sincero piacere leggerla.
RispondiEliminaPerò di tanto in tanto mi confondo.
Se comunismo e socialismo come dottrine sono fallite, non discuto il fallimento dei regimi ma delle idee; se non vedo nel capitalismo passato e presente una sponda per gli ultimi ed i lavoratori a busta paga, che in Italia ed in EU forse ancora oggi sostengono le varie economie sociali allora mi sento senza una direzione da prendere..
Chi può rappresentare oggi me e milioni di esseri umani che rischiano di trovarsi senza una reale identità di classe perchè siamo uno spezzatino umano senza forse precedenti?
Se prima c'erano le fabbriche e la miseria ad unire le basi oggi non vedo un collante atto a fare da punto di partenza per qualsivoglia ragionamento comune..
Se prima FI poi la Lega poi i 5stelle hanno mobilitato i delusi di sinistra oggi che a sinistra non è rimasto più nulla e nessuno e siamo tutti ibridi ed orfani di qualcosa che neanche si è mai realizzato dove possiamo guardare per i nostri figli e non lasciarli orfani a loro volta in un futuro tecnocratico?
Se comunismo e socialismo sono utopie oggi cosa non lo è?
Un caro saluto
Roberto
un attimo, calma. questa è la loro versione, motivata da ciò che è accaduto nel Novecento.
Eliminapoi soggiungo:
I risultati di questa fantastica narrazione sono sotto gli occhi di tutti coloro che non si sentono attratti dall’eco di chi proietta queste ombre nella caverna.
insomma: che cosa aveva a che fare quel "socialismo reale", quelle burocrazie dispotiche, con il socialismo?
il risultato del riformismo è oggi sotto gli occhi di tutti.
ciao Roberto
Il post è lucido e coerente, ma mi lascia una certa insoddisfazione.
RispondiEliminaIl punto è che nell'ambito sociopolitico (e non solo) la realtà si muove per variabili continue, non discrete. Per farla breve: è difficile pensare che quelle "burocrazie reazionarie" non avessero almeno alcuni elementi di socialismo, e che ciò non le distinguesse dalle economie capitalistiche occidentali, nel senso che, sia pure in modo deviato, il socialismo reale era più vicino al socialismo, o al comunismo, di quanto non lo fossero "gli altri".
A me pare di cogliere una simile convinzione anche in molti tuoi fedeli commentatori, incluso quello qui sopra.
Devo dire che tu invece eccelli in purezza ideologica, e questo è probabilmente un pregio. Così come apprezzo un asceta che digiuna in cima al monte assai più di un pretazzo pedofilo di città.
Pur essendo miscredente.
scrivo nel post: nuove generazioni che sappiano distinguere e cogliere criticamente tra ciò che era valido da ciò che non lo era e non poteva esserlo
EliminaPenso che la tutela economica generale, dunque la liberazione dal bisogno (già oggi possibile), non potrà essere, in una nuova società, di freno alla libera iniziativa di ognuno in campo culturale e scientifico. Per raggiungere questo risultato c’è bisogno del pieno sviluppo delle forze produttive e una diversa concezione e organizzazione distributiva della ricchezza socialmente prodotta. Possibilità queste che si intravedono concretamente solo oggi nelle situazioni più sviluppate, ossia laddove le nuove tecnologie e l’organizzazione permettono un netto miglioramento della produttività e delle condizioni di lavoro.
Un esempio concreto: il problema degli alloggi nell’Urss poteva trovare soluzione e in forme diverse? Solo in parte. Dipendeva dalla organizzazione e distribuzione generale del lavoro, cui segue tutto il resto. Il tipo di urbanizzazione, e con essa le forme dell’architettura e della vita associata, dipendono in modo totale da come è organizzata la produzione e il lavoro, dunque da come è concepita e organizzata per esempio la famiglia, i trasporti, l’istruzione, la sanità, e più in generale i rapporti sociali nel loro insieme e dunque il tempo di vita. Solo oggi noi possiamo intravedere un modo diverso di concepire, organizzare e distribuire il lavoro tra tutti, compresa l’attività amministrativa e quella politica, superando molte forme in cui tutto ciò si esplica oggi in modo oggettivamente subordinato alle esigenze dell'accumulazione privata, dell'impiego distorto delle risorse, del calcolo economico fine a se stesso, ecc ecc ecc.
Un lungo e complesso discorso, ovviamente, in una società che sta ancora costruendo piramidi, quando invece potrebbe impiegare diversamente le enormi risorse rese oggi disponibili, a cominciare da quelle creative di ognuno e di gruppi di persone tra loro associate.
Spesso trovo più utile leggere i commenti di risposta ai vari interlocutori che il post stesso da lei pubblicato.
EliminaÈ solo una constatazione e non voglio assolutamente essere polemico.
Saluti
so anche disegnare benino ;-)
Eliminaciao caro
😊
Eliminaarticolo immenso e comprensibile....
RispondiEliminagrazie
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