domenica 21 febbraio 2021

Quando ad essere sfrattati erano i Benettón

 

La Storia, quella con la maiuscola, è la storia dei vincitori. Non sempre, però. L’Italia è zeppa di odonimi di fascisti. Non solo Italo Balbo, ma centinaia di altri nomi. In quasi ottant’anni di celebrazioni dell’antifascismo, nessuna autorità, che avesse il potere di farlo, s’è occupata di bonificare questa vergogna. L’antifascismo di facciata non ha mai fatto realmente i conti con quel periodo e i suoi volenterosi protagonisti in camicia nera.

La storia, per come viene generalmente raccontata dai media e trascritta sui testi scolasti, è un insieme di miti, truismi e deliberate falsificazioni che alimentano strampalate nostalgie e diffuse apologie sul ruolo storicamente positivo avuto dalle classi dirigenti e proprietarie.

Nel film Novecento di Bertolucci, si vedono sfilare dei carretti con le povere masserizie di contadini sfrattati dai padroni nel primo dopoguerra. Sembra che si tratti di pochi casi, dovuti alla ferocia di qualche proprietario, e invece nella realtà storica gli sfratti interessavano diverse migliaia di famiglie. Per esempio, in Veneto tra il 29 giugno e l’11 novembre 1922, nei soli distretti di Oderzo e Castelfranco, provincia di Treviso, le disdette di sfratto esecutive furono circa 2.000.

Per citare dei fatti concreti, il 12 luglio del 1922, a Ponzano Veneto furono sfrattate le famiglie di Virginio Benetton, composta da 15 persone su nove campi, e di Lorenzo Benetton, composta da 16 persone su 14 campi, entrambe su terre del dott. Alberto Alberti, che le fece sloggiare.

Questi sfratti di solito avvenivano per rappresaglia contro le rivendicazioni dei coloni e per il ritardo nella corresponsione degli affitti. L’affitto di una famigerata “cesura”, una casa e un appezzamento esiguo, sproporzionato al numero di persone che avrebbero dovuto trarne sostentamento, era un sistema in uso fin dall’Ottocento da parte di proprietari privi di scrupoli verso i loro coloni: si frazionava le campagne in tanti piccoli appezzamenti sui quali poter chiedere affitti proporzionalmente più alti, costringendo la famiglia colonica a lavorare più intensamente e sfruttando l’eccedenza di manodopera per i lavori di miglioramento fondiario, di allevamento di bachi e bovini nella parte tenuta dal padrone, remunerando il lavoro il meno possibile.

Questa pratica gestionale in passato era stata ripudiata perché ritenuta ripugnante dalle aristocrazie terriere venete. Senza dipingere un quadro idilliaco, questi patrizi volevo passare l’estate in villeggiatura nelle loro ville senza che si potesse mormorare che vivessero nel lusso perché affamavano i loro coloni. La pratica affamatrice fu utilizzata dagli avidi possidenti che subentrarono all’antica aristocrazia, chiamati dai contadini “i peoci refai”, ossia i pidocchi rifatti.

Nel post di venerdì, consideravo che Mussolini non avrebbe potuto, semmai avesse voluto, varare alcuna seria riforma economica e sociale, tantomeno agraria, perché sarebbe stata una riforma che non avrebbe trovato corrispondenza nei processi socio-economici in atto. Mussolini fece anzi di peggio (*).

A Giuseppe Volpi, ministro delle finanze, fu affidato il compito di attuare quella politica deflazionistica che portò alla rivalutazione della lira, la famosa Quota 90 del 1927. Essa determinò un notevole crollo dei prezzi dei prodotti agricoli proprio nel periodo di maggior indebitamento dei piccoli proprietari contadini, che si trovarono in pratica con i debiti rivalutati. Ciò causò una vera e propria caduta dei redditi di quei produttori in proprio che, dopo aver impiegato i propri risparmi nell’acquisto e nel miglioramento delle terre, avevano puntato sulle culture specializzate (**).

Si può dire che il sacro terrore dei contadini veneti e friulani verso “i debiti” venne alimentato proprio dallo sfacelo provocato da Quota 90, che costrinse numerosissime famiglie di piccoli proprietari a disfarsi delle proprietà a favore dei grandi proprietari e a lavorare per gli stessi in affitto o a mezzadria, oppure ad emigrare.

(*) Oggi si dice di voler riformare la “giustizia”! Con un parlamento popolato di avvocati, magistrati e imputati che, per le loro malefatte passate, presenti e future, puntano sulla prescrizione, per tacere della magistratura stessa, una specie di Vaticano del “diritto” e del “rovescio”.

(**) Per quanto riguarda la grande proprietà, una parte consistente di essa si era formata in epoca napoleonica, laddove gli antichi latifondi della nobiltà feudale e i beni della manomorta ecclesiastica furono spartiti fra borghesi, mercanti, nuovi ricchi e commercianti che si erano impossessati delle campagne dell’aristocrazia assenteista. Era emersa una classe di neo-ricchi, una borghesia commerciale-agraria con la quale le famiglie nobili spesso s’imparentarono per cercare di ricostruire le basi economiche che avevano perduto.

Nell’Ottocento si compì il distacco definitivo, fisico e culturale, della nobiltà e della borghesia dal mondo rurale. Le campagne, sfruttate a distanza, acquistarono il ruolo esclusivo di fornire rendita sotto forma di affitto di grandi estensioni a conduttori ai quali erano date in affitto piccole cesure. La diffusione dell’affitto a conduzione familiare aveva incentivato l’orientamento della produzione verso l’autoconsumo. Le famiglie dei piccoli conduttori affittuari fornivano manodopera per le industrie laniere e seriche. A latere di questa situazione di conduzione arcaica, fondata più sulla rendita che sull’investimento di capitali, sussisteva una diffusa piccola proprietà che si stava evolvendo verso le culture specializzate, assumendo integralmente le funzioni d’impresa. In gran parte quei piccoli proprietari furono rovinati dalle politiche finanziarie del fascismo.

Un aspetto interessante della storia di questa piccola proprietà diffusa è dato dal fatto che l’acquisto degli appezzamenti fu favorito dalle casse collettive parrocchiali, puntando in tal modo alla costituzione di una miriade di piccoli proprietari individuali. Le leghe socialiste puntavano invece alla costituzione teorica ed astratta di ampie proprietà comuni. La differenza tra i due approcci stava nella coniugazione tra situazione reale e obiettivi. Da ciò dipese il successo delle leghe cattoliche nel Veneto e in Friuli. La “balena bianca” del secondo dopoguerra ha una lunga storia radicata in situazioni come queste, che si sono poi evolute nella diffusione della piccola e media proprietà industriale e del terziario. Le “idee” sono sempre appiccicate alle “cose”.


8 commenti:

  1. Sì, valeva la pena che tu ti alzassi presto. Se poi ripari il link che non funziona, sfiori la perfezione.

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  2. Bisogna comunque ammettere che il dott.Alberto Alberti era più bravo di Toninelli.

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  3. Il dott. Alberto Alberti l'avrei messo volentieri al ministero delle infrastrutture, al posto di Toninelli. Il quale, fra parentesi, è convintissimo di avere fatto un culo così ai Benetton.

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  4. Post molto interessante. Grazie grazie per il suo impegno e per le cose che dice

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  5. l'odonomastica mi mancava, manco sulla settimana enigmistica sempre sia lodata l'avevo incrociata mai. grazie.

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