venerdì 19 febbraio 2021

Riforme di ieri, di oggi, di sempre

 

Quando sento parlare di riforme di sistema, mi coglie l’impeto di mettere mano alla celebre fondina. Riforme, con piccole idee e piccoli uomini?

Supponiamo, per mera e assurda ipotesi, che Benito Mussolini, al colmo del suo potere e prestigio, avesse in animo di porre mano a delle riforme, alcune delle quali non poteva ignorare fossero necessarie. A quali ostacoli sarebbe andato incontro?

La necessità e l’urgenza di una riforma agraria datava dall’unità nazionale. Ma ad un assetto patrimoniale più favorevole per le masse contadine si sarebbero opposti possidenti feudali, fattori e fittanzieri di grandi tenute agricole, tutta l’aristocrazia terriera che aveva le sue radici nella terra patrizia e vi traeva i suoi cespiti. Avrebbe fatto sentire la sua voce la gerarchia cattolica nel difendere i suoi interessi minacciati, come già accaduto per la nominatività dei titoli al portatore. Gli stessi sedicenti liberali, quali per esempio Benedetto Croce, cospicuo proprietario fondiario, non ne sarebbero stati contenti. Inoltre e non ultimi, numerosi quadri dello stesso partito fascista, rappresentanti politici della grande proprietà fondiaria, che non sarebbero rimasti inerti al grido di dolore dei loro benefattori.

Una riforma delle forze armate, segnatamente dell’esercito, diventato nel dopoguerra ancor più uno stipendificio, fu ben presente prima in Armando Diaz, poi in Pietro Gazzera e negli intendimenti di altri soggetti. Si trattava di ridurre il numero pletorico degli ufficiali, destinando le risorse risparmiate all’ammodernamento dei sistemi d’arma e degli equipaggiamenti. E però l’esercito, ovvero la casta degli ufficiali, aveva avuto un ruolo non marginale nel frangente della cosiddetta marcia su Roma, tanto che Diaz disse al monarca che l’esercito era fedele ma tuttavia non era il caso di metterlo alla prova (*).

Molto più semplice tagliare i salari. Il 1° dicembre 1930, le retribuzioni globali degli operai e degli impiegati furono ridotte dell’8%. Nell’agricoltura il taglio dei salari oscillò tra il 10 e il 25%, ma infine arrivò anche al 40%. Il risparmio annuo degli industriali fu calcolato in 1 miliardo annuo; per i proprietari fondiari in 1.218 milioni di lire annui; in circa 725 milioni il taglio dei salari dei dipendenti dello Stato (**).

Una riforma del diritto di famiglia? Si sarebbe scatenata la canea dai pulpiti delle chiese: al Vaticano andava benissimo che Cristo si fosse fermato a Eboli, perché il ruralismo arretrato consentiva di perpetuare il dominio sulle coscienze e nei corpi dei suoi fedeli (lo si vedrà ancora decenni dopo, contro le leggi sul divorzio e l’aborto). Soprattutto sui corpi delle donne, per esempio con l’introduzione dell’art. 587 del C.P. che prevedeva le famigerate attenuanti per il cosiddetto delitto d’onore, o l’art. 544 sul cosiddetto matrimonio riparatore, entrambi abrogati solo nel 1981!

La riforma della scuola? “La più fascista” delle riforme fu denotata di un’impronta spudoratamente classista, gravata dal peso dell’ideologia fascista e confessionale (reintrodusse l’indottrinamento religioso, in seguito anche nei licei). E misogene furono le leggi che l’accompagnarono, per esempio il regio decreto 2480/1926 stabiliva all’art. 11 che le donne non potevano insegnare materie scientifiche negli istituti tecnici, e lettere e filosofia nei licei, due materie che erano diventate centrali con la riforma Gentile.

Insomma, non vi furono solo motivi ideologici, di contingenza e opportunità politica ad impedire a Mussolini di attuare alcune riforme indispensabili per modernizzare il paese e svilupparne l’economia, ma anche interessi concreti fortissimi di classe, di casta e di apparato.

Chi vede nelle categorie della storia solo gli antagonismi astratti, per esempio tra destra e sinistra, tra conservatori e riformatori, dovrebbe tener conto che la storia non è fatta solo di categorie astratte, ma di uomini con i loro tenaci interessi. Esistono delle ragioni obiettive per cui le cose vanno in un modo e non in un altro. Ieri, oggi, sempre.

(*) Il gen. Gazzera, Ca. SM dell’esercito, in un’audizione al Senato, a nome del governo, il 21 marzo 1930, disse: “L’ immediato dopoguerra, specie il 1920, ha indotto ad immettere nell’esercito per necessità non militari, altri grossi blocchi di ufficiali inferiori” ( G. Novero, Mussolini e il generale, Rubbettino, p. 87).

(**) «Specialmente sull’onda degli entusiasmi nazionalistici per la “conquista dell’impero”, il regime godette certamente ancora di grande prestigio; si trattò però di periodi brevi, nei quali l’adesione popolare fu assai rumorosa ma, a ben vedere, meno plebiscitaria e soprattutto venata di preoccupazione per il futuro e specialmente di un bisogno di “riprendere fiato” e di “tirare i remi in barca”, che rivelavano l’affiorare, nell’ambito del consenso, di posizioni e soprattutto di stati d’animo più sfumati e meno disposti ad un’accettazione carismatica della politica del regime nel suo complesso» (Renzo De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, I, Einaudi, p. 54 e ss.).


5 commenti:

  1. La Provvidenza ha mandato un altro dei suoi uomini che ha accolto le richieste di tutti, dei lupi e degli agnelli.

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  2. https://twitter.com/ArchivioAltan/status/1362459451396132864/photo/1

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  3. Una riforma lasciata a metà è peggio di una non riforma. E questo è quasi sempre il caso italiano. Prendiamo un esempio che non coinvolge gli schieramenti politici del secolo scorso. L'esempio è dato dall'esproprio delle terre della Chiesa dopo l'unità d'Italia. Tutti converranno che, come inizio di una riforma agraria, la fine della manomorta ecclesiastica si qualifica bene. Purtroppo, l'esproprio, nel sud d'Italia, si tradusse in una perdita secca per i contadini, i quali in gran numero coltivavano abusivamente i terreni della Chiesa (non per carità, ma per incuria dei preti). Quando le terre finirono, come era logico aspettarsi, nelle mani dei latifondisti, quei contadini divennero braccianti, e conosciamo la storia successiva, che ha un'appendice odierna dalle parti di Rosarno. Questo per dire che una legge di riforma lo Stato italiano riesce anche a partorirla, ma poi è l'attuazione che fa acqua, a cominciare dalla sua estrinsecazione nei c.d. decreti attuativi.
    Se questo significhi, come tu sembri implicare, che le riforme sono impossibili, e che ci si debba aspettare il cambiamento solo da una rivoluzione, non so. Mi domando se una rivoluzione che toccasse i rapporti di produzione, ma lasciasse intatto l'apparato burocratico, si sottrarrebbe, in fase attuativa, ai problemi sopracitati.

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    1. non abbiamo più bisogno di una burocrazia, non almeno per com'è stata per secoli. anche i rapporti giuridici diverrebbero molto più semplici e snelli. il termine "rivoluzione", per come l'intendiamo comunemente sulla scorta del passato, non è abbastanza esemplificativo. siamo ancora con un piede nel passato e l'altro non ancora nel futuro. ci vorrò del tempo, ma le cose ad un certo punto si metteranno inevitabilmente a correre. quando? non lo so.

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