lunedì 8 febbraio 2021

La guerra della memoria

 

L’operazione Neptune sta ad indicare il più grande sbarco militare della storia, quello avvenuto nel giugno del 1944 in Normandia. Date le capacità militari, navali, logistiche e organizzative offerte dell’epoca industriale, si trattò di un impegno bellico impressionante. E però prima d’allora si contano altre imprese del genere che, stimate secondo le possibilità dell’epoca, non furono da meno di quella intrapresa dagli anglo-americani nel corso della seconda guerra mondiale.

Il 19 maggio 1798, alle sei del mattino, la nave ammiraglia francese, l’Orient, con le sue tre file di 40 cannoni ciascuna, trasmise alla squadra e alla scorta adunate nel porto di Tolone l’ordine di levare l’ancora. Nelle ore successive presero il largo 180 navi di ogni tipo, procedendo con una fresca brezza contraria verso la Corsica. Tredici vascelli con un totale di 1.026 cannoni, quarantadue fregate, brigantini, “avvisi” ed altre unità minori; 130 navi da trasporto di ogni genere, 17.000 soldati, altrettanti marinai, più di 1.000 pezzi di artiglieria campale, munizioni per 100.000 cariche, 567 veicoli e 700 cavalli. La flotta sarebbe stata ingrossata da tre convogli minori, provenienti da Genova, Ajaccio e Civitavecchia; il totale degli uomini sarebbe salito a 55.000 e quello delle navi a 400 unità.

Quando la flotta arrivò alla meta, in Egitto, la gente sulla sponda “guardando l’orizzonte, non poteva più scorgere acqua ma soltanto cielo e navi: e fu colta da inimmaginabile terrore” (Niqlibn Ysuf al-Turk, un poeta arabo che stese la cronaca degli avvenimenti successivi: Chronique d’Egypte, 1798-1804, Il Cairo, 1951, p. 9).

Uno spettacolo e un’avventura grandiosi, che poteva valere una vita. Infatti costò la vita a gran parte di coloro che vi parteciparono, nonché a molte migliaia di coloro che vi si opposero.

La Francia aveva in Egitto interessi più forti di ogni altra potenza europea. Andava ad occupare l’Egitto per tagliare i collegamenti tra la Gran Bretagna e l’India. Un piano che non era nuovo né inventato da Napoleone (*).

Il quale, dipoi, si renderà suo malgrado conto che l'Egitto non era la terra promessa, piena di ricchezze, ma un paese desolato, in piena crisi economica, affetto da pericolose malattie e da superstizione. Da questo punto di vista la sua impresa si rivelerà un fallimento.

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In che cosa consisteva l’impero coloniale francese ancora nel secondo dopoguerra? Era al secondo posto dopo l’impero coloniale britannico, con un’estensione territoriale di circa 21 volte la Francia attuale. Nel 1945 c’erano tra i 105 ei 110 milioni di abitanti nelle colonie, che producevano dal 35 al 40% dell’economia francese. Tutti i regimi, dalla Rivoluzione francese alla Terza Repubblica (1870-1940), destra e sinistra, hanno contribuito alla storia coloniale francese, che fa parte della sua narrativa.

Fu l’industria dello zucchero a finanziare le guerre del XVIII secolo, per fare un esempio. La Terza Repubblica sarà poi costruita sul potere dell’impero coloniale e sulle sue conquiste e ha permesso alla Francia di vincere la prima guerra mondiale. In seguito alla sconfitta nel 1940, Brazzaville e poi Algeri furono le due capitali della Francia libera durante la seconda guerra mondiale.

Senza le conquiste belliche e le risorse delle sue colonie, senza le sue rapine di opere d’arte e lo sfruttamento economico dei popoli sottomessi, la Francia avrebbe avuto un ruolo molto più marginale nella storia d’Europa. A Solferino, nel 1859, erano ben pochi i francesi che vi combatterono, ed è ben noto chi fossero i combattenti in divisa francese che nel 1944-45 risalirono l’Italia stuprando e saccheggiando. Nel dopoguerra, si segnala la repressione in Senegal, i massacri in Madagascar, i bombardamenti in Siria, la guerra in Indocina, il bombardamento di Damasco nel maggio 1945, che provocò 5.000 morti e, l’8 maggio, il massacro di Sétif, in Algeria, che causò tra i 12.000 e i 25.000 morti.

L’esercito coloniale francese non può accettare che un uomo di colore, un uomo nordafricano, un uomo indocinese, un uomo malgascio, un uomo indiano occidentale possano opporsi al potere coloniale della Francia. Sono ancora considerati “indigeni” che non hanno diritti nonostante abbiano combattuto per la Francia. Le loro richieste sono viste come una sfida all’autorità coloniale.

Nel 1954, la Francia perse le sue colonie asiatiche, comprese le stazioni commerciali indiane. In Vietnam i francesi saranno sostituiti dai “consiglieri” americani, e già nel 1955 i francesi danno inizio a una sanguinosa guerra in Camerun, che serviva per impedire che altri paesi dell’Africa alzassero la testa. Lasciano il Marocco e la Tunisia (nel 1955-1956), ma si tengono ben stretta l’Algeria.

Tutte le élite francesi la pensano così, compreso il PCF. Ci vivevano un milione di europei in Algeria, molti dei quali saranno i pieds-noirs che fino a quel momento costituiscono oltretutto un peso elettorale importante. Ma soprattutto l’Algeria è anche un territorio strategico ricco di idrocarburi, un luogo per la sperimentazione delle armi nucleari. Nel 1959, il rapporto di Michel Rocard dimostrò che su 9 milioni di abitanti, più di 2 milioni di persone morirono di fame e maltrattamenti nei campi di concentramento, per non parlare delle sanguinose rappresaglie contro la popolazione civile e le sistematiche torture.

Nella Repubblica democratica francese per questi fatti non è stata istituita alcuna “giornata della memoria”, non hanno mai pensato che la lotta degli algerini fosse legittima, che stessero combattendo per la loro libertà, meritassero rispetto e avessero gli stessi diritti dei francesi. Il razzismo è sempre stato una componente non trascurabile in Francia.

Nel 1777, Luigi XVI promulgò la Déclaration pour la police des Noirs con il compito si sorvegliare e arrestare i neri in Francia. Nel 1778 il provvedimento fu rafforzato da una legge che vietava i matrimoni tra “neri, mulatti e altre persone di colore” e “bianchi” nella metropoli. Questa è una politica che seguirà anche Napoleone Bonaparte.

Chi si ricorda più della BAV (Brigade des aggressions et violences)? Il 14 luglio 1953, gli algerini sono uccisi per le strade di Parigi, nell’ottobre del 1961 gettati nella Senna, l’8 febbraio vengono uccisi 9 manifestanti che protestano contro gli attentati dell’OAS, ecc.. Per quanto riguarda gli ebrei basti ricordare l’affaire Dreyfus, il collaborazionismo di massa durante la seconda guerra mondiale (non dimentichiamo Vichy). Macron ha definito la colonizzazione un “crimine contro l’umanità”. Mi ricorda Wojtyla.

La statua che rappresenta Alfred Dreyfus che tiene la sua sciabola spezzata davanti al viso, fu commissionata nel 1985 da Jack Lang quando era ministro della Cultura e doveva essere collocata nel cortile dell’École Militaire di Parigi dove il capitano fu degradato. “Dobbiamo dare ai militari un esempio, non un rimorso”, commentò François Mitterrand. Nel 1988 la statua è stata posta nei giardini delle Tuileries. Un tentativo di trasferimento presso l’Accademia militare fallì nuovamente nel 1994, in occasione del centenario dell’arresto del capitano.

Jacques Chirac, sindaco di Parigi, dispose di trasferire la statua nel più appartato VI arrondissement: “C'erano pressioni da tutti i tipi di circoli contro il soggiorno alle Tuileries”. Nel 2006, in occasione del centenario della riabilitazione di Dreyfus, Jack Lang e Bertrand Delanoë hanno espresso il desiderio di vedere la statua trasferita nel cortile dell’École Militaire, ma i militari, in particolare il generale Henri Bentégeat, allora capo di stato maggiore della Forze armate, si è opposto. La guerra della memoria continua.

(*) Anche Talleyrand, al ministero degli Esteri, aveva difeso questa idea davanti al Direttorio. Ricordava il progetto Choiseul, con il quale aveva lavorato. Choiseul vedeva la Francia recuperare in Oriente i suoi possedimenti persi nelle Americhe, e L’Egitto sembrava una preda allettante. Talleyrand aveva anche trovato negli archivi del ministero i suggerimenti del conte di Saint-Priest, ambasciatore alla Porta nel 1781. Una presenza francese in questa regione rendeva possibile mettere in discussione la posizione egemonica dell’Inghilterra nel Mediterraneo, dunque si trattava di vantaggi strategici e commerciali.

Napoleone già nel 1795, dunque prima della campagna d’Italia, aveva pensato di partire per Costantinopoli per mettersi al servizio del sultano Sélîm III. Ne aveva scritto anche al Direttorio. La sola battaglia delle Piramidi fu sufficiente per il collasso del regime mamelucco, tuttavia il sogno di conquista napoleonica crollò in Siria e si trasformò in un incubo. Bonaparte preferì tornare a Parigi, il 22 agosto 1799 lasciò lEgitto.

In seguito, il 9 ottobre 1801, Talleyrand e l’ambasciatore ottomano, Morah Ali Effendi, conclusero gli accordi preliminari di pace tra i due paesi. Le truppe straniere, sia francesi che britanniche, dovettero lasciare l’Egitto. Ci vollero però altri otto mesi per firmare un trattato che vincolasse Parigi e Costantinopoli, ciò che avvenne il 25 giugno 1802 nella capitale francese. Tuttavia l’Impero Ottomano non troncò i suoi rapporti privilegiati con Russia e Inghilterra.


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