mercoledì 8 aprile 2020

Favole e baldoria



Sembra che ci siano due mondi diversi, non da oggi per la verità. Quello basato sulla realtà e l’altro sulla finzione. In questo periodo si sta esagerando più del solito, e non mi riferisco solo ai media incaricati di descriverci un mondo fiabesco.

Nel mondo reale, le attività economiche a livello mondiale sono ferme o quasi. Per la dimensione del fenomeno siamo a un inedito per quanto riguarda il nostro tempo. Invece nel mondo delle Borse e della finanza globali prevale tra gli investitori un clima di euforia incontrollabile che, come un’orgia durante un funerale, sposta miliardi di azioni e porta il Dow Jones Industrial Average a segnare quasi un più 7,5 per cento, com’è successo l’altro ieri, il DAX tedesco a più 6 e il FTSE britannico a più 3, performance per questi ultimi proseguita anche ieri.

La Cina fatica a riprendersi, gli Usa si aspettano una recessione tra le più brutte della loro storia, l’India, con il 17 per cento della popolazione mondiale, è bloccata, l’Europa non sta messa meglio, eccetera. Che cosa motiva questa celebrazione vergognosa e spudorata? I milioni di posti di lavoro persi e la contrazione complessiva dell’economia che segna nuovi record storici?

Alla crisi economica s’aggiunge quella sanitaria, anzi, è vero il contrario ma il risultato è lo stesso. Esempio: ci si sarebbe aspettati che l’ospedalizzazione di un primo ministro a Londra, il centro finanziario d’Europa, avrebbe mandato la borsa al tappeto quando è stata aperta lunedì mattina, ma non è successo niente del genere.

Forse gli operatori finanziari sanno qualcosa che a noi è ignoto, altrimenti come spiegare questa euforia? Salvo il fatto che sono convinti che le banche centrali continueranno a sostenere le attività speculative con miliardi di miliardi di denaro pressoché gratuito, e che le grandi società continueranno con i riacquisti massicci di azioni proprie. Vero è anche che ogni giorno vengono prodotti digitalmente decine di miliardi di euro e di dollari per acquistare debito da banche e società.

Sarà che penso secondo vecchi schemi, tuttavia il castello di capitale fittizio, ossia la ricchezza creata attraverso l’espansione massiccia del credito e del debito, non può reggere all’infinito in modo svincolato dal processo produttivo, ossia quel processo reale che sta a fondamento della società. Pertanto mi chiedo quanto a lungo potrà durare questa baldoria senza che venga giù tutto e di brutto. Tuttavia pensiamo con ottimismo (come del resto quelli che credono tutto ciò non c’entri nulla con la loro vita) sennò aggiungiamo altra tristezza alle nostre giornate.

8 commenti:

  1. Io non so se ricordi il “patto fra produttori” di cui parlò, un po’ a mezza bocca, Enrico Berlinguer nella seconda metà degli anni ’70. Non era il compromesso storico, era il risultato di probabili pourparler con l’intellighenzia imprenditoriale gravitante fra Torino e Ivrea. L’idea, presto abortita, era di copiare il Partito Democratico americano. Che poi la cosa si sia concretizzata in modo caricaturale trent’anni dopo, ad opera del patetico Uòlter , non deve fuorviare. L’intuizione, certo prematura e quindi abortita, era che in Italia c’è chi produce e chi no.
    Ovviamente, se avessimo voluto, 40 anni fa, tradurre questo in una ridefinizione delle classi e gruppi sociali di cui è costituito il “popolo” italiano (riprendo le tue parole, dal post precedente) ciò allora sarebbe apparso provocatorio e comunque prematuro. Ma oggi? Guardiamo con occhio neutro alla situazione. Esiste un primo nucleo (non anticiperò le conclusioni pronunciando la parola in “C”) di persone protette, ossia con il reddito assicurato. Esiste poi un secondo nucleo, di numerosità insignificante, che si assicura cospicui profitti, di carattere meramente finanziario e speculativo, senza partecipare in alcun modo al processo produttivo. Ed esiste un terzo nucleo, di grande numerosità, una massa di non assistiti, o assistiti con elemosine avaramente e neghittosamente filtrate dal primo nucleo. Di questo terzo nucleo fanno parte i famosi “produttori” di cui parlava Berlinguer.
    Concludo: non ti pare ce ne sia abbastanza per una ridefinizione delle classi e dei rapporti di forza?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. ridefinizione concettuale, ossia teorica?
      prima leggi questo, poi semmai ne riparliamo:
      http://diciottobrumaio.blogspot.com/2018/07/sulle-classi.html

      Elimina
    2. non lo dico a te, ma prendo spunto per dirlo in generale
      se chi capita in questo minuscolo punto dell'infinita rete si prendesse la briga di leggere con attenzione CERTI miei post, sicuramente imparerebbe qualcosa

      Elimina
    3. Io ho letto con attenzione, ma credo di essere troppo stupido per trovare risposta a una semplice domanda: a quale classe appartengono i burocrati? Per burocrati non intendo solo quelli che Bassanini ha gratificato di stipendi astrali, poi limitati da Monti a soli 240.000 euro, salvo elette eccezioni. Intendo tutti coloro che vengono retribuiti con le tasse dei cittadini, e sono milioni. Ho l’impressione che Marx non abbia pensato a loro, o che non si aspettasse che il loro peso crescesse così tanto. Posso anche ipotizzare che noi viviamo in un’altra epoca, intermedia fra quella borghese e quella socialista. Posso pure ipotizzare che ci siano elementi di società feudale, o di società antica. A occhio, direi feudale, almeno in Italia. Mi soddisfa il possibile accostamento delle tasse alle corvée. Mi soddisfa dal punto di vista concettuale, mentre non ne sono affatto soddisfatto dal punto di vista personale. Però non voglio buttarla in ridere. Te lo domando seriamente: dove si collocano i burocrati?

      Elimina
    4. Nell’epoca nostra i contrasti tra le classi sono molto semplificati, da una parte la borghesia e dall’altra il proletariato. Ciò non significa che non vi sia nulla d’intermedio. Mi pare che tu insista nel trovare identità di classe sulla base delle fonti di reddito. Con questo non voglio dire assolutamente che chi il burocrate che percepisce un reddito di centinaia di migliaia di euro faccia parte del proletariato solo perché non è un capitalista. Ciò che rileva maggiormente sono le relazioni che le classi hanno con le condizioni sociali della produzione, e vengo alla tua domanda, ma anche della ripartizione del prodotto. Non tutti i burocrati sono uguali per posizione sociale, ruolo e reddito. Succede come per i giornalisti: c’è la vespa e il moscerino, entrambi funzionali all’ordine costituito, come puoi ben vedere nelle conferenze stampa fasulle di questi tempi (così come in altri).

      Elimina
    5. anche qui:
      http://diciottobrumaio.blogspot.com/2016/10/se-debba-nascere-prima-luovo-o-la.html#comment-form

      Elimina
    6. E vabbe', io non capisco, ma non è un grande problema. A me pare che quando parli di "produzione" tu ti riferisca all'industria manifatturiera, ossia a una roba che riguarda 4 milioni di occupati (ante coronavirus, naturalmente). Capisco che il modello lì possa valere, ma si tratta di una porzione minoritaria, il 20% scarso. Dopo il coronavirus e con l'avanzare dell'automazione saremo presto al 10%. A me ciò sembra rilevante, ma forse, ripeto, non capisco.

      Elimina
  2. Verrà giù e la cosa più divertente sarà che lo stesso sistema per salvarsi taglierà brutalmente una parte di questa fittizia ricchezza di carta. Questo non significa che le masse potranno respirare, ma l'unica via che hanno è questa, oppure una bella guerra.

    RispondiElimina