lunedì 20 aprile 2020

La più grande scoperta terapeutica



Giovedì scorso ho accennato alla storia del Prontosil, il primo antibatterico per uso interno disponibile in commercio, punto di svolta nella ricerca farmaceutica e nella storia della medicina poiché ha rivoluzionato il trattamento delle malattie infettive. Preso atto dell’entusiastico riscontro che ha avuto il post (c’è stato anche un commento!), racconto un’altra storiella che ha a che fare con questo protofarmaco che forse potrebbe aver salvato la vita di qualche nostro nonno o bisnonna, permettendoci in tal modo di essere qui a raccontarcela, almeno fino a quando non sceglieranno una bara anche per noi.

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Nel gennaio 1933, Hitler aveva appena firmato l’accordo per un governo di coalizione con quel bel soggetto di Franz Papen, preludio di un regime che avrebbe provocato infine una cinquantina di milioni di morti. Negli stessi giorni un lattante di 10 mesi entrava in un ospedale coperto di piaghe e di ascessi, febbre a 40 e un polso a 180. Il bambino era ridotto in uno stato catechetico, con speranze di sopravvivenza nulle. Gli esami di laboratorio avevano indicato che si trattava di una setticemia da stafilococchi.

L’idea che le sostanze sintetiche potessero contrastare la crescita dei batteri aveva guadagnato terreno già con Paul Ehrlich (1854-1915). Il violetto di genziana e la acriflavina, che non sono profumi ma coloranti, nonché vari composti mercuriali, avevano suscitato notevole attenzione e numerosi studi clinici, con risultati incoraggianti in singoli casi; ma in generale, le speranze e le aspettative di scoprire un antibatterico sintetico efficace non si erano realizzate e c’erano illustri clinici che si esibivano in lunghi articoli per dimostrare che non si sarebbe arrivati a nulla. Intanto si continuava a morire come falene attratte dai fari di un’auto.

La IG Farben, che storia la sua, aveva consegnato ad alcuni ospedali e a dei reparti universitari un campione di Streptozon, un sulfamidico (sulfamidocrisoidina), in vista di una sperimentazione clinica che si sperava potesse portare a qualche risultato nei confronti degli streptococchi. Infatti Gerhard Domagk (premio Nobel 1939) aveva sperimentato il colorante nel dicembre 1932 su una ventina di topi, rilevando che proteggeva gli animali da laboratorio dalle infezioni da streptococco (*).

Qui entra in scena tale Richard Foerster (da non confondere con l’omonimo classicista e archeologo, né con l’omonimo poeta tuttora vivente), della cui biografia non si sa molto.  Era nato nel Brandenburgo, il 9 dicembre 1896, il padre, ingegnere al comune di Münster, gli diede il nome del nonno, consigliere sanitario. Dalla madre, Marie Bellier de Lunay, ereditò il gusto degli studi classici, che lo familiarizzò con il greco, il latino e il francese. Sotto le armi dal 1915 al 1919, invalido di guerra, si laureò in medicina nel 1928. Conseguito il dottorato, intraprese la carriera universitaria come assistente, prima a Münster, poi a Dortmund e a Marburgo.

Il 17 maggio 1933, Foerster, nel corso di una seduta dell’Unione dei dermatologi a Düsseldorf, presentò la descrizione del caso del bimbo affetto da setticemia e periporite (piccole fistole intraepidermiche dovute a un’infezione da stafilococchi dei pori sudoripari), risolto eccezionalmente con l’impiego dello Streptozon. Al quarto giorno di trattamento, riportava l’assistente universitario, la temperatura tornò normale e la curva del peso ricomincio a salire, il tasso di emoglobina si alzò dal 22% al 42%, lo stato generale del bambino subì un netto miglioramento. Il trattamento: due mezze compresse al giorno per via orale, per tre settimane salvo alcune brevi interruzioni.

Non sempre è il caso a decidere, ma molto spesso comanda lui. Quel bimbo oggi potrebbe essere un uomo di 88 anni e ancora in vita; non lo escludo, anche se ne dubito.

Il 1933 segnò per Foerster ad un tempo sia il vertice della sua carriera, culminata nella principale osservazione sull’attività antibatterica del prodotto della Bayer, e la fine della sua attività scientifica. Nella sua lettera di dimissioni del 9 ottobre 1933 chiese la “cessazione anticipata dei rapporti di servizio che lo legano alla città a causa dell’occasione di acquisire la clientela di un collega non ariano”.

Foerster aveva violato le leggi non scritte che regolano il rapporto tra assistente e professore. Questo il motivo delle sue dimissioni. Il suo superiore, tale Hans Theodor Schreus, titolare della cattedra di dermatologia, pubblicherà nel 1935 i risultati di un’ampia sperimentazione clinica senza citare Foerster e il caso da questi descritto, precisando tuttavia che quello del bambino era stato proprio il primo malato al quale era stato somministrato il prodotto (**).

Lo Streptozon non era altro che il Prontosil (nome commerciale con il quale divenne noto a livello mondiale), ossia un colorante azoico, costituito da una polvere cristallina rossa (esisteva anche il Protosil bianco). Fu sul mercato con almeno 70 nomi proprietari diversi. Tutti i sulfamidici sono derivati ​​della p-aminobenzenesulfonamide. La sulfapiridina, scoperta nel 1937, fu il più grande progresso poiché fu il primo farmaco a essere efficace nelle infezioni da pneumococco.

(*) Fino al 1830, l’industria utilizzava solo coloranti naturali, estratti da sostanze minerali, vegetali o animali. Il blu di Prussia, scoperto nel 1774, fu l'unico colorante sintetico disponibile fino ad allora. Grazie a Claude-Louis Berthollet (1748-1822), dal 1786 si sapeva anche come scolorire, usando candeggina e altri ossidanti come perossido d’idrogeno, perborati, ecc.. Fu solo verso la metà del XIX secolo che la sintesi dei colori artificiali divenne possibile grazie allo sviluppo vertiginoso della chimica organica. Sul mauvéine di Perkin sarebbe necessario parlare a lungo.

(**) Quanto riportato da Wikipedia a riguardo di Richard Foerster, non è esatto (nemmeno il nome: Robert) e fuorviante la narrazione secondo cui fu Schreus a suggerire il trattamento con Streptozon sul bambino.

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