Se taluni virus si sono dimostrati estremamente letali per la specie umana, certi batteri si sono rivelati in tal senso ancora più efficienti, almeno fino a quando non hanno incontrato sulla loro strada gli antibiotici.
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Ci sono varie stime degli storici della demografia sull’entità della popolazione precolombiana abitante il continente americano. Poiché tutti i risultati, alti, bassi o intermedi, di tali stime sono frutto di accurate congetture, il profano è libero di scegliere quelle che vuole. Io scelgo quella intermedia del geografo americano William Denevan, il quale stima una popolazione totale di 57.300.000, la maggior parte dei quali concentrati nell’America centrale e nella zona centrale delle Ande, il che indicherebbe una notevole densità di popolazione per le regioni citate. Senza tirare in ballo Marx, si può sostenere che nel 1492 il numero degli autoctoni era assai vicino ai limiti imposti dai sistemi agricoli.
Per quanto riguarda le malattie di queste popolazioni in epoca precolombiana, va detto che erano già presenti parecchie malattie endemiche, comprese nella varietà di treponematosi (sifilide, pinta, causata da treponema carateum, e vaiolo dei tropici), tubercolosi, malattie intestinali provocate da parassiti (tra le quali è stata identificata con certezza l’anchilostoma) e, probabilmente, la malaria. Mancano tuttavia prove certe che quelle popolazioni fossero soggette a malattie epidemiche, ma certo è che furono totalmente impreparati a contrastare improvvise invasioni patogene dall’Europa. E fu strage.
Robert S. Desowitz, nel suo libro Chi ha dato la pinta alla Santa Maria?, racconta la vicenda di tale Juan de Morguer, imbarcato a Palos, sua città natale, sulla famosa Santa Maria, che assieme alle altre due caravelle arrivò infine dove sappiamo. Il marinaio fece l’amore con le donne del posto senza risparmiarsi. Durante il viaggio di ritorno Juan scoprì sulla punta del pene una lesione rotonda e dura. Tre mesi dopo il ritorno a Palos, si sentì preso da una febbre che non gli dava requie e nel contempo sul corpo comparve una ripugnante fioritura di pustole, un esantema di cui il medico curante non riusciva a spiegarsi l’origine. Dolori sempre più lancinanti, un abbassamento progressivo della vista e un contemporaneo deterioramento di tutte le funzioni vitali. Il 30 settembre 1495, “il cuore gli scoppiò” (aneurisma aortico, presumo) e l’infelice morì pazzo, cieco e sifilitico.
Le belle “indiane” con le quali Juan aveva fatto l’amore, non mostravano alcun segno nel sintomo di affezione sifilitica. Il treponema pallidum, la spirocheta pallida, vale a dire la sifilide, entrato in contatto con le comunità locali in tempi remotissimi, trasmesso di generazione in generazione per via ereditaria, era ormai presente in pressoché tutti gli individui, maschi e femmine, in forma benigna.
Tra il 1493-1495 e il primo decennio del Cinquecento dilagò in Europa. In Italia venne subito chiamato “mal francese” e in Francia “mal napolitain” e più genericamente “italien”. Effettivamente nella prima fase epidemica, l’epicentro della sifilide fu Napoli, dove il morbo esplose tra i soldati del corpo di spedizione di Carlo VIII di Francia.
Tra il 1493-1495 e il primo decennio del Cinquecento dilagò in Europa. In Italia venne subito chiamato “mal francese” e in Francia “mal napolitain” e più genericamente “italien”. Effettivamente nella prima fase epidemica, l’epicentro della sifilide fu Napoli, dove il morbo esplose tra i soldati del corpo di spedizione di Carlo VIII di Francia.
Poco dopo l’occupazione di Napoli, le cose non andarono più tanto bene. Si era formata una grande coalizione, costituita da Massimiliano di Baviera, Alessandro VI, Venezia e la Milano di Ludovico il Moro – quest’ultimo, dopo aver incoraggiato Carlo VIII alla conquista del regno di Napoli, era ben presto passato nel campo avverso – e guidata dal re Ferdinando di Spagna. Carlo VIII, lasciata Napoli, ripiegò e risalì la penisola sino ad affrontare il nemico a Fornovo sul Taro, dove subì una pesante sconfitta (1495). Rientrando disordinatamente in Francia, il re, che aveva inaugurato la moda francese delle “calate in Italia”, aveva al suo passivo due fallimenti: quello politico militare e quello sanitario, poiché da quel tempo la sifilide sarebbe stata in Francia una presenza endemica.
Ecco come una malattia “americana” (asintomatica), divenne una grave malattia spagnola, poi italiana e francese. Era iniziata la globalizzazione.
(domani un’altra storiella)
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