giovedì 30 giugno 2016

Un fraintendimento non casuale


Che cosa ci racconta Romano Prodi, già presidente della commissione europea?

«Quando chiedo ai direttori di banca: quanti dipendenti avrete fra dieci anni?, mi rispondono: meno della metà. L'iniquità post-Thatcher e post-Reagan si è sommata alla dissoluzione della classe media, terribile tendenza di tutte le economie sviluppate e di mercato, e sotto tutti i regimi».

Qui abbiamo a che fare con un equivoco di fondo, non casuale, ossia che la responsabilità fondamentale di tale “iniquità” ricada nel neoliberismo di Thatcher, Reagan, eccetera.

Non c’è premessa più fuorviante di questa.



Faccio un esempio base: alla schiavitù moderna, cioè il lavoro salariato, s’è aggiunta una condizione, per così dire, post-moderna: la tendenza a precarizzare i rapporti di lavoro come modalità generale dello sfruttamento. Sempre della stessa forma di sfruttamento si tratta, ma organizzata secondo le necessità del capitale. I leader politici neoliberisti sono semplicemente gli attori di tale dinamica storica.

E dunque le cause della “iniquità” denunciata da Prodi vanno cercate non già nell’ideologia neoliberista ma nel processo reale di produzione e valorizzazione del capitale.

Dice Prodi: «Non abbiamo un Keynes, un progetto per uscire in modo collettivo dalla crisi». Questa è una puttanata ricorrente presso l’intellighenzia borghese.

Keynes non c’entra nulla. Primo: la sua Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta è del 1936, e vorrei vedere quanti allora, come oggi, si sono presi la briga di leggere il malloppone. Secondo: il New-deal roosveltiano parte nel 1933, (lo stesso anno in cui parte il “new-deal” hitleriano!) soprattutto con i primi dieci provvedimenti legislativi del Presidente, dei quali ben sette vengono bocciati per incostituzionalità dalla Corte suprema. Certo, s’intervenne sulle regole bancarie e soprattutto sulla spesa pubblica, dando il via a una gigantesco cantiere di opere pubbliche. E tuttavia, terzo punto, si restò ben lontani dal risolvere la crisi e la depressione. Nel 1940 negli Usa c’erano ancora 14 milioni di disoccupati, oltre 4 milioni nel 1942, e solo 1,2 milioni nel 1944. Solo la guerra tolse le castagne dal fuoco al capitalismo.

In definitiva, si volle chiamare teoria un empirismo economico, un espediente, antichissimo almeno quanto le piramidi egizie.

Il fulcro del dibattito che divideva aspramente gli economisti di tutto il mondo verteva sulla “creazione di un credito produttivo”. L’unico modo per finanziare la creazione di lavoro senza togliere ossigeno all’attività economica privata fu quello di promuovere “nuovo credito”. Ed è la stessa politica monetaria cui ricorrono oggi il Giappone, gli Stati Uniti e la Bce. Allora aveva un senso anche in chiave espansiva (anche allora c'era la deflazione), oggi serve solo a prendere tempo affinché il sistema finanziario non collassi e a dar esca fresca ai pesci che vi nuotano.

Tra parentesi, per chi volesse comprendere l’escamotage hitleriano per reperire risorse da destinare agli armamenti, dovrebbe indagare sulla misteriosa società, creata ad hoc, la Mefo GmbH. Quanto alle opere pubbliche che dovevano assorbire la disoccupazione, si tratta di “mitologia”, come scrive Adam Tooze (The Wages of Destruction. The Making and Breaking of the Nazi Economy).  Solo il riarmo salvò il III Reich dalla capitolazione economica (qualcosa l’ho scritto anche qui).

Oggi, con la cosiddetta crisi fiscale dello Stato, e pur contando di poter battere moneta a go-go, politiche di tipo roosveltiano avrebbero il fiato corto, ancor più corto che negli Anni Trenta. C’è stato un cambio di fase nel capitalismo, e questo proprio non vogliamo mettercelo in testa. Siamo in presenza di una crisi generale-storica del capitalismo, il che dimostra non solo il fallimento del mercato, come già negli Anni Venti-Trenta, ma il carattere storico e transitorio della forma-valore.


Il capitalismo non è riformabile ad libitum e giammai nelle sue contraddizioni fondamentali, perciò politiche di tipo roosveltiano possono essere adottate dai governi, ma devono essere ben calibrate e centellinate, soprattutto esse non possono risolvere il problema della stagnazione e disoccupazione crescente. Possono solo avere la funzione di lenitivo. Un solo provvedimento di carattere “universale” può riassorbire la disoccupazione: la riduzione della giornata lavorativa.

10 commenti:

  1. Va bene. Il capitalismo è fallito ed è irriformabile.
    Sono d'accordo. Siamo d'accordo.
    Tuttavia mi piacerebbe che tu esplicitassi, papale papale, con le parole più semplici che riesca a trovare - affinché possa capire anche un bambino - il modello organizzativo di società marxiana che hai in mente.
    Magari con qualche esempio.
    Trovo che se ciascuno E S P L I C I T A S S E il modello ideale di società che ritiene possa rendere migliore la vita sul pianeta, si potrebbe tentare una conversazione costruttiva. Io sono pronto.
    Critiche e mandate a fanculo alla sinistra o alla destra, ai comunisti o ai fascisti, alla repubblica o alla monarchia, al nord o al sud, etc. a me sembrano solo fuffa.
    Ciao

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    1. non si tratta di trascrivere una ricetta di cucina

      a riguardo dello Stato, per esempio, Marx scriveva:

      Si domanda quindi: quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.

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  2. Non v'è nulla da aggiungere !
    E' necessario prenderne atto !

    caino

    ps- E a proposito della patente di idoneità al voto, mi preoccupano più i "saccenti "giornalai che i semianalfabeti.
    Detto ciò per gli interroganti (ogni tanto si affacciano) la sola risposta è : tempo al tempo.

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    1. Tempo al tempo?
      E' tutto più semplice, con il culo degli altri!

      Un interrogante.

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  3. Come vuoi. Il blog è tuo e te lo gestisci da te.
    Grazie della risposta.
    Appena e se ne avrò voglia espliciterò il mio pensiero al riguardo e lo farò proprio come una ricetta di cucina.
    Ciao

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  4. Secondo lei, gente come Prodi e affini, è consapevole che le cause dell'iniquità sociale, sono "non già nell’ideologia neoliberista ma nel processo reale di produzione e valorizzazione del capitale?".

    In sostanza, queste teste borghesi, sanno che non vi è alternativa all'interno delle leggi del modo di produzione capitalistico, e quindi, spacciano lucciole per lanterne?

    Saluti

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    1. non conosco Prodi, posso riferire ciò che diceva Keynes: nel tempo lungo saremo tutti morti
      saluti

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    2. Con Keynes lo diceva anche Totò: "A' livella". Il vero comunismo ab origine.

      Per chi lo conosce da molto vicino : Romani Prodi è figlio di Andreatta, formato nella DC bolognese, amico di De Mita, club Gardini, raffinato in Goldman Sachs, un amico molto intelligente e pragmatico come consigliere economico e altresì politico.
      Molto, molto ambizioso a dispetto della pennellata gastronomica guzzantesca.

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  5. Fuffa!
    spiaccicare analisi e poi non saper elementarmente dare una soluzione, mah!
    si è capito che fare sfoggio di "qultura" son bravi in tanti, poi nella pratica si smontano.
    saluti

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    1. ce l'ho una soluzione elementare, ma riguarda solo lei ...

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