Non
v’è dubbio che per muovere gli uomini alla guerra c’è bisogno anzitutto di
forti motivazioni ideologiche, ed è senz’altro fuori discussione che la vicenda
di Jonh Brown, e dunque la causa abolizionista, svolse un ruolo importante e
contribuì a suscitare in centinaia di migliaia di persone un forte sentimento di
rifiuto della schiavitù. Tuttavia se si adotta tale schema interpretativo,
tendente a rinvenire nel fenomeno della schiavitù la causa fondamentale della
guerra civile americana, viene meno l’essenza vera alla base del conflitto, ben
più remota e non chiara alla coscienza delle anime comuni di allora.
Secondo
lo storico Raimondo Luraghi, si trattava, invece, di stabilire se poteva
continuare la coesistenza tra due distinte nazioni, oppure se una delle due
avrebbe prevalso sull’altra. A quel tempo il contrasto era giunto all’estremo e
i proprietari del Nord non erano più disposti a sopportare lo strapotere politico
di quelli del Sud, esigevano invece di affermare la loro egemonia, corrispondentemente con il proprio peso economico reale.
Questo
schema interpretativo dell’insigne autore della Storia della guerra civile americana, va senz’altro accolto e
corroborato, a mio avviso, del giudizio di Marx, il quale, come solito,
comprese subito qual era la posta in gioco:
«[…] è fatto chiaro che il
conflitto fra il sud e il nord – dopo che quest’ultimo s’era abbassato da 50
anni in qua con una concessione dopo l’altra – finalmente è esploso
(prescindendo dalla svergognata pretesa della “chivalry” [“cavalleria”,
ossia i proprietari delle piantagioni] a
cagione del peso gettato sulla bilancia dallo straordinario sviluppo degli
Stati del nord-ovest. Questa popolazione, abbondantemente mescolata con freschi
elementi tedeschi ed inglesi, ed inoltre formata essenzialmente da self-working
farmers, naturalmente non era così disposta ad accettare intimidazioni quanto i
gentlemen di Wall Street e i quaccheri di Boston. […] E fu proprio
questa parte del nord a decidere per prima contro ogni riconoscimento
d’indipendenza d’una Southern Confederacy. È naturale che essi non possano
cedere a Stati stranieri la vallata inferiore e le foci del Mississipi [il
corso fluviale era fondamentale per le esportazioni dei farmers del nord]» (lettera ad Engels del 1° luglio 1861,
MEOC, XLI).
Ecco
delineata, da parte di Marx, anche la tesi che individua nella dinamica di
espansione verso il West, un fattore importante della rottura tra Unione e
Confederazione. Marx, in un articolo del 7 novembre 1861 per il New York Daily Tribune, scrive: «La
prima grande guerra della storia contemporanea è la guerra civile americana». Dunque,
si rendeva fin da subito conto della portata del conflitto allora iniziato.
Già
in un precedente articolo, il 18 settembre, riportava quanto scriveva l’Economist, ossia: «In primo luogo l’ipotesi che il conflitto fra Nord e Sud sia un
conflitto fra la libertà dei negri da una parte e la schiavitù dei negri dall’altra,
è imprudente per quanto falsa». E anche la posizione della Saturdey Review: «non proclama l’abolizionismo, e non ha mai preteso di combattere
contro lo schiavismo. Il Nord non ha innalzato come orifiamma il sacro simbolo
della giustizia ai negri; il suo cri de guerre non è l’abolizionismo senza
condizioni». Continia Marx, citando l’Examiner,
«Se ci siamo ingannati sul significato
reale del sublime movimento, chi se non i federalisti stessi sono responsabili
di tale errore?».
Commenta
Marx: «Sul primo punto, si deve
riconoscere la validità della premessa. La guerra non è iniziata al fine di
abolire la schiavitù, e le stesse autorità degli Stati Uniti non hanno lesinato
i propri sforzi per denegare una simile idea. […] il Nord, dopo lunghe esitazioni, dopo aver dimostrato tolleranza che
non trova riscontro negli annali della storia europea, alla fin fine ha
sguainato la spada, non per abolire la schiavitù, ma per salvare l’Unione, il
Sud da parte sua ha iniziato la guerra proclamando a chiare note che “la
peculiare istituzione” era l’unico e precipuo obiettivo della ribellione».
Pertanto
e fin qui, l’elemento economico, ossia l’elemento oggettivo, è di evidente
fondamentalità, poiché i membri di una classe hanno una relazione particolare
con i mezzi di produzione. Quanto all’altro elemento, di carattere soggettivo,
Luraghi sostiene che sulla questione della schiavitù il Sud si intestardì in un
gioco rischiosissimo, che fu un errore poi scontato amaramente, anche in
considerazione del fatto – scrive – che l’élite sudista, dopo aver espresso
uomini come Patrick Henry, Jefferson, Madison, Calhoun, «mancava paurosamente di capi che fossero all’altezza della situazione»
(p. 150).
A
mio avviso non si tiene abbastanza in considerazione un fatto di per sé evidente:
posto che per l’Unione la questione della schiavitù non fu l’elemento oggettivo
e soggettivo scatenante del conflitto (aperto dalla dichiarazione di secessione
del Sud), per contro non va trascurato il fatto, di grande rilievo anche soggettivo,
che i proprietari di schiavi non avrebbero potuto rinunciare al loro mondo, che
essi identificavano con la schiavitù stessa, senza opporre un’estrema
resistenza. Del resto l’estensione dell’esperienza umana non abbraccia solo gli
aspetti più prosaici dell’esistenza, bensì anche manifestazioni multiformi di
carattere sociale e culturale.
Infine
è necessario, a tale riguardo e come conferma, osservare che la proposta
Crittenden ed altre misure (si proponeva una certa linea geografica – propendo
si trattasse della linea Mason-Dixon – entro la quale la schiavitù doveva
essere riconosciuta come un’istituzione essenziale), «rimasero sempre – come rilevava Marx – allo stato embrionale di pia
desideria, di modo che il Sud non ebbe mai la possibilità di respingerle o di
accettarle».
Penso
che il post stia diventando troppo lungo, perciò temendo a questo punto un calo
repentino dell’attenzione, specie alla vigilia del week-end, rinvio il seguito
al prossimo, dove mi riprometto di svelare al fedele lettore anche faccende domestiche di Lincoln assai “piccanti”.
Non si faccia scrupoli, qua piove un'ora sì e l'altra pure e quindi niente mare.......bello ed istruttivo, attendo news su Lincoln, non amo il gossip, ma ogni tanto......buon weekend.
RispondiEliminaCaifa.
domani il gossip: L'intimo segreto del presidente
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