Scopo
precipuo di ogni capitalista è di estrarre dal processo produttivo il massimo
plusvalore (che chiama, impropriamente, profitto). Ciò spinge il capitalista a
introdurre sempre nuove tecniche e tecnologie per risparmiare lavoro, ossia per
aumentarne lo sfruttamento e la quota di lavoro non pagato all’operaio. Dal
punto di vista storico nessun altro modo di produzione ha contribuito tanto
allo sviluppo delle forze produttive (*).
Sennonché
il movimento del capitale nel suo processo di accumulazione presenta due
contraddizioni fondamentali e assolute: 1) una parte sempre più consistente di
plusvalore, ossia di lavoro non pagato, di ricchezza prodotta, non trova
allocazione e ciò provoca le classiche crisi
di ciclo, che si risolvono momentaneamente solo con la distruzione di una
parte del capitale; 2) la sempre maggiore riduzione della quota di lavoro vivo
impiegata in rapporto al capitale complessivo determina una tendenziale caduta del saggio del profitto. Questi due aspetti del movimento reale del capitale, crisi
di ciclo sempre più ravvicinate e una sempre più marcata caduta del saggio del
profitto, generano una situazione di crisi pressoché permanente, ossia una
crisi generale-storica del modo di produzione capitalistico.
I
risultati dello sviluppo delle forze produttive sono sotto gli occhi di tutti: la
microelettronica e l’invenzione di algoritmi, così come la combinazione di
nuove molecole, eccetera, hanno avuto impatti sociali inediti sullo sviluppo,
da un lato con grandi benefici (**) e dall’altro cancellando decine di milioni
di posti di lavoro, creando le condizioni di una disoccupazione di massa e,
come sappiamo, molti altri problemi sociali. Viene in luce inevitabilmente il
conflitto tra sviluppo delle forze di produzione e rapporti sociali, rimasti fermi
ad un’epoca ormai remota.
Scriveva
Marx: «Una formazione sociale non perisce
finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dar corso,
nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano
maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza».
Conseguentemente: «Ecco perché l'umanità non si propone se
non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso,
si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della
sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione».
La
nostra epoca e la nostra società si trovano esattamente a questo punto, a dover
decidere sul da farsi, e però, distratti come siamo, badiamo troppo poco ad un
fatto pensando non ci riguardi più:
«Il mezzo con il quale l’imperialismo
ha sempre storicamente risolto le sue periodiche crisi di sovrapproduzione è
stato la guerra. Infatti, la guerra permette innanzitutto alle potenze
imperialistiche vincitrici di allargare la loro base produttiva a scapito di
quelle sconfitte, ma soprattutto guerra significa distruzione di capitali,
merci, e forza lavoro, quindi possibilità di ripresa del ciclo economico per un
periodo di tempo abbastanza lungo» (***).
(*)
Nello stadio del dominio reale del capitale, la logica di sviluppo (condizione,
forme, settore di applicazione) delle macchine, così come l’applicazione
tecnologica della scienza, è tutta interna al processo di valorizzazione. Essa
risponde alla duplice esigenza di ridurre incessantemente il tempo di lavoro
necessario, e di assumere il controllo sui lavoratori. L’aumento della forza
produttiva del lavoro e la riduzione del lavoro necessario ad un minimo è la
tendenza necessaria del capitale. Tale tendenza necessaria implica
sconvolgimenti epocali sotto ogni aspetto della materia sociale.
(**)
Il privilegio edonistico, un tempo riservato solo a una classe sociale, si è
democratizzato, con la più grande soddisfazione sia degli schiavi che dei
padroni, i quali recuperano nell’incasso delle vendite infinitamente molto più
di ciò che sborsano in salari. In ciò gli opportunisti del riformismo borghese
vedono il trionfo delle loro tesi e il successo della loro politica.
È
stato l’emergere del mercato di consumo a garantire al capitale un nuovo ciclo
pluridecennale dell'accumulazione, ma le stesse leggi che hanno prodotto tale
slancio ci confermano ogni giorno di più che nulla è per sempre, nella crisi
generale del modo di produzione capitalistico esse mostrano il carattere
dialettico dei processi ininterrotti del divenire e del transitorio, la caducità
di tutte le cose.
(***)
Risoluzione della Direzione
Strategica delle Brigate Rosse, febbraio 1978.
Cara Olympe,
RispondiEliminaassisto con immenso piacere e soddisfazione, il tuo rimettere le cose con i "piedi per terra", oltre gli psicodrammi che si stanno imbastendo in queste ore sugli esiti delle elezioni.
Comprendo anche che questo tuo post, sarà indigesto a molti, pur bravi ragazzi e ragazzi, che nella velocità e voracità, di culture raffazzonate ,stentano e sovente si rifiutano di capire "queste semplici cose".
Coraggio, insiste, alla fine trionferà la pancia sui sublimi cervelli.
Tempo al tempo.
caino
RispondiEliminascusi, ma l'omelia non andrebbe preferibilmente pronunciata nel giorno festivo ?
oggi è il solstizio d'estate ...
EliminaE poi l'undicesimo canto delle salite "per il sistema" si può dire quando si vuole, per spiegare "chissà cos'era".
RispondiEliminacaino
appunto, il capitalismo non casca da solo, la saggezza che deriva da questi lunghi secoli di dominio è tutta dalla sua parte, se l' Evento accadrà dovrà per forza essere inusitato
RispondiElimina
Eliminanon c'è dubbio.
" Ecco, replica il profeta, una vergine concepirà e partorirà un figlio cui sarà posto il nome di Emmanuele ( Is 7,14 ), che significa « Dio con noi » ( Mt 1,23 ).
O evento mirabile: una vergine diventa madre, rimanendo vergine!"
Gregorio di Nissa, Orazione sulla nascita di Cristo