L’interesse
pagato sui titoli di Stato tedeschi a dieci anni è zero. Non molto diversamente
vanno le cose per i pari titoli italiani, nonostante il rischio, non solo
teorico, per l’acquirente sia notevolmente più elevato. Insomma, di denaro in
circolazione ce n’è anche troppo, e sulla sua concentrazione non è il caso
d’insistere. In buona sostanza banche e “risparmiatori” devono cercare altre
fonti di lucro. E quale miglior occasione di farsi pagare interessi positivi
cartolarizzando (si dice così) i prestiti erogati ai pensionati? Il tasso
massimo d’interesse previsto, scrive all’unisono la stampa, sarà pari al 15%,
ma se il reddito percepito è attorno ai 1.500-2.000 euro netti il mese, per un
anticipo di tre anni il tasso d’interesse sarà attorno al 6 per cento. Dove c'è Renzi, c'è banca.
*
Intanto
i lavoratori precoci che andranno in pensione dal 2018 con il massimo
contributivo, 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli
uomini, subiranno penalizzazioni, sulle anzianità retributive maturate fino al
2011, pari a un taglio del 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 60 anni di
età e dell'1% per ogni anno prima dei 62. In tal modo chi per esempio è entrato
al lavoro all’età di 14-15 anni (caso non infrequente fino ad alcuni decenni or
sono), dopo 42 o 43 anni di lavoro e di contributi versati, ha diritto di
vedersi riconosciuta la pensione all’età di 57-58 anni. La penalizzazione media
è del 5-6 per cento.
Tali
penalizzazioni, introdotte nel 2011, erano in vigore anche fino al 31-12-2017,
poi l’anno scorso sono state eliminate, ma, appunto, fino a tale data. La
punizione continua per tutti gli altri.
Anche
sotto tale aspetto della riforma Monti-Fornero, questo tipo di penalizzazioni, di
disincentivo alla pensione, erano l’ultima cosa che un governo doveva fare in
un momento di crisi e di grave disoccupazione. In ballo, come si ricorderà,
c’era la questione dei conti pubblici, del famoso spread. E soprattutto al
governo c’erano gli iper-tecnici che ci rammentavano le pressioni del Consiglio
dei Soviet europeo e la minaccia proveniente dai famigerati “mercati”.
*
“Meno
Stato più mercato”, sono le radici del trattato firmato a Maastricht nel 1992.
Quali siano le luci e le ombre di questa esperienza, durata un quarto di
secolo, lascio giudicare ad ognuno secondo il suo punto di vista. Una cosa è
certa, la situazione delle classi subalterne da allora non è migliorata. E ora,
la Gran Bretagna, raccolto ciò che doveva raccogliere – senza aver adottato
l’euro (mica sono scemi) –, insalutata ospite se ne va per conto suo.
Scriveva
la Corte dei Conti nella relazione del 2010 su “Obiettivi e risultati delle operazioni di privatizzazione di partecipazioni pubbliche” (p. 22), che “nel Regno Unito l’intero processo [di
privatizzazioni] fu implementato su un periodo di tre legislature consecutive
del Partito Conservatore (dal 1979 al 1991), con il fine ultimo di
de-nazionalizzare l’economia inglese, limitare il potere del sindacato e
incentivare il capitalismo popolare”, ossia la diffusione della proprietà
azionaria. Si puntava in buona sostanza a creare una situazione che avrebbe
portato con sé il non secondario effetto di spostare a destra l’elettorato.
Infatti, come si legge ancora in nota nella stessa relazione: “Nelle future
elezioni la nuova classe di azionisti creatasi con le privatizzazioni sarebbe
stata più incline a supportare partiti che dichiarassero idee di libero
mercato”.
Dove c'è Renzi c'è banca.....rotta.
RispondiEliminaI titoli di Stato italiani costituiranno in un prossimo (?) futuro il parziale corrispettivo (con scadenza trentennale) del denaro che le banche preleveranno in varia misura dai conti correnti dei rispettivi clienti, l'alloglotto 'belin'. E' il passaggio intermedio prima dell'abolizione del contante, dopo di che saremo completamente ostaggio delle banche, più di quanto lo siamo ora.
RispondiEliminaEsenti: Cartello di Medellin,filantropia calabrese associata, case da gioco internazionali e femmes du plaisir - dame di compagnia - . La vera forza lavoro produttiva denazionalizzata non completamente robottizzabile.
il neo-liberismo come controtendenza politica alla crisi economica degli stati "keynesiani" usciti dal dopoguerra (in varia declinazione USA, URSS, Europa) ma non ne deduco una uscita di scena dello Stato che a mio avviso si sta semplicemente rimodellando
RispondiEliminaPiuttosto è l'antagonismo intriseco che si è perso (tal padre tal figlio?) di fronte al salto di qualità del Capitale che si è fatto direttamente "società ad una -sola- dimensione" e in questa pozzanghera annega il conflitto fra classi e quindi la mediazione statale
Tornando un attimo al nazismo, Marcuse interpretava il fenomeno non come il primitivo assaggio della società totalitaria industriale ma come tappa di perfezionamento di "un ordine che è riuscito a coordinare anche le zone pericolose più nascoste della società".
forse anche il neo-liberismo, con la sua regressiva e falsa retorica individualista, lo è.
al centro ci sono sempre le contraddizioni, dunque la crisi
Eliminala questione dello Stato rimane dirimente e su essa c'è molto lavoro da fare. nella mia lettura di Marx non c'è spazio per alcun statalismo, se non che lo stato nazionale è una realtà come lo è l' incancrenita appartenenza proletaria ad esso. è oggi quasi impossibile pensare ad una lotta politica praticabile (il reddito minimo ad esempio) che colga l'obbiettivo senza che essa coinvolga almeno la dimensione continentale, a fronte di un problema di dimensioni mondiali. In caso contrario si alimenterà lo stato nazionale in quanto nodo della conflittuale rete capitalistica planetaria, la cosiddetta isola felice che significa nei fatti rapporti sociali nel segno della borghesia, ovviamente, ma di retroguardia e di conservazione. è una prospettiva, a mio avviso, in cui si è perdenti a prescindere.
RispondiEliminacome in tutti i momenti di crisi stanno risorgendo i nazionalismi, cosa pericolosa assai. ciao
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