lunedì 6 giugno 2016

Quello sbruffone di Muhammad Ali


Quello sbruffone di Muhammad Ali mi è sempre stato simpatico perché non fu solo uno sbruffone, ma un interprete straordinario della boxe e un divo dello sport coraggioso quando si oppose alla chiamata per il Vietnam. Peccato abbia poi accettato il ruolo d’icona ad uso e consumo del “sistema”, che solo per tale motivo gli ha conferito medagliette e tributato onori.

Muhammad Ali fu a modo suo sensibile al problema della segregazione razziale. I neri d’America erano stati liberati dalla schiavitù cent’anni prima (di questo mito scriverò in un prossimo post), ma quanto a diritti sociali e politici vigeva in tutti gli Stati Uniti un apartheid identico a quello Sudafricano, e negli Stati del Sud lo schiavismo esisteva ancora di fatto.

Fra il 13 e il 16 agosto 1965 la popolazione nera di Los Angeles si sollevava. Un incidente che il giorno 11 aveva opposto la polizia stradale e dei passanti aveva dato il là a due giornate di tumulti spontanei. I rinforzi della polizia non furono in grado di riprendere il controllo della strada. Verso il terzo giorno i Neri presero le armi, saccheggiarono le armerie e così poterono sparare anche contro gli elicotteri della polizia.

Migliaia di soldati e poliziotti, circa una divisione di fanteria appoggiata da carri armati, si sono dovuti lanciare nella lotta per circoscrivere la rivolta nel quartiere, per riconquistarlo a prezzo di numerosi combattimenti di strada durati diversi giorni. Gli insorti hanno proceduto all’esproprio generale dei negozi, appiccandovi il fuoco. Secondo le cifre ufficiali nella rivolta di Watts si contarono 34 morti, tra i quali ventisette neri, 1.032 feriti e 3.952 arresti.



William Parker, direttore della Los Angeles Fire Department, rifiutando ogni mediazione proposta dalle grandi organizzazioni dei Neri, descrive gli afroamericani rivoltosi come "scimmie dello zoo", affermando giustamente che “questi rivoltosi non hanno capi”. Certamente, poiché i Neri non avevano più capi, era giunto il momento della verità in ognuno dei due campi. E del resto uno di quei capi, Roy Wilkins, segretario generale della National Association for Advancement of Colored People, aveva dichiarato che i tumulti “dovevano essere repressi facendo uso di tutta la forza necessaria”.

Fino ad allora le manifestazioni dei Neri per i “diritti civili” erano state mantenute dai loro capi entro una legalità che tollerava le peggiori violenze delle forze repressive e dei razzisti, come in Alabama nel precedente mese di marzo, durante la marcia su Montgomery. E anche dopo quello scandalo che ebbe echi mondiali, un’intesa discreta tra governo federale, cioè tra il governatore Wallace e il pastore King, aveva indotto la marcia di Selma a indietreggiare davanti alla prima intimidazione. Lo scontro atteso allora dalla folla dei manifestanti era stato soltanto lo spettacolo di uno scontro possibile. La non violenza aveva raggiunto il limite ridicolo del suo coraggio: esporsi ai colpi del nemico e alla fine spingere la propria grandezza morale fino al punto di risparmiargli la necessità di usare nuovamente la forza.

Il movimento dei diritti civili poneva, con mezzi legali, soltanto problemi legali. Per contro, i rivoltosi, infrangendo vetrine e incendiando negozi, non andarono di là della protesta, sacrosanta, che però non risolveva i problemi concreti. Alla gioventù di Watts, senza avvenire, mancò la coscienza e la forza per affermare un’altra qualità della vita, anche se Martin King, ancora spaventato, dichiarò due mesi dopo a Parigi che quelli “non erano tumulti razziali, ma di classe”. Il potere di classe non tollerò nemmeno questo zio Tom che con le sue preghiere e lunghe passeggiate poneva in luce un anacronismo che rivelava una delle tante contraddizioni del più grande paese a capitalismo avanzato. Lo liquidò a fucilate.

Il razzismo, che ancora colpisce i Neri, ha le sue radici nella società di classe, ed è la stessa società di classe a forgiare le catene economico-sociali che nessuna legge di emancipazione potrà far venir meno. È la sovversione radicale di questa società, la guerra di classe totale, senza riguardo e senza risparmio, la più necessaria e oggettivamente giustificata soluzione.



7 commenti:

  1. Eppure: https://www.youtube.com/watch?v=RKV4xxmV-Sc

    Edy

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    1. La sua sensibilità al problema della segregazione razziale mi pare assai discutibile.

      Edy

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    2. lo faceva con i mezzi culturali a sua disposizione e dalla sua posizione di privilegio, perciò scrivo: fu a modo suo sensibile al problema della segregazione razziale

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    3. Chiunque fa con i propri strumenti culturali, è talmente ovvio che la conseguenza più logica dovrebbe essere la messa in discussione di quella cultura, parziale o fraintesa che sia, che partorisce 'ste perle. L'ansia di confezionare un'altra icona di lotta -all'occidente? All'uomo bianco? Al capitalismo?- è talmente grande che le sfugge che, giustamente, lui non voleva avere a che fare con lei.

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