giovedì 26 novembre 2015

Curricola a go go


Ho delle mie fonti d’informazione per quanto riguarda l’andamento dell’industria manifatturiera e per quanto concerne chi cerca lavoro. Si tratta di poca cosa, solo un pugno di aziende di diversi comparti produttivi, ma ciò mi consente di sentirmi infallibile quanto un papa o un āyatollāh. E in anticipo rispetto alla diffusione dei dati Istat.

Parlo prima di chi cerca lavoro. La mia fonte d’informazione è data dai curricola in arrivo. Nel 2014 si era assistito a un netto calo rispetto agli anni precedenti, ma ora i curricola arrivano in numero massiccio. Per quanto riguarda invece la situazione delle aziende è sufficiente prendere in esame gli ordinativi, in ribasso e in alcuni casi tracollano. Più in generale è interessante mettere a confronto i dati antecedenti il 2008 e quelli degli anni successivi fino ad oggi. Vi sono indubbiamente degli alti e bassi, ma i livelli produttivi del passato sono solo un ricordo (per le aziende nel frattempo sopravvissute al terremoto).



Pertanto non si tratta, dopo sette lunghissimi anni, di una crisi di ciclo, come ormai ammettono tutti. Gli economisti, quelli più intelligenti, si spingono molto più in là con le loro previsioni di durata della crisi, e poi cercano di scovarne le cause, di proporne addirittura dei rimedi, come fa per esempio l’”economista marxista Piketty”, e altri prodotti della stessa brasserie (*). L’unico aspetto che essi non tirano mai in ballo, per dirla in modo prosaicamente plebeo, è la faccenda del lavoro rubato. Da cui originano tutte le contraddizioni cui poi gli economisti traggono spunto per i dotti studi sulle epatte lunari e dunque per stilare i loro almanacchi della crisi.

Da sei anni, in questo mio piccolo taccuino, scrivo che non si tratta di una crisi di ciclo (anni or sono molti ne erano ancora convinti) e nemmeno di una crisi di lungo periodo (come sono ormai tutti persuasi sbattendo contro la realtà). Invece, ripeto, siamo in presenza della crisi storica del capitalismo nell’epoca del suo massimo trionfo. Lo stesso impetuoso sviluppo delle forze produttive sta producendo, tra l’altro e paradossalmente, una situazione in cui il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a un’inedita situazione che si sta sviluppando nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa.

In altri termini, sempre più noi vediamo come l’operaio si collochi accanto al processo di produzione, anziché esserne l’agente principale. In questa trasformazione non è né il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, né il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua produttività generale, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esistenza di corpo sociale, in una parola, è lo sviluppo dell’individuo sociale che si presenta come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. E però tale movimento, inarrestabile, diventa sempre più incompatibile e trova il suo maggiore ostacolo con il miserabile scopo della produzione capitalistica (il profitto per profitto) e dunque con gli attuali rapporti sociali di produzione (**).

(*) Una maggiore tassazione del capitale speculativo, se da un lato aiuterebbe gli Stati nell’affannoso tentativo di riequilibrare la bilancia tra entrate e spese, dall’altro non può far nulla sul fronte della cosiddetta “crescita”, laddove il capitale tenderà sempre più a fuggire verso quei paesi che possono garantire livelli di maggior sfruttamento della forza lavoro e minore tassazione; né simili legislazioni impediranno che il capitale industriale lasci la sfera produttiva per cercare maggiore redditività nella speculazione, posto che è la stessa natura della produzione capitalistica, come necessità logica del suo sviluppo, a portare il saggio generale medio del plusvalore ad esprimersi in un calo del saggio generale del profitto.


(**) «A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione.»

6 commenti:

  1. questo spiega perfino com'è che “...l'anatomia dell'uomo è la chiave dell'anatomia della scimmia”, com'è che la natura fosse vicina ad un punto morto e concepì l'uomo, di come ora si tratta di concepire l'uomo umanizzato

    sembra quasi una filosofia della storia

    mi sono allargato

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    1. puoi allargarti quanto vuoi, spazio ce n'è visto che non vi sono altri commenti. c'è in realtà un disinteresse per tutto ciò che non sia cazzeggio sul quotidiano. anche alla radio (non parliamo della tv) l'attenzione è tutta concentrata sull'immediato, come se si trattasse ogni giorno di trovare la soluzione più adatta per sturare un lavandino intasato

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    2. com'è che la natura fosse vicina ad un punto morto e concepì l'uomo,
      non vorrei che appunto questo " punto morto" sia anche "darwinianamente" voluto , visto che c'è già "qualcuno molto in alto " che da della "scimmia" a tutti gli "altri in basso".
      Purtroppo "vivremo tempi interessanti" :-(

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  2. se questa crisi fosse generale e storica i ricchi di oggi ne vorrebbero ancor di più, più generale e più storica = sempre più ricchi. Ma a questo punto più che crisi storica del capitalismo sembra opportuno parlare di crisi ciclica del comunismo. E' il comunismo che non è ancora pronto.

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    1. se dessi un'occhiata al Taine vedresti come l'aristocrazia francese raggiunse la sua apoteosi subito prima della rivoluzione
      la stessa cosa successe per l'aristocrazia (non solo di sangue) prima di sarajevo
      non per nulla parlo di crisi storica nel momento del suo massimo trionfo
      il mutamento è prontissimo, bisogna vedere se lo saremo anche noi nel momento in cui la crisi precipiterà nel suo dramma
      non è questione di Se ma di Quando
      su una cosa forse possiamo concordare: le nuove generazioni sono già fottute in partenza e pagheranno un prezzo sempre più alto

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    2. se i giovani risultano fottuti in partenza figurati i vecchi quando le cose precipiteranno. Appunto la domanda è 'quando' ma proprio domandarselo ci invecchia; e più invecchi più strologhi di crescita (dei giovani); più cose hai da perdere più ipotizzi il 'quando'. Il mutamento lo realizzano i giovani ma sono i vecchi a prepararlo con le loro riforme del cazzo. Alla fine comunque il prezzo sarà alto per tutti, generale e storico. E pagheremo alla romana.
      Per quanto riguarda l'apoteosi della borghesia non può essere comparata a quella dell'aristocrazia.

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