Letizia Ramolino Bonaparte, madame
Mère, in accordo col il fratellastro, il cardinale Fesch, inviò a
Sant’Elena il dottor Francesco Antonmarchi, e poi anche un cappellano, il
settantenne Antonio Buonavita, che per la bisogna fu nominato direttamente dal
papa “protonotario apostolico per Sant’Elena”. Pio VII con l’occasione inviava presso Napoleone la benedizione apostolica in segno di perdono. La più sottile vendetta è
appannaggio dei preti. Ad accompagnare Buonavita fu l’abate Angelo Paulo
Vignali, di origini còrse. Buonavita rientrerà in Italia nel marzo 1821 per
motivi di salute lasciando nell’isola l’abate.
Un
paio di mesi dopo la partenza da Sant'Elena di Buonavita, Napoleone moriva. La salma fu
inumata il 9 maggio 1821 in una tomba in muratura e lastroni di pietra profonda
quattro metri. In occasione della traslazione del corpo da Sant’Elena agli Invalides, nel 1840, fu notata la sua
straordinaria conservazione, salvo che mancava del pene. Quanto avvenne
l’evirazione? Non lui vivo, naturalmente. Alla tomba montava giorno e notte una
guardia inglese.
Pare
che il pene di N. fosse – lo rilevo per i lettori eventualmente curiosi di
questo genere di notizie – di assai modeste dimensioni, e ciò confermerebbe la
tesi che fosse affetto in realtà, nonostante le ben note vicende amorose, di
distrofia adiposo-genitale di Fröhlich, ossia una delle tipiche manifestazioni
dell'insufficienza funzionale dell'ipofisi durante l'epoca dello sviluppo. Sui
reali o solo presunti aspetti morbosi che accompagnarono l’esistenza di N. si è
scritto e ricamato molto, e per ciò che riguarda tali pruderie non ho nulla da aggiungere.
Ricordo,
a riguardo delle afflizioni fisiche che perseguitarono Napoleone, un film in
cui egli è ritratto a Waterloo colpito da forti dolori di natura gastrica e
perciò costretto ad abbandonare il campo d’azione a causa della grave
sofferenza. Non ho elementi per confermare o smentire le fonti storiche da cui sono
tratte simili sequenze. Rilevo altresì che N. a Waterloo soffriva in modo
violento di emorroidi, tanto che fu costretto a ritirarsi sotto la tenda dove i
medici gli applicarono impacchi di acetato di piombo sulla parte turgida e
infiammata e lo imbottirono di laudano.
Attribuire
però l’insuccesso di Waterloo alle condizioni di salute di Napoleone mi pare
assai azzardato per motivi dirimenti. Ad ogni modo, pur tenendo in debito conto
degli aspetti soggettivi della vicenda storica, essi non possono alterarla fino
al punto di essere fatti prevalere sugli aspetti oggettivi verso i quali tale
vicenda è comunque necessariamente destinata a seguire il suo corso. E ciò non
può prescindere dal fatto che Blücher e i suoi prussiani avrebbero fatto la
differenza anche se N. avesse goduto di una salute di ferro.
Soprattutto,
la differenza la stavano facendo le mutate condizioni politiche e sociali dell’Europa.
E ciò che valse allora e anche dopo, conta anche per l’oggi, laddove la
disoccupazione di massa, le ondate migratorie e l’invecchiamento della
popolazione faranno indubbiamente la differenza, come già Blücher e i suoi
prussiani, in un sistema economico che va per conto suo e governato da un’élite
inadeguata e miope.
In
questo genere di ricostruzioni viene del tutto trascurato che comunque l’avventura
napoleonica dei “cento giorni” avrebbe avuto termine in un lasso di tempo assai
breve. La coalizione antibonapartista circondava preponderante la Francia da ogni parte. Gli
avvenimenti storici decisivi sono il prodotto di condizioni maturate lungamente,
e dunque anche in tal caso il nome del luogo della sconfitta militare napoleonica
sarebbe in ogni caso coinciso, prima o poi, con quello di un qualsiasi altro sperduto
villaggio dell’Europa che non fosse Waterloo.
I
malanni fisici di N. possono avere avuto ruolo a Waterloo, e tuttavia essi nell’esito
finale dell’epopea napoleonica non pesarono più di quanto giocarono le gravi
patologie del Führer nella sconfitta della Germania nazista. In altri termini,
sono da considerare importanti, sotto il profilo clinico e psicologico, le
vicende di personaggi che hanno riempito con le loro azioni lo sviluppo storico
di un intero periodo, ma esse non possono di per sé essere invocate quali
espressioni, in ultima analisi, decisive dello sviluppo storico stesso.
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