Quale
forma ideologica particolare, la religione è il prodotto di una data situazione
storica e di un determinato assetto economico e sociale. Nascita, sviluppo e tramonto
di una credenza religiosa si possono spiegare solo entro le coordinate della
dialettica storica. Come spiegare dunque la sostanziale resistenza delle
quattro principali religioni mondiali lungo i secoli fino all’epoca attuale?
Proprio dal fatto che i mutamenti sociali e politici intervenuti non hanno
determinato quel solo cambiamento necessario per superare una coscienza
miserabile, ossia il superamento di una società divisa in classi.
Usciti
dalla società di classe verrà a cessare la religione? Sì, se si ritiene che le
credenze religiose rappresentino la menzogna alienata dell’economia che strappa
l’umanità a se stessa. Per quanto si creda liberata, la coscienza comune dell’acquario
sociale è ordinata secondo una prospettiva mercantile, ossia sul modello del
valore di scambio universale, ove la vita è raggrinzita nella scatola della
sopravvivenza. Tutta la storia della sopravvivenza è inclusa nel rapporto
contraddittorio che la fonda, ossia quello tra padrone e schiavo, tra premio e
castigo.
Fin
dalle origini, in Oriente, il rendimento delle terre dà origine a una
burocrazia tentacolare che si serve del sapere e della religione come forma di
sottomissione e controllo. Con il cristianesimo viene compiuto un salto di
qualità: sconfigge Mitra sul terreno della carità nel momento in cui la vecchia
struttura statuale e sociale affonda, in cui l’equilibrio si rompe, quando la
decadenza romana si traduce nella crisi del Tardo Antico e nel ritorno al
predominio agrario e pastorale.
Il
nuovo format che s’impone è: padroni e schiavi accedono egualitariamente, nell’aldilà,
alla democrazia della salvezza. Lo schiavo fuggitivo Onesimo viene rispedito al
suo padrone Filemone, e chi induce alla fuga viene scomunicato. Non è forse questa una forma di mediazione ante litteram tra le “parti sociali”?
Il
1789 ha segnato non la fine del mondo agrario ma l’inizio del predominio della
società industriale. Almeno formalmente si viene a stabilire un nuovo rapporto
libero e volontario tra padrone e schiavo, e dunque la necessità di un nuovo
rapporto libero e volontario tra coscienza individuale e fede religiosa. Separazione
dei poteri, suffragio universale, eguaglianza, parità uomo-donna, affrancamento
e decolonizzazione non hanno radici nel cattolicesimo, nemico dichiarato di
ogni modernità e libertà individuale (*).
Il
cattolicesimo, che aveva saputo recuperare gli antichi simboli religiosi, quale
espressione dell’immobilismo del modo di produzione agrario e pastorale entra
in crisi poiché esso solo in parte ha saputo rinnovare il suo linguaggio
teologico, rattoppare il mito, e superare l’esclusivismo maschile. Il suo
latino, che per oltre un millennio aveva saputo veicolare ogni tipo di
transazione, non serve più, perde il monopolio nella comunicazione universale,
sostituito dai linguaggi di un nuovo sincretismo sacerdotale.
Quando
il monopolio del grande capitale avrà terminato di radicare l’universalità
mercantile e il suo spettacolo, sarà la fine del cattolicesimo con i suoi ingredienti
strampalati e i divieti diventati assurdi. Anche la carta dell’apostolato, del
recupero della povertà e carità quale missione, che per ultimo si sta tentando di
giocare con tanto clamore, non basterà ad evitare che la Chiesa di Roma si
dissolva nella realtà immediata della nuova fase dell’economia capitalistica.
Anche le parole del Papa perdono potere man mano che quel potere perde la
faccia.
Quanto
all’islam, esso trae la sua forza attuale dal suo radicalismo e dall’uso
politico che ne sanno fare le élite islamiche, nonché dai madornali errori
delle élite occidentali, dagli strafalcioni di certo grasso giornalismo. Gli
stessi motivi della sua forza, a un dato momento, diventeranno i motivi della
sua debolezza (chiedere ragguagli ai ragazzi immigrati). È solo questione di
tempo.
(*)
L’aveva ben compreso Nietzsche quando scrisse che ogni divenire è, nei
confronti dell’essere eterno, un’emanazione colpevole. Carlo Cardia, dal canto
suo, prende atto che: «C’è qui un velo
che copre gli occhi di Giovanni Paolo II e che gli impedisce di vedere la
soglia antropologica raggiunta e dalla quale presumibilmente non si tornerà più
indietro: la soglia della consapevolezza e della coscienza, con le quali anche
il bisogno religioso viene avvertito, vissuto o declinato. Il Papa non sembra
saper parlare un linguaggio adatto alle tante modulazioni della coscienza, e
sembra anche psicologicamente lontano dalla complessità» (Karol Wojtyla,
Vittoria e tramonto, p. 52).
Ottimo e sintetico , ma resta il fatto che l' uomo e' intrinsecamente " religioso" e una qualche nuova "religione" si troverà o gli sara' "trovata".
RispondiEliminaE sottolineo "nuova" perche' la "religione del mercato" tanto ora conclamata perchè funzionale ai padroni non può riempire ne le pance ne le coscienze dei loro servi.
Mi sembrava di aver scritto chiaro:
Eliminale credenze religiose rappresentino la menzogna alienata dell’economia che strappa l’umanità a se stessa
e dunque che cosa c'entra la favola dell'uomo intrinsecamente religioso? tra l'altro è intrinseco degli uomini porsi delle domande e darsi delle risposte, non necessariamente a sfondo sovrannaturale. per quali motivi noi non soggiaciamo alle credenze religiose? e viceversa? ciao
Basta mettere la splendida statua di Ramesse II accanto alle orrende chiese e ai crocifissi storpi del nostro clero per preferire il sacerdozio antico a quello moderno. Una religione senza senso dell'arte è morta come il suo dio.
RispondiEliminaE' morta ma continuerà a vivere. L'incredibile successo della figura di Padre Pio, a dispetto di tutta la secolarizzazione capitalistica nella quale siamo immersi, dimostra - non che ce ne fosse bisogno - che l'infanzia mentale di milioni di persone è una noce dura da schiacciare.
Se la religione è il frutto perverso della divisione in classi, allora ci dovrebbe essere stato nella storia umana un tempo, precedente allo sfruttamento del lavoro e all'invenzione della proprietà privata, in cui l'umanità non aveva bisogno della religione. E quindi non ne aveva nessuna. Non esiste però alcuna evidenza storica in questo senso. Per di più credo, ma posso sbagliarmi, che esistano ancora oggi popolazioni tribali con uno stile di vita che rassomiglia al comunismo ideale. Ma anche loro hanno le loro forme religiose, i loro idoli, i loro tabù. Forse la causa profonda della religione non sta nei rapporti sociali ma nella necessità individuale di illusione, di esorcizzare la tragedia della morte inevitabile. In questo senso mi sento più freudiano che marxista.
RispondiEliminaLa tua obiezione appare fondata, ma appunto è solo apparenza.
EliminaOgni ideologia – e dunque anche quella dei popoli più primitivi – si sviluppa in armonia con il contenuto rappresentativo che le è proprio. Credo che abbiamo superato la fase primitiva, quella in cui la debolezza dell’uomo primitivo nella lotta contro la natura generava la credenza nel soprannaturale.
Per contro, non abbiamo superato la condizione dello schiavo antico così come di quello moderno che genera inevitabilmente quella alienazione propria dello sfruttamento che strappa l’umanità a se stessa.
Inoltre: il semplice fatto che ci si pongano delle domande sulla condizione umana e il suo destino implica un’idea “religiosa”? Religione deriva da religare che, come sappiamo bene, originariamente voleva dire legame. E però il termine ha valore solo secondo l’evoluzione storica del suo uso reale. Altrimenti dobbiamo ritenere che ogni legame tra gli uomini è una religione? Dunque anche l’ateismo è una religione!
Non facciamo prendere dalle suggestioni borghesi ammantate di scientismo. Grazie per il commento.
Vabbe'che detto tra di noi ,pure a quei pragmaticoni" di "romani",giunsero a distinguere nettamente tra religione e superstizione,la prima utile al controllo ,la seconda dannosa.
RispondiEliminaIn pratica poi,di Giove non fregava niente a nessuno .
Caino
Usciti dalla società di classe verrà a cessare la religione?
RispondiEliminain un senso o nell'altro il rischio è sempre quello di proiettare sul futuro il nostro presente estraniato ed ostile, potessi chiederei a Pasolini cosa intendeva per sacralità del sacro, la risposta potrebbe essere poco passatista e ancor meno religiosa rispetto a quel che vociferano da quarant'anni