Come
già ebbe ad osservare Marx quasi 170 anni or sono, in ogni epoca di crisi
sociale è sempre imminente anche la prospettiva della “rovina comune delle
classi in lotta”. I segni di questa rovina ci sono tutti ed esemplificati, tra
l’altro, nella giustissima osservazione di Dmitri Peskov, portavoce del
Cremlino, a margine del G20: “non esiste un'idea di Occidente, ogni Paese ha la
propria posizione e il proprio atteggiamento verso i diversi segmenti del
problema della lotta al terrorismo”.
Non
solo a riguardo del terrorismo, ma l’Occidente è diviso anche sul latte e
l’olio d’oliva, per citare degli esempi (banali per chi non ha mucche da
mungere e olive da raccogliere). Per tacere della crisi economica e climatica.
Sui temi economici è prevista solo la distruzione, e cioè riduzione della base
produttiva e anche distruzioni ben più estese e profonde di rapporti sociali in
tutti gli àmbiti. Salvo la produzione automatica di cordoglio e frasi
retoriche. Provate a difendervi da un fanatico demente – che vi punta un’arma e
sta per sforacchiarvi come un emmenthal – pronunciando l’anatema di Mattarella:
“Saremo intransigenti!”. Che pasta d’uomo il presidente.
E,
del resto, siamo tutti esperti di “terrorismo”, come ama ripetere di sé LorettaNapoleoni.
*
A
proposito di esperti, ma di economia, rilevo che il concetto di crisi,
segnatamente di “crisi di sovrapproduzione”, ha sostanzialmente la platea
divisa in tre campioni. Per alcuni significa sovrapproduzione di merci. Per
altri, sovrapproduzione di denaro, ossia di capitale. Per altri ancora, i più
intelligenti, sovrapproduzione di merci e di capitale. Fate l’appello e all’esame
non ne mancherà uno.
Questi
esperti dimenticano che “il capitale non
è una cosa, bensì un determinato rapporto sociale di produzione, appartenente
ad una determinata formazione storica della società. Rapporto che si presenta
in una cosa e dà a questa cosa un carattere sociale specifico”.
Prigionieri
del mondo feticistico delle merci, vedono solo movimento di “cose” invece di
rapporti tra uomini, di “rapporti sociali”, perdendo così tutta la profonda
ricchezza di significati contenuta nelle stesse categorie economiche (*). E del
resto hanno gli occhi puntati sugli indici di qualcosa.
E
che sfugga l’essenziale si può provare con degli esempi. A proposito del famigerato
plusvalore, esso non indica soltanto
un rapporto tra tempo di lavoro non pagato e quello pagato, ma un ben più
complesso rapporto tra uomini: un rapporto di sfruttamento e quindi di
antagonismo. E così l’aumentare del saggio di plusvalore, nel divenire del modo
di produzione capitalistico, è insieme crescita dello sfruttamento e
acutizzazione profonda dell’antagonismo tra “ricchi e poveri” (per dirla nei
termini triviali correnti).
Poi
trovi il Nobel che ti rivela a piena pagina come oggi si mangi meglio e di più
di un tempo, anche se c’è, osserva, il pericolo di squilibri nei consumi tra
classi sociali. Senza saperlo è un “marxista” rimasto alle categorie semplici
del materialismo economico. Fa parte della fabbrica della coscienza con i suoi
relativi funzionari, quelli come lui addetti al disturbo di fondo. Tutti
insieme collaborano alla produzione di sistemi ideologici finalizzati alla
realizzazione-riproduzione del plusvalore e del rapporto sociale dominante.
La
produzione di queste forme di coscienza non è più qualcosa di secondario
rispetto alla produzione di merci. L’una e l’altra sono due aspetti dello
stesso processo. Il dominio reale del capitale – ormai è consapevolezza comune
– sottomette le nostre vite modificandole qualitativamente nei bisogni, nei
gusti, nella mentalità, nella morale, nella coscienza, funzionalizzandole
all’estrazione del plusvalore, alla sua realizzazione, alla massima
valorizzazione del capitale.
La
conseguenza, infine, al contrario di ciò che pensava Lacan, non è semplicemente
quella di sottrazione di “plus-godimento” (sai che pippa), ma quella di un antagonismo assoluto tra il modo di
produzione capitalistico – che ha esaurito la sua fase progressiva ed è entrato
nella fase in cui le sue contraddizioni stanno portando al disastro la società
e il pianeta – e la prospettiva del suo superamento e dunque della possibilità di
uno sviluppo sostenibile e razionale.
Pure
la caduta del saggio del profitto (poi mi fermo) non è solo perdita di guadagno
in rapporto al capitale investito da parte dei capitalisti, ma indice della
perdita di capacità di sviluppo, di espansione dell’intera formazione sociale.
È misura della sua morte.
Non
parlo di cose astratte ma di questioni concrete che poi a breve o alla lunga
producono effetti diretti e indiretti sulle nostre vite. Compresi i
licenziamenti e le mitragliate.
(*)
Come fa Scalfari a riguardo del suo “uomo”, che ha come base il modello
qualitativo del verme, libero per istinto naturale e corroborato di amorevole “memoria” per il prossimo.
Le gazzette, le case editrici, le tv e le librerie generaliste ci spiegano tante cose ma il senso e la direzione giusta la indichi solo tu, Olimpe. E allora?
RispondiElimina(I love you)
ciao cara e grazie per l'attenzione
Eliminami hai strappato una raffica di sorrisi, mi ci voleva :-)
RispondiEliminasempre di raffica si tratta ...
Elimina